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La Storia

Per poter capire il ruolo importantissimo che hanno avuto e tuttora hanno le monoposto da competizione nell'ambito delle migliorie tecniche applicate poi alle vetture di serie, devono essere analizzati alcuni dati realtivi all'incremento di potenza dei motori, e alla storia delle competizioni pre e post belliche.

Le monoposto pre belliche


Le monoposto pre belliche altro non erano che delle versioni modificate delle vetture di produzione, e tali modifiche consistevano più che altro nella sovralimentazione (quella sviluppata dal 1923 al 1951 era basata su compressori azionati meccanicamente dal motore) del motore e nel rafforzamento di sospensioni e freni, più eventualmente un alleggerimento della massa. Nessun passo avanti nella storia dell'automobile fu fatto a causa della Seconda Guerra Mondiale, in quanto le industrie automobilistiche vennero impiegate nella produzione di armi e artiglierie leggere e pesanti....



Auto Union Type D



La Type D nacque in un periodo molto difficile per le Auto Union da Gran Premio: il 28 gennaio 1938 la squadra corse aveva perso il suo asso Bernd Rosemeyer, tragicamente scomparso in un incidente durante un tentativo di record sull'autostrada Darmstadt-Francoforte. Inoltre, c'era in quel periodo parecchio lavoro da fare: la Formula 750 kg era scaduta il 31 dicembre del 1937 e per l'anno seguente era stata imposta una nuova formula denominata 3 litri, che prevedeva una cilindrata massima di 3 litri per le auto sovralimentate e di 4,5 litri per quelle aspirate. Ma già da mesi era in fase di sviluppo una nuova vettura che avrebbe preso il posto della plurivittoriosa Type C, ormai non più idonea a soddisfare i nuovi regolamenti.

La nuova vettura non fu più progettata da Ferdinand Porsche, come invece era avvenuto per i precedenti tre modelli da Gran Premio marchiati con i "quattro anelli". Il geniale progettista boemo fu infatti totalmente preso dalla progettazione di quello che in futuro sarebbe divenuto noto al mondo intero come Maggiolino. La responsabilità del progetto della futura Type D fu invece affidata a Robert Eberan von Eberhorst, responsabile tecnico del reparto corse Auto Union. Il progetto ripercorse solo in parte le linee guida tracciate a suo tempo dall'ingegner Porsche, mentre per un'altra parte fu invece del tutto inedito. In particolare, furono apportate modifiche consistenti alle sospensioni: all'avantreno vennero montati ammortizzatori idraulici, mentre al retrotreno venne montato un ponte a doppio snodo simile ad un De Dion, soluzione già messa in pratica dalla rivale Mercedes-Benz e che anche la Horch, tanto per rimanere in casa Auto Union, aveva già montato già dalla fine del 1935 in una variante ideata da Oskar Siebler.

Ma la vera novità fu ovviamente il propulsore, progettato e realizzato in modo da soddisfare i nuovi regolamenti imposti per la stagione 1938: il tetto massimo di cilindrata fissato a 3 litri per le vetture sovralimentate suggerì a von Eberhorst di ridurre anche il numero di cilindri da 16 a 12, mantenendo sempre l'architettura a V, ma con un differente angolo fra le due bancate, 60 gradi anziché 45. La cilindrata fu di 2985 cm³, la metà di quella della Type C, ma in questo caso il rapporto di compressione fu aumentato da 9.2 a 10:1, ottenendo così un motore più spinto del precedente, il che permise di ottenere, grazie anche alla sovralimentazione mediante due compressori volumetrici configurati a doppio stadio, una potenza massima di 485 CV. Questo nuovo V12 era inoltre caratterizzato dalla distribuzione a due valvole per cilindro azionate da tre assi a camme, uno centrale per l'aspirazione e i due laterali per lo scarico. Tagliando via quattro cilindri si ottenne un motore dal minor ingombro longitudinale, il che permise di ridurre l'interasse, in maniera tale da ottenere un triplice vantaggio: riduzione di peso, maggior maneggevolezza ed agilità della vettura e telaio più "comunicativo" con il pilota.

Essendo questo nuovo motore molto più spinto del precedente, i consumi salirono del 20% rispetto alla vettura da Gran Premio dell'anno prima: la Type D riusciva a percorrere appena un chilometro con un litro di carburante, carburante che consisteva in una miscela di alcool, acetone, nitrobenzolo ed etere solforico, ed era stipato in tre serbatoi della capacità totale di 280 litri.


Tazio Nuvolari su Auto Union D-type, nel 1938, a Donington Park

Il debutto sportivo della Type D fu enormemente ritardato dalle difficoltà di messa a punto della vettura, che continuava a manifestare qua e là dei problemi. Le prime gare della stagione 1938 videro la Type D assente dai tracciati. Il debutto avvenne solo il 3 luglio sul circuito di Reims per il Gran Premio di Francia. Purtroppo l'esito fu a dir poco catastrofico, poiché i tre piloti disponibili in quello scorcio di stagione (Hasse, Kautz e Müller) abbandonarono tutti la gara in seguito ad incidenti. Il guaio fu che questi tre piloti non erano all'altezza dei grandi Stuck e Rosemeyer, ma quest'ultimo, come si è detto all'inizio era scomparso tragicamente all'inizio di quell'anno, mentre più o meno nello stesso periodo Stuck e l'Auto Union giunsero al divorzio per motivi in realtà mai chiariti completamente. L'unica speranza visibile all'orizzonte per l'Auto Union pareva giungere dall'Italia: all'inizio della stagione, infatti, Tazio Nuvolari entrò in una fase di contrasto con l'Alfa Romeo, da cui sarebbe nata un'altra separazione eccellente. Presa la palla al balzo, i dirigenti dell'Auto Union e il "mantovano volante" presero contatti e giunsero ad un accordo, formalizzato il 15 luglio grazie al nullaosta della Federazione Automobilistica Sportiva Italiana: Nuvolari divenne il nuovo pilota della squadra corse dell'Auto Union. Il debutto dell'asso mantovano avvenne il 24 luglio al Nürburgring per il Gran Premio di Germania, dove giunse quarto a causa di alcune noie al motore, che tra l'altro ebbe una perdita d'olio che schizzò sul parabrezza rendendo difficoltosa la visuale al pilota italiano. Alla Coppa Acerbo sul Circuito di Pescara, Nuvolari giunge in pole position, ma durante la gara è costretto al ritiro assieme a Müller ed Hasse. Il migliore piazzamento per una Type D fu il quarto posto conquistato da Hans Stuck, che nel frattempo fu riammesso nella squadra corse dopo le enormi pressioni cui fu sottoposta in tal senso la Auto Union dal regime tedesco. La riscossa avvenne l'11 settembre al Gran Premio d'Italia disputatosi a Monza: Nuvolari conquistò la vittoria davanti a Hermann Lang e la stampa dedicò fiumi di inchiostro a tale evento. Il 22 ottobre a Donington, Nuvolari investe un cervo durante le prove, ma all'avvio della gara parte in quarta e si trova a condurre già dopo la prima curva, e dopo alcune peripezie termina al primo posto regalando un'altra vittoria all'Auto Union con una Type D ormai messa completamente a punto. Alle vittorie di Nuvolari nella stagione 1938 vanno inoltre aggiunte le cinque cronoscalate vinte da Stuck sempre su Type D.

tenutosi il 25 giugno, Lang trionfa ancora, ma la gara fu funestata da un incidente mortale in cui Seaman perse la vita. Questa volta è Hasse a guadagnare il secondo posto, mentre Nuvolari e Müller furono costretti al ritiro. Il 9 luglio a Reims arrivò la prima vittoria della stagione per la Type D e per l'Auto Union. A portare la monoposto al trionfo fu questa volta Müller, seguito da un'altra Type D, quella di Meier. Ed ancora Müller giunse secondo al Gran Premio di Germania, mentre la vittoria andò di nuovo alla Casa di Per la stagione 1939 Nuvolari e Stuck furono riconfermati, così come anche Müller e Hasse. Inoltre, vennero ingaggiate due giovani promesse, Georg Meier e Ulli Bigalke. Anche nel 1939, la stagione sportiva cominciò in ritardo per la Type D, che non partecipò alle gare di Pau e di Tripoli. Ma il debutto al Nürburgring vide comunque la vittoria della Mercedes-Benz di Lang davanti a Nuvolari, giunto secondo. AlGran Premio del BelgioStoccarda. Quell'anno, la stagione sportiva fu particolarmente breve a causa della situazione politica che stava rapidamente degenerando proprio in Germania. Al Gran Premio di Belgrado fu Nuvolari a concludere vittoriosamente l'ultima gara disputata da una monoposto Auto Union e l'ultima valida per un Gran Premio. Ma il titolo andò comunque alle Mercedes-Benz. Era il 3 settem bre 1939: il giorno prima Adolf Hitler aveva invaso la Polonia, dando il via alla catastrofica Seconda Guerra Mondiale.


Le monoposto post belliche

.....Finita la guerra, con l'istituzione del Campionato del Mondo e l'introduzione di regolamenti circa la costruzione delle vetture da competizione, si ricominciò dai vecchi progetti, invece di agire verso nuove direzioni. Sul finire degli anni Sessanta la sovralimentazione dei motori (la concezione di aerodinamica e quindi di lavoro su scocche arriverà più tardi, negli anni Settanta) è ottenuta dall'azione di turbo-compressori comandati dai gas di scarico. Il ciclo di grandi evoluzioni per il motore aspirato ha preso l'avvio necessariamente da cilindrate ragguardevoli, data l'esiguità delle potenze specifiche realizzabili: appena 60-80 cavalli/litro, contro i 200-230 cavalli per litro di cilindrata dei sovralimentati. Appena avviato il processo, tuttavia, la corsa alle più alte potenze specifiche è stata notevole, con il traguardo dei 100 cavalli per 1000 cc raggiunto per la prima volta dai motori della formula di due litri e mezzo e con incrementi spettacolari per la F.1 1500, fino alla soglia dei 150 CV/litro, e per la F.1 3000, ormai prossima ai 180 CV/litro. L'aumento delle potenze è legato a molti fattori, quali il numero dei cilindri, il rapporto corsa-alesaggio, il regime di rotazione, il sistema di alimentazione, eccetera, il criterio stesso della cilindrata non è che parzialmente vincolante, ai fini dell'equità della competizione, tanto da essere sostenuto attualmente da altre limitazioni; ma la sua validità permane pressochè indiscussa per l'unità di tempo entro i cui limiti avvengono i progressi. Il punto di partenza per la grande avventura del motore aspirato in questo dopoguerra è stato di potenze specifiche comprese fra i 60 e i 70 cavalli/litro; un livello relativamente basso, che aveva, nondimeno, prospettive di rapido incremento con gli insegnamenti dell'esperienza parallela in campo motociclistico, dove la sovralimentazione era stata abolita con grande anticipo e la quota dei 100 cavalli/litro poteva già considerarsi una norma, pur con il vantaggio delle cilindrate unitarie esigue. Quindi, al momento del confronto cruciale fra il sovralimentato e l'aspirato, la bilancia proponeva su un piatto l'otto cilindri in linea delle celebri Alfa Romeo 158/159 con punte massime di 425 cavalli, ma con 400 cavalli effettivi nella media delle applicazioni, e sull'altro piatto i 12 cilindri Ferrari a V di 60°, di quattro litri e mezzo, con disponibilità di 360-380 cavalli e con vantaggi già sensibili nelle utilizzazioni e nei consumi. Dal 1953 iniziò una preziosa concentrazione dei tecnici su motori a quattro e a sei cilindri in linea, con molti studi rivolti alle camere di combustione, all'evacuazione dei gas di scarico, con particolare riferimento alle lunghezze critiche dei condotti, e con grandi sforzi concentrati sull'alimentazione, monocarburatore e perfino a iniezione. E' il momento dello studio intenso anche sulle proprietà dei carburanti e dell'affacciarsi delle prime camere di scoppio adatte a far risaltare i fenomeni di "swirl" e di "squish". Il quattro cilindri in linea rappresenta veramente l'ideale per gettare solide basi, utili ad un serio sviluppo del moderno motore aspirato. Il sei cilindri in linea viene introdotto da Gordini, mentre da parte inglese (Era-Bristol e HWM-Alta) un gradino più sotto, si fa leva su valori specifici già confortanti. Così, con l'avvento del sei cilindri in linea della Maserati del 1953, con il conseguimento dei 190 cavalli a 7500 giri, si arrotonda a 95 CV/litro la potenza specifica, con la bellezza di 12,7 CV/litro a mille giri. Le basi per la successiva Formula 1 di due litri e mezzo (1954-1960) sono gettate e l'avvento delle tecnologie della Mercedes, con distribuzione desmodromica e iniezione diretta, danno nuovi stimoli alla ricerca. Con i 280 cavalli effettivi dell'otto cilindri in linea della marca tedesca, con 112 CV/litro e ben 13,2 CV/litro a mille giri, saliti nel 1955 a 118 CV/litro e a 13,9 CV/litro a mille giri, il tetto è stato raggiunto per quell'epoca di sviluppo e i primati tecnici di questo motore sono tali da restare insuperati per tutto il corso della formula. y-Climax, dimostra l'importanza di accelerare l'evoluzione di propulsori con grosse cilindrate unitarie, superiori ai 620 cc, con valori addirittura di 15 CV/litro per mille giri e pressioni medie effettive fino a 13,5 Kg/cm#2. Come soluzione intermedia, il motore V 6 della Ferrari si trascina le stesse ragioni di validità, con applicazioni preziose. Il finire degli anni Cinquanta non è favorevole a troppi investimenti nell'evoluzione dei motori: i progressi favoriti dalle rivoluzioni d'autotelaio appaiono ben più ingenti di quel che la tecnica motoristica potrebbe offrire, determinando una certa stasi. Il passaggio dall'architettura convenzionale del motore anteriore e trazione posteriore al motore posteriore-centrale con trazione sulle ruote posteriori, ha prodotto effetti preponderanti, tanto da garantire le maggiori affermazioni alle Cooper e alle Lotus con un quattro cilindri Climax di appena 240-243 cavalli, pari a 96,5-97,5 CV/litro, con buone concentrazioni di potenza in un regime di 6800 giri, che fa calcolare 14,2-14,3 CV/litro a mille giri. Negli anni Sessanta, parallelamente, fanno la loro comparsa le prime appendici alari, la cui efficenza è limitata, ma che garantivano un buon carico aerodinamico per i telai (alluminio) e i pesi delle vetture, che comunque mantenevano freni a dischi in acciaio e pneumatici convenzionali. Gli anni Settanta portano nuove evoluzioni. Oltre al perfezionamento del telaio autoportante, all'evoluzione dei motori boxer, comincia la nuova concezione di aerodinamica. I telai cominciano ad assumere una forma a freccia, per poter fendere meglio l'aria. per quanto concerne i motori, si esplorano i 10000 giri, 450 cavalli nella media della produzione. Scarichi di diametro maggiore e altri perfezionamenti al circuito di lubrificazione.470 cavalli nel 1975 e con punte di 480-490 nelle ultime espressioni. Gli stimoli sono venuti dalla crescente avanzata dei motori a 12 cilindri - Ferrari in particolare - pur con altre componenti della Matra e dell'Alfa Romeo. La Matra, con un 12 cilindri a V di 60° raggiunse un'apice di 520 cavalli. Per l'Alfa Romeo, il passo dalla Sport alla Formula 1, con il 12 cilindri "boxer" (l'ultimo ridisegno a V di 60° risponde ad esigenze extra-motoristiche, ovvero di installazione in vettura e di flussi aerodinamici interni), è stato breve, seppure scontata la stagione iniziale del '76, per raggiungere i migliori compromessi fra tenuta, distribuzione della potenza lungo la curva e prontezza d'accelerazione. Ufficialmente, questo motore ha dato le potenze specifiche più alte, con 177 CV/litro e qualcosa come 14,75 CV/litro a mille giri. Le valutazioni, nondimeno, si fanno difficili per il più vittorioso dei 12 cilindri, il "boxer" Ferrari, che ha puntato tutto sulla buona stabilità di funzionamento, indipendentemente dai valori massimi. Anche l'ascesa di questo motore, esemplare per la concezione del manovellismo e del comando della distribuzione, è stata spettacolare, partendo dai 430 cavalli a 11600 giri del 1970, per salire subito dopo a 465 cavalli a 12000 giri, pari a 13 CV/litro a mille giri, e per toccare i 490 cavalli effettivi nel 1974. l'evoluzione conobbe poi una stasi fino al 1979.







BREVE STORIA DELL'EVOLUZIONE TECNICA DELLA FORMULA 1



Il concetto di deportanza rivoluzionò la concezione delle corse. Fino a quel momento le vetture da corsa dovevano essere fondamentalmente veloci, il più veloci possibile, per raggiungere la massima velocità nei rettilinei, che erano la parte predominante di ogni circuito. Velocità dell’ordine di 340 km/h erano state raggiunte sui circuiti più veloci già negli anni ’30, e si dovrà aspettare il 1982 perché vengano raggiunte di nuovo. 

Le monoposto però, fino all’avvento dell’aerodinamica, dovevano rallentare in maniera radicale per affrontare le curve. In questo modo la differenza fra velocità massima e velocità di percorrenza delle curve era enorme. Si pensi che le Auto Union del 1936 disponevano di 520 HP e di velocità di punta dell’ordine dei 345 km/h. Su di un circuito velocissimo come Monza, un giro era percorso alla media di circa 180 km/h. Trent’anni dopo le monoposto, con circa 330-350 cavalli, e velocità massime non superiori ai 280 km/h, giravano su quel circuito ad una media di circa 200 km/h.

Con l’avvento dei dispositivi aerodinamici, nel 1969 le monoposto migliori, con circa 420 HP ed una velocità  massima non superiore ai 270 km/h, girarono a Monza a 236 km/h di media. Questi dati devono essere valutati in termini di efficienza globale. Un motore potentissimo poteva essere usato per andare forte in rettilineo, ma la velocità in curva restava subordinata all’aderenza al suolo. Questa, a sua volta, era legata alla sezione dei pneumatici, al loro coefficiente di attrito, alla capacità delle sospensioni di tenere il pneumatico aderente al suolo. Questi fattori erano, fino all’avvento delle appendici aerodinamiche, evidentemente bassi, perché la velocità di percorrenza della curva rimaneva molto distante dalla velocità massima che la vettura poteva sviluppare in rettilineo. Il ricorso ai dispositivi aerodinamici ha quindi permesso di ridurre in modo drastico la differenza fra velocità massima e velocità di percorrenza delle curve. Si era quindi verificato un paradosso: il tempo guadagnato in rettilineo da una vettura velocissima, ma lenta nelle curve, era inferiore al tempo guadagnato da una vettura lenta in rettilineo ma veloce nelle curve.

A questa nuova concezione delle corse automobilistiche verrà subordinata tutta l’evoluzione dello sport motoristico, fino ai nostri giorni.





È del 1977 l’ultima vittoria di Niki Lauda in Formula 1 con la Ferrari

LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~




McLaren MP4/4 Honda

La McLaren MP4/4 fu la vettura del team McLaren che prese parte al campionato di Formula 1 1988. Fu progettata da Gordon Murray e Steve Nichols, e rappresenta tuttora una delle auto di Formula 1 più efficaci della storia, avendo vinto 15 dei 16 Gran Premi cui prese parte. I piloti Ayrton Senna e Alain Prost lottarono tra di loro per il titolo mondiale, senza che alcun avversario potesse inserirsi nel duello.
Nel 1987 la Williams aveva nettamente sconfitto la McLaren sia nella classifica piloti che in quella costruttori. I motori Honda erano però passati alla scuderia di Woking e la capacità del fornitore giapponese di creare un motore più basso dei precedenti permise a Murray e Nichols di riprendere ed affinare i concetti introdotti nel 1986 con la Brabham BT55, senza l'handicap delle scarse affidabilità e potenza che avevano caratterizzato il motore BMW inclinato.

Nel 1988 il regolamento tecnico prevedeva la possibilità di utilizzare motori aspirati di 3500 cc di cilindrata senza limiti di consumo, oppure motori turbocompressi da 1500 cc di cilindrata, con pressione di sovralimentazione limitata a 2,5 bar e 150 litri di carburante per percorrere la distanza della gara. La Honda scelse questa seconda possibilità, in quanto le evoluzioni previste per il proprio motore le permisero di mantenere un vantaggio sulla concorrenza.

L'MP4/4 si ispira alla Brabham BT55 di Gordon Murray, che nell'87 aveva disegnato la MP4/3, approfondendone i concetti. L'idea di Murray era quella di una macchina estrema sotto il profilo fluidodinamico, ma nel caso della Brabham non si ottennero vantaggi: il motore era un progetto molto complesso e soprattutto fine a sé stesso.
Secondo Gordon Murray disegnare una macchina con le linee della BT55 permetteva di ridurre di circa il 30% la sezione frontale rispetto ad una monoposto convenzionale: la linea di cintura estremamente bassa riduceva moltissimo la resistenza all'avanzamento con vantaggi notevoli in velocità e consumi. Infatti la BT55 nel 1986 era stata l'auto con la velocità di punta più alta.

Questa soluzione consentiva anche di investire con una maggior portata d'aria la superficie alare posteriore, incrementando il carico aerodinamico sulle ruote motrici, con conseguente incremento di trazione e velocità di percorrenza in curva. Sotto questo aspetto la BT55 era stata un fallimento perché il suo motore BMW era un 4 cilindri in linea, molto alto, e per poter migliorare il progetto aerodinamico era stato inclinato di 72°, soluzione che creava problemi di lubrificazione e combustione; inoltre con un motore alto il centro di gravità dinamico risultava sempre molto sbilanciato, anche a causa di un cambio a 7 marce ingombrante e complicato.

Come consulente, nell'87 Murray cercò di sviluppare questi concetti sulla MP4/3 disegnata da Steve Nichols, il quale cercò di riprendere in parte il progetto MP4/2 di John Barnard, che ormai era superata. Perciò, a parte il muso, tutto il resto della vettura fu ridisegnato cercando di abbassare la linea di cintura e il centro di gravità.
Murray poté intervenire con questa filosofia progettuale grazie al fatto che la MP4/3 utilizzava un motore V6 con angolo di bancata di 90°. Inoltre riprogettò le pance laterali, spostando le prese d'aria di sfogo dei radiatori ai lati della vettura anziché sulla parte superiore; con questo intervento ridusse l'altezza e rese più slanciato il roll-bar, sfruttando il fatto che la capacità massima dei serbatoi nell'87 era stata ridotta da 220 a 195 litri. Tuttavia il motore non si dimostrò abbastanza solido e potente contro l'Honda della Williams.


Nell'88 la McLaren per la MP4/4 ottenne la fornitura di questi motori, che erano sempre dei V6 ma con un angolo di bancata di 80°, quindi Murray poté estremizzare ulteriormente quanto visto sulla MP4/3, abbassando ulteriormente l'altezza complessiva della scocca. Sostanzialmente lavorò come sulla MP4/3 anche perché pure nell'88 fu ridotta la capacità dei serbatoi (da 195 a 150 litri).
Una delle modifiche più evidenti fu il muso, molto più rastremato e slanciato, con grande riduzione della sezione frontale e conseguente maggiorazione della superficie alare anteriore. Queste varianti all'avantreno si erano rese necessarie anche per rispettare la nuova norma che obbligava a collocare la pedaliera delle scocche di nuova costruzione dietro l'asse delle ruote anteriori, una soluzione che il regolamento impone ancora oggi e che ha reso la posizione di guida quasi sdraiata anziché seduta.
Per via di questi interventi l'MP4/4 risultò notevolmente competitiva: oltre ad essere una macchina molto curata, fu l'unica progettata espressamente per gareggiare col motore turbo, a differenza dagli avversari che avevano puntato su ex vetture turbo adattate agli aspirati, o su progetti di scocche con motore turbo dell'anno prima.

Questa scocca utilizzava sospensioni a ruote indipendenti con trapezi sovrapposti e sistema a puntone di tipo pull-rod all'avantreno e push-rod al retrotreno. Quest'ultima soluzione, insolita per l'epoca, nasceva dall'esigenza di sollevare la posizione dei semialberi, in modo da non alterare gli angoli di esercizio dei giunti, dato che la scocca era molto bassa.

Durante la fase pre stagione fu testato anche un sistema di sospensioni attive, che per questioni di affidabilità non fu però mai utilizzato nei Gran Premi. La vettura fu talmente dominante che non venne evoluta in troppi pacchetti aerodinamici, salvo profili alari specifici per circuiti da basso o alto carico aerodinamico come Monaco, Monza o Hockenheim.
Una delle modifiche che più saltarono all'occhio fu l'eliminazione delle prese d'aria delle turbine, perché si riteneva che creassero dei vortici d'estremità che disturbavano i flussi d'aria sul profilo alare posteriore.

Il motore adoperato era l'Honda RA168-E, un V6 biturbo da circa 650 cavalli, ultima evoluzione del 6 cilindri giapponese che aveva debuttato nell'83. L'unità fu rivista per ridurre drasticamente il consumo di carburante dato che il regolamento imponeva una minor capacità dei serbatoi, e per sfruttare meglio la potenza ai medi regimi per via dell'altra restrizione sulla pressione di sovralimentazione, passata da 4.0 a 2.5 bar.

Il cambio, abbastanza convenzionale, era un Weissmann a sei marce più retromarcia, prodotto in collaborazione con la stessa McLaren e montato longitudinalmente.





Ayrton Senna
 Gran Premio del Canada 1988

Già nel corso della stagione 1987, la McLaren aveva annunciato l'ingaggio di Ayrton Senna, proveniente dalla Lotus, insieme alla fornitura dei motori Honda. In McLaren il brasiliano avrebbe fatto coppia con il due volte campione del mondo Alain Prost. Nella fase di sviluppo, grande attenzione venne posta all'elettronica di gestione del motore, per l'ottimizzazione dei consumi, e la vettura si presentò subito vincente, con un notevole margine sulla concorrenza.

La stagione si sviluppò quindi sulla traccia di un dominio incontrastato della McLaren. Dopo una prima fase favorevole a Prost, Senna recuperò progressivamente, per poi passare in vantaggio alla fine delle gare estive. L'unica corsa che la MP4/4 non vinse fu il Gran Premio d'Italia, in cui Prost si ritirò a causa dell'unico problema meccanico incontrato nella stagione, mentre Senna, al comando, si toccò con la Williams di Schlesser alla prima variante, nel corso di un doppiaggio a pochi giri dal termine. Dopo Monza Prost vinse due gare, riportandosi vicino, ma vincendo in Giappone Senna guadagnò il titolo.
Al termine della stagione Prost aveva accumulato più punti totali, ma Senna vinse grazie ai punti scartati dal pilota francese. Invece tutti i punti erano validi per il mondiale costruttori, che la McLaren si aggiudicò con un record di 199 punti.



Il Flybrid Systems KERS introdotto in F1 dalla stagione 2009
Il KERS, acronimo di Kinetic Energy Recovery System (in italiano “sistema di recupero dell'energia cinetica”) è un dispositivo elettromeccanico atto a recuperare parte dell'energia cinetica di un veicolo durante la fase di frenata e a trasformarla in energia meccanica o elettrica, nuovamente spendibile per la trazione del veicolo o per l'alimentazione dei suoi dispositivi elettrici.
Durante la frenata di un veicolo, l'energia cinetica che deriva da tale decelerazione è dispersa in calore per attrito del sistema frenante. Tale energia può essere intercettata da un meccanismo ad alto momento di inerzia come un volano oppure immagazzinata in un accumulatore o una batteria e venire impiegata in un secondo momento, per esempio in fase di accelerazione del veicolo o comunque quando si abbia bisogno di una riserva di energia per aumentare le prestazioni del mezzo.

      Il sistema KERS è costituito da:

  • un motore/dinamo (in corrente continua);
  • un accumulatore di carica elettrica, in genere composto o da pile al litio, oppure supercondensatori o ancora batterie a volano;
  • un sistema di controllo che permette di gestire il funzionamento del dispositivo come motore oppure come dinamo a seconda delle necessità.


F1: come e perchè la Power Unit Mercedes è stata più performante
della concorrenza.

Italian Wheels poco tempo fa vi ha raccontato i motori turbo della F1: i nuovi V6 ibridi hanno infatti rappresentato la più grande novità regolamentare del 2014. Oggi vogliamo andare oltre, cercando di spiegare perchè alcuni motori (i Mercedes) hanno funzionato meglio di altri (i Ferrari ed i Renault). 

Ricordiamo, in maniera rapida, cosa dice il regolamento: i motori di tutte le F1 a partire dal 2014 dovranno essere dei V6 turbo di 1600 cc, affiancati da due motori elettrici, l’MGU – K e l’MGU – H. Quello che però il regolamento non dice, lasciando quindi carta bianca ai progettisti, è come disporre i vari elementi del motore turbo e come mettere in relazione la componente termica con quella ibrida. Ed è qui che i motoristi della casa di Stoccarda hanno fatto il colpaccio. A Brixworth, un piccolissimo centro del Northamptonshire, in Inghilterra, i motoristi Mercedes, sotto la guida di Andy Cowell, hanno dato vita ad uno dei propulsori più efficienti e vincenti della storia della F1: il Mercedes PU106A. Questo motore (o meglio, questa Power Unit) ha fatto scuola per molti aspetti.

Il più importante in assoluto è stato la disposizione degli organi interni del motore: la PU Mercedes, infatti, ha la turbina separata dal compressore. La turbina è posizionata nella parte posteriore del motore, dove confluiscono gli scarichi, mentre il compressore è posto all’interno di uno scasso nel serbatoio dell’olio, sito nella parte anteriore del V6. Questa distanza tra le due componenti fondamentali del motore turbocompresso, ha fatto sì che la PU106A riuscisse a gestire in maniera migliore le temperature: secondo le leggi termodinamiche, più è fresca l’aria in entrata, più calda è l’aria di uscita, maggiore è il rendimento. In più, tale “anomalo” posizionamento ha permesso ai tecnici Mercedes di montare una turbina più grande della concorrenza, e proprio da tale turbina venivano fuori i circa 80 cv in più che le W05 Hybrid (e le altre vetture motorizzate con la PU106A) avevano rispetto alle vetture equipaggiate con propulsori differenti.

Qualcuno potrebbe a questo punto chiedersi: ma una turbina più grande non ha anche più inerzia, diventando più difficile da muovere ai bassi regimi? Giustissimo, rispondiamo noi. Ed è qui che entra in gioco la perfetta efficienza dell’ MGU – H montato sulla PU106A. Ricordate? Questo motore elettrico si alimenta grazie al calore prodotto dai gas di scarico, per poi sfruttare la potenza prodotta (circa 90 cv) per muovere l’alberino di trasmissione che collega turbina e compressore, ovviando così al turbolag. Ebbene, tale propulsore elettrico sul motore Mercedes funziona meglio che sugli altri: il trucco risiede negli scarichi. Gli scarichi della PU106A hanno infatti i collettori molto corti, raggruppati in un involucro termicamente schermato che permette una minore dispersione del calore, a tutto vantaggio dell’efficienza del suddetto MGU – H.

Il risultato, oltre ad una maggiore potenza massima, è stato l’avere una incredibile disponibilità della coppia motrice, a qualsiasi regime, che permetteva alle W05 Hybrid di trarre vantaggio anche in uscita dalle curve lente, quelle in cui teoricamente la turbina più grande avrebbe dovuto essere un handicap; oltretutto, grazie a questa quantità di coppia, parti meccaniche importanti (come il cambio) venivano utilizzate e sollecitate di meno. L’unico problema che i tecnici Mercedes hanno dovuto affrontare – e che poi hanno risolto in maniera più che brillante – è stato la maggiore fragilità dell’albero di trasmissione tra turbina e compressore: essendo infatti le due componenti più distanti, le vibrazioni prodotte dal V6 avrebbero potuto portare al danneggiamento o alla rottura dell’albero, compromettendo il motore. Ecco quindi che a Brixworth hanno deciso di inserire dei tiranti di irrigidimento all’interno del V6, rendendolo più stabile.


Ferrari F14 T

La Ferrari F14 T è la sessantesima monoposto costruita dalla casa automobilistica Ferrari per partecipare
al campionato mondiale di Formula 1 2014.
Identificata, durante lo sviluppo, con il codice interno 665 sostituisce la F138, che aveva disputato la stagione 2013 
del campionato mondiale di Formula 1.

Fernando Alonso - Ferrari - 2014 Monaco Grand Prix

  La PU Ferrari (la 059/3), a dispetto dei magrissimi risultati ottenuti, era anch’essa innovativa. Sono state 3 le scelte inedite compiute dai motoristi Ferrari: l’avanzamento del motore termico; la collocazione dello scambiatore di calore all’interno della V dei cilindri; la disposizione del serbatoio dell’olio. Tutte queste scelte sono state fatte per cercare di ottenere un’aerodinamica estrema al retrotreno, che infatti risultava essere particolarmente allungato: ciò avrebbe dovuto permettere al diffusore e alla zona della Coca – Cola di essere più efficienti.
Questa sistemazione ardita dei suddetti componenti ha però irrimediabilmente compromesso l’efficienza della Power Unit: la politica del “risparmiare spazio al retrotreno” ha infatti portato all’adozione di una turbina di dimensioni minori rispetto a quella della PU Mercedes, a tutto discapito della potenza generata dal motore termico.

Kimi Räikkönen alla guida della monoposto sul circuito di Shanghai; si nota l'ampia sezione nera che contraddistingue la livrea della F14 T.

Presentata il 25 gennaio 2014 sul sito ufficiale della Scuderia Ferrari, il nome F14 T è stato scelto dai tifosi, attraverso un sondaggio effettuato online sul sito web della casa.
Rispetto ai canoni stilistici delle monoposto di Maranello, la livrea della F14 T mostra, abbinato allo storico rosso corsa, un più ampio uso del nero, che in questa stagione, oltre a lambire la parte inferiore della vettura come già accadeva sulla F138, copre adesso anche tutta la zona del retrotreno; l'uso di tale colore ha un duplice funzione, ovvero sia migliorare la leggibilità dei marchi degli sponsor tecnici, sia celare alla vista le soluzioni tecniche adottate dalla Ferrari in questo ambito della macchina.
Le due sezioni rossonere della carrozzeria sono inoltre separate da una sottile striscia tricolore. Inserti bianchi sono infine appannaggio dell'alettone anteriore nonché dei deviatori di flusso posti davanti alle pance laterali.
Per la prima volta nella storia della Formula 1, vengono utilizzati numeri personalizzati per ciascun pilota. Fernando Alonso optò per il 14, numero con cui gareggiò nei kart, mentre Kimi Räikkönen scelse il 7.



Lotus 81


Elio De Angelis, Lotus 81, 1980 Gran Premio di Monaco  
La Lotus 81 è una vettura di Formula 1 costruita dal team Lotus per la stagione 1980.

Progettata da Colin Chapman e Martin Ogilvie, questa vettura aveva un disegno abbastanza tradizionale (a differenza di altre Lotus); spinta dal tradizionale Ford Cosworth DFV 3.0 V8, era una tipica vettura ad effetto-suolo. Pur garantendo parecchia deportanza, subiva troppo le sconnessioni in pista. Per tale ragione Chapman decise di sviluppare l'innovativa Lotus 88 a doppio telaio.

1980 - La Lotus 81 debuttò con alla guida il confermato Mario Andretti e il neo-arrivato Elio De Angelis. Dal Gran Premio d'Austria venne schierata la versione B, affidando una terza vettura all'esordiente Nigel Mansell. Il miglior risultato in gara fu il secondo posto colto da Elio De Angelis nel Gran Premio del Brasile, seconda gara della stagione. I ritiri furono frequenti. In totale, il team conquistò 14 punti iridati ed il quinto posto nel campionato costruttori.

1981 - La Lotus 81 venne impiegata anche nella prima parte della stagione 1981 nella versione B, affidata alla coppia formata da Elio De Angelis e Nigel Mansell. I risultati furono due quinti ed un sesto posto con De Angelis più un terzo posto con Mansell nel Gran Premio del Belgio. Nell'intento della scuderia avrebbe dovuto essere sostituita dalla Lotus 88, che però non fu considerata conforme ai regolamenti e venne infine rimpiazzata dalla Lotus 87.



Tecnica :
I segreti del motore a scoppio


Come è fatto e come funziona

Un motore a scoppio (ma più correttamente andrebbe chiamato "motore a combustione interna" o "motore alternativo endotermico") è essenzialmente composto da 3 organi meccanici in movimento :

Il pistone
E' un oggetto di forma generalmente cilindrica, che scorre dentro un'altro (il Cilindro), ed il suo movimento è quello di andare su e giù.

L'albero a gomiti
Ha la duplice funzione di trasformare il moto alternativo (in su e giù) del pistone in quello rotatorio e di portare il moto verso il cambio e poi alle ruote .

La biella
E' un'organo di collegamento che permette di unire il pistone con l'albero a gomiti e di trasmettere le forze.

In pratica questi tre organi meccanici hanno lo scopo di trasformare un moto rettilineo alternato (quello del pistone) in un moto rotatorio (quello dell'albero) per sfruttare l'energia dovuta allo scoppio della benzina e per fare un'altra serie di funzioni che vedremo in seguito.

Esistono poi altri importanti componenti :

Cilindro : La parte in cui scorre il pistone. Praticamente un grosso Foro.

Testa : E' la parte superiore che chiude il cilindro.

Camera di scoppio o di combustione : E' la parte superiore del cilindro cioè lo spazio che rimane tra la testa ed il pistone quando questo è nella posizione più elevata. E' la zona in cui avviene la combustione della benzina e dell'aria.

Carter o Basamento : E' generalmente la struttura che circonda e sostiene tutti gli altri organi meccanici e che comprende i cilindri.

Cielo del pistone : E' la parte superiore del pistone, quella a arriva a sfiorare la testa e sulla cui superficie avviene la combustione.

Fasce : Sono delle guarnizioni che garantiscono la tenuta dei gas, e limitano l'usura tra pistone e cilindro.

Bilanciere : E' una massa che fa parte dell'albero che ha lo scopo di equilibrare il motore,  cioè di ridurre le vibrazioni.

E' necessario dare qualche nome alle dimensioni caratteristiche di un motore.

(D) Alesaggio: Il diametro del pistone

(C) Corsa : Lo spostamento verticale che compie il pistone nel suo movimento. E' anche il doppio della distanza tra dove è collegata la biella all'albero e l'asse di rotazione dell'albero stesso.

(S) Sezione del cilindro : é l'area della sezione del cilindro, cioè l'area del cerchio che ha per diametro l'alesaggio. Infatti si ha che S = p D2

(V) Cilindrata : Il volume spazzato dal pistone nel suo movimento. E' semplicemente la sezione del cilindro per la corsa [ ].

(Pms) Punto morto superiore : E' la poszione più alto che raggiunge il pistone nel suo moto (la biella è perfettamente verticale e il pistone è fermo e sfiora la testa)

(Pmi) Punto morto inferiore : E' il punto più basso che raggiunge il pistone nel suo moto (la biella è perfettamente verticale e il pistone è fermo)

(r) Rappoto di compressione : E' il rapporto tra il volume della camara di scoppio e quello della cilindrata , diviso per la cilindrata. r = ( Vc + V ) / V

(RPM) Numero di giri al minuto : E' la velocità di rotazione dell'albero motore.

(Z) Numero di cilindri : Va da 1 (monocilindrico) a più di 12 (pluricilindrici)

Un paio di definizioni :

Quadri [ C=D ] : Si chiamano così quei motori che hanno la corsa e l'alesaggio uguali.

Super quadri [ D>C ] : Quei motori in cui l'alesaggio è più lungo della corsa .

A corsa lunga [ C>D ] : Quei motori con la corsa maggiore dell'alesaggio  .

Rapporto corsa alesaggio [ C/D ] : Se è minore di 1 significa che il motore è super quadro, se uguale a 1 che è quadro e se maggiore di 1 che è a corsa lunga.


I motori di cui parleremo sono i 4Tempi, che oltre agli organi meccanici precedentemente descritti, hanno un'ulteriore serie di organi meccanici che svolgono compiti ausiliari, ma indispensabili al funzionamento del motore stesso.

In estrema sintesi, il motore a scoppio funziona perché la benzina, si mischia con l'aria ambiente che fornisce l'ossigeno necessario alla combustione, entra nel cilindro, scoppia, cioè brucia violentemente e fornisce la pressione necessaria a spingere il pistone, il quale porta in rotazione l'albero a gomiti, e da questo, per mezzo di vari organi meccanici, come cambio e trasmissione, la potenza arriva alle gomme e il veicolo avanza. Ovviamente queste fasi avvengono grazie a precisi organi meccanici che svolgono precisi compiti. Nella camera di scoppio, avvengono, le seguenti operazioni : aspirazione, compressione scoppio e scarico.

Condotto d'Aspirazione


E' il condotto da cui entra la carica fresca, cioè la miscela di aria e benzina ancora non bruciata. Infatti a monte della camera di scoppio esiste un dispositivo che succhia la benzina dal serbatoio e l'aria dall'ambiente esterno e li miscela in parti ben definite. Questo dispositivo può essere un carburatore o un sistema di iniezione.


Valvola d'Aspirazione :
La miscela d'aria e benzina deve entrare nella camera di combustione solo nel momento giusto e per un periodo di tempo prestabilito. Per questo esiste una valvola, che apre e chiude, il condotto d'aspirazione regolando, quindi, come un rubinetto il flusso della miscela. Nei motori a 4Tempi, vengono usate usualmente valvole a fungo, chiamate così per via della sua caratteristica forma. Le valvole sono comandate dall'albero a camme.


Albero a camme di aspirazione :

E' un' albero parallelo a quello a gomiti, normalmente posto sopra la camera di scoppio (come in schema), che prende la rotazione dall'albero motore stesso, e gira solidale con esso. Su questo albero sono ricavate le camme, cioè dei profili eccentrici che girando spingono il piattello della valvola su e giù , secondo una precisa regola che dipende dalla forma stessa della camma . Poiché le camme sono legate all'albero motore è ovvio che se il motore sale di giri anche l'albero a camme sale di giri e così anche la valvola d'aspirazione apre e chiude il condotto più velocemente. In questo modo tutto funziona a qualsiasi regime di rotazione , perché ogni operazione accelera o decelera con il motore stesso.

Condotto di scarico :
E' equivalente a quello di aspirazione , ma a differenza di questo serve ad espellere i fumi di scarico , cioè quello che rimane dalla combustione della miscela bruciata, e conduce fino alla marmitta.


Valvola di scarico :
E' equivalente a quella di aspirazione, solo che regola l'apertura e la chiusura del condotto di scarico.

Albero a camme di scarico :
E' equivalente a quello di aspirazione, solo che imprime alla valvola di scarico, dei tempi di apertura diversi da quelli di aspirazione.

Candela :
I motori a scoppio , che vanno a benzina si chiamano anche ad accensione comandata  perchè l'esplosione del carburante è dovuto ad una scintilla, che si innesca perchè della corrente passa nello spazio tra due elettrodi. L'organo che regola lo scoppio e che genera la scintilla è la candela, che normalmente è unica e posta verticale al centro della camera di scoppio. La quantità di corrente e il momento della scintilla è regolato da organi meccanici o elettronici che prendono il movimento dallo stesso motore , garantendo anche in questo caso, il sincronismo tra la velocità di rotazione del motore e l'accensione.


La testa e la camera di combustione :

La testa è uno delle parti più importante per un propulsore, sulla quale più si lavora in fase di progetto. Infatti, la maggior parte delle azioni che avvengono in un motore e dalle quali dipendono le prestazioni, si sviluppano proprio nella camera di combustione. Quindi la sua geometria può migliorare sensibilmente le prestazioni e dare caratteristiche specifiche al propulsore.  Infatti sulla testa, da una parte ci sono tutti gli organi atti alla distribuzione, cioè tutti quegli organi che servono a far entrare ed uscire il carburante, i gas freschi e quelli combusti, mentre dall'altra la zona che rimane libera quando il pistone è al pms, cioè la camera di combustione, la quale condiziona in modo molto significativo la combustione e quindi la capacità di generare la potenza che serve a spingere il veicolo. In particolare il disegno della camera di combustione deve porsi come obbiettivo quello di ottenere un veloce processo di combustione, un elevato riempimento di carburante e minimizzare le perdite di calore attraverso le pareti.
Ovviamente nella storia dei motori a scoppio, i progettisti si sono sbizzarriti, producendo teste delle forme e delle geometrie estremamente varie, anche se oggi per vari motivi, i tipi di testa più diffusi, per i motori a benzina, sono sostanzialmente quattro. E' riportato di seguito lo schema delle quattro teste più diffuse e di un'altra serie di teste delle forme molto curiose.

 


a) EMISFERICA
: Offre buoni riempimenti ed elevate prestazioni;
b) A CUNEO o TRIANGOLARE : Limita l'effetto della detonazione e produce molta turbolenza, cosa che favorisce la velocità di combustione;
c) A TAZZA : Camera molto compatta, bassi consumi e basse emissioni inquinanti;
d) A TETTO : Con quattro valvole, permette di ottenere alte potenze specifiche e resistenza alla detonazione.



 

I pluricilindri:

I motori reali sono nella maggior parte dei casi composti da un numero di cilindri superiori a uno. Le piccole utilitarie di solito hanno 4 cilindri in linea, mentre le vetture più raffinate hanno 8, 10 o 12 cilindri. Non esiste un limite teorico al numero massimo di cilindri che si possono accoppiare per fare un motore, ma la storia testimonia che è difficile e inutile superare i 16.


Le configurazioni con cui accoppiare i vari cilindri sono le più varie.  La più semplice è quella dei motori "in linea" (a), in cui l'albero a gomiti è comune a tutti i cilindri, e i vari pistoni, bielle, teste sono disposti l'uno accanto all'altro. Già più complessi ma ugualmente diffusi sono i motori a "V" (c), in cui c'è sempre un solo albero ma i pistoni oltre ad essere accanto all'altro sono su due file distinte ed inclinate di un certo angolo (spesso 90 o 60). Esistono poi altri tipi di motori, molto meno diffusi, i cui schemi si vedono in figura. Tra questi ricordo in particolare il Boxter (f) e i motori stellari (m) impiegati specialmente agli albori dell'aviazione (ad esempio il barone rosso nella seconda guerra mondiale)

Funzionamento del motore
  Aspirazione , compressione , scoppio , espansione e scarico ... queste sono le parole della formula magica che fa funzionare un motore! Infatti un 4Tempi, come quello di cui mi accingo a spiegarvi, compie queste quattro fasi ogni due giri dell'albero a gomiti e ripete queste quattro fasi di continuo molte decine di volte al secondo. Cioè ogni volta che il motore compie queste quattro fasi torna nelle condizioni di partenza e può ricominciare. Tutto quello che succede tra l'inizio e il momento in cui il motore torna nelle stesso condizioni di partenza si chiama, nel complesso, CICLO. E' ovvio che le fasi principali del ciclo siano proprio aspirazione, compressione, scoppio, espansine e scarico.E' importante accennare al fatto che il motore a scoppio è una macchina che serve a realizzare proprio questo ciclo. Per i motori a benzina esiste un ciclo di riferimento teorico noto col nome di OTTO, mentre nei motori a gasolio il ciclo di riferimento è quello DIESEL. I cicli OTTO e DIESEL sono due tipi particolari di cicli termodinamici , che prendono il nome dagli studiosi che li idearono. Ovviamente un motore è tanto migliore quanto più riesce ad avvicinarsi alla teoria, cioè quanto più riesce ad avvicinarsi ad un ciclo OTTO o DIESEL.

Per cominciare si può pensare di partire nel momento in cui il pistone è nel punto morto superiore e le valvole sono chiuse. In pratica, siamo nell'istante in cui il pistone è salito fino al suo massimo e sta per scendere. Se le valvole rimanessero ferme, è ovvio che il pistone scenderebbe facendo solo espandere quel poco gas che rimane nella parte superiore del cilindro e continuando in questo modo, l'unico effetto sarebbe quello di frullare il gas senza generare nemmeno un Cv, anzi si fermerebbe subito. Con riferimento alle immagini, possiamo per semplicità immaginare che l'albero a gomiti e quelli a camme, girino in senso antiorario. La loro velocità è differente, in particolare ogni due giri dell'albero a gomiti le camme ne compiono uno solo.

ASPIRAZIONE

La prima cosa che deve succedere nel motore è quella di far entrare l'aria e la benzina, cioè la fonte dell'energia del motore. Quindi è necessario che si apra la valvola di aspirazione e che il pistone scendendo richiami dal condotto di aspirazione la miscela. Così accade e il pistone percorre tutto il tragitto dal Pms al Pmi, con la valvola del condotto di aspirazione completamente aperto, riempiendo completamente di miscela fresca.



COMPRESSIONE

Appena il pistone raggiunge il punto morto inferiore, il pistone si ferma di nuovo, e ricomincia a salire e comprime i gas. Per evitare che la miscela appena entrata riesca dal condotto di aspirazione, è necessario che la valvola di aspirazione si chiuda. Il pistone quindi comprime tutto il volume di gas che era presente nel cilidro,  schicciandolo in quella piccola parte di spazio rimasta libera tra il cielo del pistone e la testa del cilindro. In genere , il rapporto di compressione, cioè il rapporto tra il volume iniziale e quello finale della compressione, è intorno a 1:10 , con valori che arrivano vicini a 1:20 per i motori più prestazionali.
SCOPPIO

Una volta raggiunto il punto morto superiore, la benzina e l'aria sono al massimo della compressione e sono tutte contenute in un piccolo spazio intorno alla candela. E' facile immaginare che se si fa passare corrente sulla candela, si genera una scintilla che fa prendere fuoco al gas. Precisamente si dovrebbe dire che esplode, cioè il volume dei gas incrementano di migliaia di volte generando una pressione incredibile che va a spingere il pistone verso il basso, ed è questa pressione che tramite la biella e l'albero a gomiti si trasforma nella potenza utile che fa avanzare il veicolo.


ESPANSIONE

Immediatamente dopo lo scoppio, la pressione dei gas spingono il pistone verso il basso fino a che il pistone è nel Pmi in cui tutta l'energia dei gas si è convertita in potenza utile.  E' importante far notare come di tutto il motore l'unica fase utile sia questa. Tutto il resto è al traino cioè tutte le altri fasi usano parte di questa energia per funzionare e non la rendono disponibile per spostare il veicolo.

SCARICO

A questo punto il pistone ha raggiunto il Pmi, l'energia rilasciata dall'esplosione ha quasi esaurito la sua energia e il pistone è pronto a risalire. Inizia così la fase di scarico. Lo scopo di questa fase è quella di espellere i gas combusti per poter riportare il motore nelle condizioni iniziali, cioè di chiudere il ciclo, per poi ricominciare da capo. Per far questo si apre la valvola di scarico, e il pistone nella sua risalita spinge fuori il gas combusto, che così si dirigono verso la marmitta. Quando il pistone arriva al Pms, tutti i gas sono stati espulsi, si chiude la valvola di scarico, si apre quella di aspirazione e siamo pronti a ricominciare a immettere nuova miscela fresca.



Ecco un'altro modo per visualizzare tutte insieme le fasi che compie il motore ogni due giri dell'albero motore.

Approfondimento :  L'avviamento

Da come vi ho messo le cose, sembra che sia l'albero, spinto da una forza immaginaria, a trascinare il motore nel suo movimento, invece è il motore che fornisce l'energia. In realtà, come noto, che il motore a scoppio ha bisogno di essere messo in moto dall'esterno e che solo quando è partito riesce ad auto sostentarsi. Le macchine di inizio secolo avevano la manovella che usciva dal cofano e dovevano essere azionate a mano, oggi tutte le vetture di serie hanno un motorino elettrico, quelle da corsa per risparmiare sul peso sono messe in moto dall'esterno con un altro motore o spinte (come le moto da Gp).
Quando poi i motori sono stati avviati è l'inerzia del motore stesso che fa andare avanti le cose ... in pratica nella fase di scoppio parte dell'energia sviluppata fa accelerare gli organi meccanici, che poi rallentano nelle altre fasi e permettono che tutto funzioni . In più per aumentare l'inerzia del motore e per rendere le fasi più regolari (meno vibrazioni) si aggiunge un volano cioè un pesante disco che ruota insieme all'albero a gomiti.

Approfondimento : Gli anticipi delle valvole

Vorrei introdurre un aspetto importante sul reale funzionamento dell'aspirazione e scarico, che è presente in ogni motore. Voglio parlare degli anticipi delle valvole.

E' facile immaginare come qualsiasi azione non avvenga perfettamente istantaneamente, cioè richieda un certo tempo magari breve ma non nullo. Anche aprire e chiudere le valvole richiede un tempo non nullo. Dalla spiegazione che vi ho scritto sopra, sembra che le valvole rimangano chiuse, poi improvvisamente nel momento in cui il pistone passa dal Pms o Pmi le valvole istantaneamente percorrono tutto il loro spostamento posizionandosi nella posizione di apertura e rimangano in tale condizione fino alla fine della fase nella quale tornano in posizione di chiusura.

Questo nella realtà non può avvenire e quello che si riesce a fare è di far muovere la valvola in un tempo che è paragonabile con il tempo di una fase, cioè significa che in un quarto del ciclo. Quindi se si fa cominciare l'alzata della valvola nel Pms e si impone la chiusura nel Pmi si ha che la valvola non è perfettamente aperta durante la fase ma all'inizio sarà socchiusa, sarà completamente spalancata solo intorno alla metà della fase e sarà socchiusa alla fine della fase. Questo complica molto il flusso dei gas nei condotti di aspirazione e scarico perchè come detto durante la fase la valvola sta più tempo nella posizione di quasi chiusa che in quella di aperta.

Per compensare questo problema è necessario anticipare il momento in cui le valvole si aprono e ritardare il momento in cui si chiudono, rispetto al momento ideale, in modo che al raggiungimento di questo, la valvola sia sufficientemente aperta o chiusa per far bene il suo compito. Questo però significa anche che ad esempio nella prima parte della compressione, la valvola di aspirazione sia ancora aperta, col rischio che parte della miscela sia respinta fuori invece di essere compressa, oppure che nell'ultima fase di espansione dopo lo scoppio parte della spinta vada persa perchè i gas combusti escono dalla valvola di scarico che si sta aprendo.

Curioso, e fondamentale è il momento dell'incrocio, quello in cui finisce la fase di scarico ed inizia la fase di aspirazione in cui entrambe le valvole sono parzialmente aperte, con ovvie conseguenze.

Questo che sembra un problema, in realtà non è così drammatico. Anzi nei motori moderni e ancor più in quelli più prestazionali gli anticipi e l'incrocio sono veramente notevoli, perché si riesce grazie agli effetti dinamici, non solo a far funzionare tutto come se fossimo nel caso ideale in cui le valvole si aprono e chiudono nei Punti morti, ma addirittura si migliora, riuscendo ad esempio ad incamerare più miscela di quella teorica. Questo fatto è ancora più spinto nei motori 2t ad alte prestazioni, dove pur funzionando tutto in modo diverso, l'incrocio dura quasi metà ciclo.
Ovviamente ci sono degli aspetti negativi come l'incremento di emissioni inquinanti e il peggioramento nel consumo di carburante, aspetti essenziali in un motore stradale, ed assolutamente inutili in un motore da corsa.

Di seguito vi riporto il grafico degli andamenti reali delle aree di passaggio delle valvole di aspirazione e scarico di un generico motore a 4T. Su questo grafico è riportata l'area geometrica o efficace (dipende da come si calcola) rispetto a quella totale, che dipendono dalla posizione della valvola a fungo. Quindi l'andamento dell'area è analoga a quella dell'alzata, ed infatti è analogo a quelli che vi ho disegnato sopra. Spero siano evidenti gli anticipi dell'apertura e il ritardo di chiusura, e come intorno al Pms si abbia un ampio incrocio di ben 120 gradi di manovella (180 è una fase intera).



Diagramma  di un motore reale

AAS = Anticipo Alsata Scarico

AAA = Anticipo Alsata Aspirazione
RCS = Ritardo Chiusura Scarico RCA = Ritardo Chiusura Aspirazione

Un'altro modo per visualizzare le fasi, e gli anticipi è rappresentato dai diagrammi polari, o circolari. Nel primo, un cerchio rappresenta lo scarico e un'altro l'aspirazione. Nel secondo invece è tutto rappresentato tramite una spirale. Cmq siano fatti sono evidenti gli anticipi e l'incrocio che si estendono molto al dilà dei punti morti

 

Approfondimento : L'anticipo della candela

Anche la scintilla della candela che innesca la combustione ha un certo anticipo rispetto al Pms. Perchè anche in questo caso il fronte di fiamma ci mette alcuni istanti per propagarsi. Se si calcola l'anticipo con esattezza si riesce a far arrivare l'onda di pressione sul cielo del pistone esattamente quando questo ha raggiunto il pms. Se si facesse innescare la miscela quando il pistone è al pms, avremo lo strano effetto che il fronte di fiamma deve inseguire il pistone nella sua discesa, con il non desiderato effetto di perdere la spinta per tutto quel tempo che il fronte di fiamma non ha raggiunto il pistone.

Approfondimento : Regolazione degli anticipi

Questi anticipi dipendono dalla forma delle camme e sono calcolati in fase di progetto ad un preciso regime di rotazione, che normalmente è quello di potenza o coppia massima. E' ovvio che man mano che ci si allontana da questo regime di rotazione preso di riferimento le cose vanno via via peggiorando , fino ad essere persino controproducenti. E' per questo che i motori più moderni hanno sistemi di fasatura variabile in modo da variare gli anticipi ad ogni regime di rotazione, ottimizzando le prestazioni del motore su tutto l'arco di funzionamento.



Forza, Coppia, potenza, e curve caratteristiche


3D animation of a fuel injected V8
3D animation of a injected V8

La Forza

La forza è un concetto abbastanza intuitivo e per questo è difficile darne una definizione esatta. Facendo degli esempi si può pensare che se spingiamo un oggetto lo facciamo applicando una forza, allo stesso modo applichiamo una forza se solleviamo un peso, così come due corpi in contatto si scambiano forze, ecc ecc. Il secondo principio della dinamica concepito da newton alla fine del 1600, chiarisce in modo semplice la reale natura della forza. Questo principio afferma che se si applica una forza ad un corpo questo accelera, cioè cambia la sua velocità. Ad esempio quando in un'automobile si azionano i freni, le gomme trasmettono al veicolo una forza contraria al moto, che fa rallentare il veicolo. Stessa cosa fa il motore che permette di far incrementare la velocità del veicolo. La formula che riassume il secondo principio della dinamica è [ F = m * a ] dove "F" è la forza, "m" è la massa e "a" è l'accelerazione.

La Coppia
E' importante introdurre almeno a livello intuitivo è il concetto di coppia, che detto in modo molto approssimativo, è la forza nelle rotazioni. Infatti se applicando una forza ad un oggetto, questo si sposta nella direzione in cui ho spinto, se applico una coppia ad un oggetto questo inizia a ruotare nel senso in cui applico la coppia. Infatti per imprimere una rotazione, come dice il nome (coppia), sono necessarie 2 forze uguali ma contrapposte e che agiscono su assi distinti (rette d'azione). Quello che conta nella coppia è sia l'entità delle forze che la distanza tra i loro assi, chiamata braccio. E' esattamente come per una leva, si può dare molta forza vicino al fulcro (centro di rotazione della leva) o si può dare poca forza a grande distanza dal fulcro. Quindi quello che viene trasmesso dagli organi ruotanti come quelli presenti in un motore è la coppia e non la potenza. La coppia nel motore si genera (come vedremo) dalla esplosione della benzina che imprime una pressione sul pistone che si trasforma in una coppia , attraverso la biella e l'albero motore che agiscono da leva. Poi la coppia raggiunge le ruote tramite la trasmissione, composta per lo più da organi rotanti. La coppia mette in movimento le ruote le quali aderendo al terreno trasformano la coppia in una forza che fa avanzare il veicolo.


La Potenza
L'energia è la capacità di fare un certo lavoro, come ad esempio la capacità di spostare un oggetto, la potenza invece è l'energia nel tempo, cioè tiene conto della capacità di fornire energia, quindi di fare qualcosa, ma riferita alla velocità con cui questa energia viene fornita, cioè alla velocità con cui viene fatta quella certa operazione. Per capirmi meglio faccio un esempio: poniamo che si abbia una catasta di legna e questa vada spostata portandola da un posto all'altro. Una persona può fare questo semplice operazione prendendo un pezzo di legno alla volta e facendo molti viaggi avanti e indietro fino a che tutta la catasta è stata spostata. Una ruspa invece può prendere tutta la catasta in una volta e portarla a destinazione. L'energia che l'uomo e la ruspa hanno fatto per spostare la catasta è la stessa infatti l'energia è in qualche modo legata all'operazione fatta e entrambi hanno portato a termine con successo l'operazione. Quello che invece cambia è il modo di farlo, infatti la ruspa ci ha messo molto meno tempo ... è ovvio che una ruspa è molto più potente di una persona. La potenza tiene quindi conto della velocità con cui si fa un'azione. Tornando alle automobili potrei fare un'altro paragone dicendo che sia una Panda che una Ferrari sono in grado di raggiungere i 100 Km/h , però una Ferrari che è più potente ci arriva molto prima della Panda.


La Catena di forza e coppie
Combustione:
Trasforma, tramite una reazione chimica, l'energia del combustibile in calore e pressione.

Motore:
Trasforma la pressione generata nella combustione, prima in forza tramite la superficie del cielo del pistone e in coppia tramite la biella e l'albero a gomiti .

Cambio:
Modifica la coppia in arrivo dall'albero a gomiti del motore, in altra coppia però ad un numero di giri sfruttabile da un veicolo.

Trasmissione:
Trasporta, per mezzo di organi rotanti , la coppia in uscita dal cambio verso le ruote, e la ripartisce tra le varie gomme.

La ruota:
Trasforma la coppia che viene dalla trasmissione in forza che spinge il veicolo, e lo fa avanzare.



Legame tra coppia e potenza
La relazione che lega queste grandezze caratteristiche è molto semplice:
La Potenza è la Coppia moltiplicata per il numero di giri, purché espresse nelle unità di misura corrette (Kw,Nm,1/s), che in formula si esprime :

P = C * n

Ad esempio se un motore a 3000 giri/min eroga 50 Nm di coppia , eroga a quel numero di giri circa 21 Cv. Infatti 3000 giri/min equivalgono a 314 1/s per cui P=C*n = 15700 kW = 15.7 Kw, che in Cavalli equivalgono a 21.4. Se lo stesso motore a 5000 giri/min eroga 40 Nm di coppia, eroga a quel numero di giri circa 28 Cv. Infatti 5000 giri/min equivalgono a 524 1/s per cui P=C*n = 20900 kW = 20.9 Kw, che in Cavalli equivalgono a 28.4.

Curve caratteristiche
Come abbiamo visto la coppia e la potenza sono le grandezze più significative delle prestazioni di un motore. Per rappresentare queste due grandezze si usa un grafico come quello a lato in cui si riporta con due curve l'andamento della coppia e della potenza al variare del numero di giri. Queste curve si ottengono da test fatti al motore su opportune apparecchiature dette "banchi prova", in condizioni si gas completamente spalancato, e massimo carico. Ogni motore ha delle curve diverse dagli altri, in ogni caso tutte le curve hanno un andamento simile cioè crescono all'inizio poi raggiungono un massimo e dopo discendono. Per la coppia questo avviene perché quando il motore gira piano, è difficile far entrare la miscela fresca nel cilindro mentre quando il motore ed ad alto numero di giri è difficile far riempire in modo ottimale il cilindro di miscela fresca, perché i gas trovano molta resistenza a fluire velocemente nei condotti, e gli attriti del motore si fanno dominanti. La curva di potenza invece sale quasi sempre, tranne nell'ultimo tratto dove tutti gli organi meccanici del motore vanno così veloci che gli attriti disperdono la maggior parte dell'energia prodotta. E' poi da notare come la curva della potenza cresce con maggior rapidità fino al massimo della coppia in quando in questo tratto crescono sia la coppia che il numero di giri. Successivamente il numero di giri continua ad aumentare mentre la coppia diminuisce e curva di potenza (che è il loro prodotto) tende a spianare fino al massimo. E' intuitivo capire, che la curva di potenza sale praticamente sempre, se si pensa al fatto che all'aumentare del regime di rotazione, aumenta il numero di volte in cui scoppia la miscela fresca in un certo tempo.

In questa figura oltre alle curve di coppia e potenza di un motore reale è riportata anche quella del consumo. E' interessante notare come di solito il consumo minimo si abbia col la farfalla del gas completamente spalancata e ad un numero di giri intorno al punto di coppia massima. Un'altra cosa che si nota è che il punto di coppia massima si ha in corrispondenza del numero di giri in cui la retta che passa per l'origine degli assi tange la curva di potenza.


Coppia, potenza e prestazioni del veicolo
Pensiamo come prima ipotesi, alla condizione in cui l'auto mantiene inalterato il rapporto di trasmissione tra il motore e le ruote, cosa che avviene finché l'auto non cambia marcia. In queste condizioni l'accelerazione del veicolo ha lo stesso andamento della curva di coppia, e questo significa ad esempio che la massima accelerazione si ha in corrispondenza della coppia massima. Allo stesso modo se un'auto ha una curva di coppia migliore di un'altra, accelera di più dell'altra. E' da osservare che una volta impostata una marcia la potenza non conta nulla, e la velocità del veicolo dipende solo dalla coppia erogata dal motore.

Allora a che serve la potenza ? la potenza rispetto alla coppia aggiunge l'informazione del numero di giri a cui la coppia viene erogata, infatti la definizione, come visto, è proprio coppia per numero di giri. Questo implica che avere una potenza maggiore a parità di coppia significa che il motore è in grado di generare quella specifica coppia (e quindi quella specifica forza per far avanzare il veicolo) ad un numero di giri più alto. Questo è un grandissimo vantaggio perché è possibile usare un rapporto di trasmissione più corto (come andare in 3° marcia invece che in 4°),
cioè avere molta più forza che spinge il veicolo a parità di velocità del veicolo. In sintesi avere più potenza permette di avere, alla stessa velocità del veicolo, più coppia alle ruote e quindi maggiore accelerazione.


Quindi quando si progetta un motore da corsa, si cerca di avere più potenza possibile per poter avere più accelerazione possibile, e si cerca di avere un' andamento della curva coppia il più possibile progressivo in modo da non avere strappi o cali.

In questa ottica è quindi poco importante sapere se la potenza deriva da molta coppia a basso numero di giri o poca coppia ad alto numero di giri. E' per questo che due vetture spinte da due motori così diversi come un diesel o un benzina, se hanno la stessa potenza si comportano in modo praticamente identico.
 In realtà la presenza del turbo (ormai sempre presente nei moderni motori diesel) garantisce un'andamento di coppia più ricco ai bassi regimi, rispetto ai benzina, che di solito sono aspirati, con conseguente vantaggio per l'accelerazione del veicolo in fase di ripresa.


La sovralimentazione

La sovralimentazione è un metodo, adoperato nei motori a combustione interna, per ottenere un aumento, anche elevato, della potenza del motore. In pratica come abbiamo visto uno dei limiti dei motori è nella quantità di carburante ed aria che riempie il cilindro prima della compressione e dello scoppio. Infatti nei motori aspirati, è il pistone che con il suo movimento nel cilindro richiama la miscela dall'esterno. Lo scopo della sovralimentazione è quello di utilizzare un marchingegno esterno, ad esempio una pompa, che spari dentro il cilindro una quantità di miscela superiore o spesso molto superiore a quella normale, ottenendo di fatto un notevole incremento del coefficiente di riempimento con il conseguente innalzamento del valore della pme e quindi della potenza utile.

Per realizzare, nella pratica, la sovralimentazione, i metodi sono molteplici, ed assumono vari nomi. Il più usato, efficiente, ed energeticamente furbo è quello basato sul turbo-compressione, così che spesso si parla di turbo per parlare della sovralimentazione in generale.

Il turbo-compressore è un marchingegno che recupera l'energia dai gas combusti espulsi dal motore per poi riutilizzarla per comprimere la miscela in ingresso e poterla così sparare dentro il cilindro. E' costituito da una turbina ed un compressore montati sullo stesso albero che li fanno ruotare alla stessa velocità.
La turbina è un disco munito di palette ed è usata allo scopo di trasformare l'energia dei gas di scarico in energia. Il compressore è simile, come costruzione, ma funziona esattamente all'opposto. Prende energia dalla turbina, tramite l'alberino ed energizza il fluido dandogli pressione e velocità.
 
Questo è il funzionamento schematico e nella sua formulazione più semplice; vediamo ora il tutto in dettaglio, analizzando pregi e difetti.

La turbina e i gas di scarico

I gas di scarico vengono raccolti e convogliati alla turbina, però essa lavora al meglio con un flusso di gas costante, ma i gas di combustione vengono espulsi da ogni cilindro in maniera non continua. Infatti la fase di scarico occupa solo un quarto del ciclo quindi si manifesta per ogni cilindro ogni due giri dell'albero a gomiti .
Per questo motivo per certi motori (ma non per quelli per auto) si inserisce un "serbatoio" di raccolta dei gas di scarico che fa si che i gas entrati in maniera impulsiva, rallentino ed escano da questo come una corrente continua. Questo metodo ha il vantaggio di massimizzare il rendimento della turbina, che è un tipo di macchina adatta a lavorare in condizioni costanti, ma ha due svantaggi evidenti: il primo è che spesso sotto il cofano di una vettura non c'è lo spazio per ospitare questo serbatoio che deve essere di notevoli dimensioni; l'altro svantaggio deriva dal fatto che il serbatoio fa si che la turbina risenta con un grosso ritardo del cambiamento di velocità del motore e quindi non reagisca in maniera pronta alla richiesta di potenza dal motore, per questo motivo tale metodo è usato per motori a regime costante, quali quelli per produzione d'energia.

Nel caso automobilistico gli scarichi vengono convogliati direttamente verso la turbina. Questo purtroppo farà lavorare la turbina in maniera irregolare e quindi meno efficiente ma la risposta sarà sicuramente più immediata, e seguirà, un pò meglio, le richieste del motore. Anche il modo di collegare gli scarichi, tra loro, prima di entrare nella turbina, richiede degli accorgimenti: un ciclo del motore avviene in due giri e ogni cilindro fa una fase di scarico in mezzo giro (di più se consideriamo anticipi di apertura e ritardi di chiusura) quindi se avessimo un solo cilindro avremmo una mandata per solo un quarto del periodo del ciclo e il resto del periodo non avremmo flusso. Se accoppiamo due cilindri le cose già migliorano e ancora meglio con tre cilindri perchè  riusciamo a riempire quasi tutto il ciclo con del flusso.

Spaccato Turbina

Invece se abbiamo più di tre cilindri collegati insieme direttamente si rischia che i flussi interferiscano fra di loro. Cioè può capitare che un cilindro che inizi a scaricare, trovi all'uscita lo scarico di un'altro cilindro che già aveva iniziato la fase di espulsione. Per questo è bene che i cilindri o siano adeguatamente sfasati fra di loro (se sono minori meno di 3) o adottino particolari convogliatori (se sono 4 o più). Ovviamente se i cilindri sono multipli di tre si possono mettere più turbine, ognuna alimentata dai tre cilindri. Ad esempio un 12 cilindri a V, da il massimo con 2 gruppi di turbo-compressori , uno per bancata (BI-turbo), ognuno dei quali alimentati dai 6 cilindri raggruppati in due blocchi di 3 cilindri divisi tra loro dai convogliatori.


L'aria ambiente e il compressore

Per quanto riguarda il lato dell'aspirazione si ha il compressore che aspira aria dall'ambiente e la manda dentro il motore. Nei sistemi un pò più sofisticati, ma oggi praticamente sempre, prima di entrare nella camera di scoppio l'aria compressa passa prima da un "itercooler". Infatti i gas, quando vengono compressi, per loro natura aumentano la loro temperatura. Questa alta temperatura annulla in parte l'effetto della compressione perchè i gas caldi sono più rarefatti. Quindi per evitare questo, si ricorre, appunto, all'intercooler che non altro che uno scambiatore di calore aria-aria: è in pratica come il normale radiatore dell'auto, ma invece di avere al suo interno acqua, ha l'aria appena compressa; l'aria viene così raffreddata fino a circa la temperatura ambiente e può finalmente entrare nel motore.

I Problemi del Turbo-compressore

Come accennato, anche con la soluzione di convogliare gli scarichi verso la turbina non garantisce una perfetta risposta del turbo alle richieste del motore. Infatti il motore e la turbina lavorano secondo un circolo vizioso. Se il guidatore, schiaccia il pedale, perchè ha bisogno di potenza per accelerare, il motore per far questo, deve iniettare più aria e più carburante. L'arrivo dell'aria dipende in buona parte dal compressore, il quale però usa l'energia della turbina che si alimenta dai gas di scarico. Quindi la turbina per fornire più energia al compressore ha bisogno di più gas di scarico, ma questi non si producono se il compressore non alimenta il motore con maggior aria e carburante. Per uscire da questo circolo il motore ha bisogno i qualche istante, così che il guidatore, che richiede potenza se la ritrova dopo un pò, magari quando non serve più tutta quella potenza o addirittura non serve proprio. Questo ritardo che è sempre superiore a quello che può avvenire in un aspirato, in cui è praticamente inavvertibile, può andare da alcuni millisecondi per motori raffinati e che stanno girando ad alto numero di giri, a svariati secondi per motori meno efficienti e che stanno girando a basso numero di giri, generando notevoli inconvenienti, e soprattutto rischi per la sicurezza.

Un'altro problerma è che l'effetto benefico del turbo varia in funzione dei giri del motore, perchè con i giri varia la portata dei gas di scarico prodotti. Se il motore gira piano, produce pochi gas e la turbina non riesce più a prenderene energia, sia perchè appunto l'energia disponibile è poca sia perchè la turbina lavora in condizioni estremamente lontane da quelle ottimali cioè con un rendimento bassissimo. Quindi l'uso del turbo è estremamente utile per i motori da competizione, o per quelli di serie molto sportivi, in quanto da il meglio ad alti regimi di rotazione ed ad alte potenze. Viceversa per i veicoli di serie normali,  ha poco senso utilizzarlo, in quanto, la maggior parte dell'uso del motore viene fatta a bassi regimi.

Oltre a questo chi ha provato, un'auto sovralimentata, specie se di vecchia generazione (ad esempio la FIAT UNO), avrà avvertito un'altro dei suoi problemi. Il fatto è che, l'effetto positivo del  turbo inizia a funzionare solo ad un determinato numero di giri, mentre al disotto di questo il turbo è addirittura un freno. Così si ha che all'inizio , in fase di accelerazione il motore stenta a salire di giri e quando il turbo "entra", sembra che il motore raddoppi improvvisamente di potenza, dando per un' istante una fortissima accelerazione, nota anche col termine "tecnico" di  "calcio in culo" ! E' ben comprensibile che questa brusca accelerazione renda difficile e pericolosa la guida, sia quella di tutti i giorni che quella al limite in pista, e soprattutto se il fondo stradale è bagnato o scivoloso, o se peggio si sta percorrendo una curva. Nelle moto poi questo problema è ancor più sensibile, così che i modelli di moto turbocompresse, da quando esistono le moto, praticamente si contanto sulle punta delle dita.

Per migliorare queste problematiche, sono state inventate le turbine a geometria variabile, nelle quali le alette all'ingresso della turbina cambiano d 'incidenza, cioè ruotano su se stesse, in modo che a bassi giri, i gas abbiano un angolo d'entrata che migliori il funzionamento dalla turbina, cioè il suo rendimento e quindi di tutto il turbo-compressore. Al contrario, per quando l'effetto del turbo è superiore delle richieste del motore, (ad esempio quando dopo un'accelerazione si frena), oltre a poter sfruttare la geometria variabile per far peggiorare le prestazioni della turbina, esiste una valvola che permette di scaricare parte dei gas combusto, abbassando di fatto la pressione nel condotto di aspirazione.

Per sfruttare a pieno le geometrie variabili e per compensare i problemi residui, oggi si ricorre ad un massiccio uso dell'elettronica che fa in automatico quello che farebbe un bravo pilota, permettendo a chiunque di guidare un turbo anche di notevole potenza senza grossi problemi, però peggiorandone, di fatto, l'efficacia, e spesso annullando il fascino di questa soluzione tecnica.

Il turbo nei motori a benzina : luci ed ombre

Nei motori a benzina l'uso del turbo è estremamente limitato dalle caratteristiche chimico- fisiche del carburante, così che il suo impiego per veicoli di serie è in generale poco utile, se non per dare un carattere particolare al propulsore.

Immaginiamo, quindi, di avere un motore aspirato, di applicarci il turbocompressore e di vedere cosa succede. La pressione massima che si raggiunge nel motore a seguito della combustione della miscela, aumenterà sensibilmente, per effetto della sovralimentazine, in quanto viene bruciata, nella camera di combustione, una quantità di carburante e aria superiore. 

Questo comporta, per prima cosa, che il motore subirà sollecitazioni maggiori e probabilmente dannosi così che i motori turbocompressi dovranno essere, in generale, più massicci e quindi più pensati dei corrispondenti motori aspirati a pari cilindrata, ma spesso più leggeri a parità di potenza erogata.

Inoltre avremo vari fenomeni di combustione anomala tra i quali il più grave e preoccupante è quello della detonazione, dovuto soprattutto ad una temperatura e pressione massime troppo elevate. In più la detonazione è totalmente imprevedibile e si auto-alimenta per cui porta in breve tempo alla rottura degli organi meccanici. (vedi pagina specifica)

V : Cilindrata
Vc : Volume camera di combustione
Pa : Pressione atmosferica
Pm : Pressione massima
P'm : Pressione massima per il ciclo sovralimentato
Pd : Pressione di inizio detonazione

Questo limita moltissimo il livello di sovrappressione che può sviluppare il turbo, dato che già i motori aspirati di serie sono tarati al limite della detonazione. La strada giusta da seguire è quella di diminuire il rapporto di compressione del motore, cioè aumentare il volume della camera di combustione, a parità di cilindrata. Agendo in questo modo, la pressione raggiunta quando il pistone è al pms, tornerà ai valori ammissibili. Con questo metodo, si perde un pò di rendimento ideale (che dipende dal rapporto di compressione) ma si incrementa il coefficiente di riempimento, con la conseguenza che globalmente aumenta la pme e quindi la potenza.

Si può vedere dai grafici le due situazioni. Nel primo i due motori hanno lo stesso rapporto di compressione, ma uno è sovralimentato e l'altro no.
Il ciclo aspirato rimane nella zona sicura, mentre il secondo arriva nella zona della detonazione con i problemi visti.
Nel secondo grafico la curva del ciclo ha la stessa altezza massima, ma un rapporto di compressore minore. Entrambi i cicli hanno una pressione massima che è in zona "sicura" ma il ciclo sovralimentato ha un' area maggiore che corrisponde, nella stessa maniera, ad un aumento del lavoro fatto dal motore, e quindi della potenza.

V : Cilindrata
Vc : Volume camera di combustione
Pa : Pressione atmosferica
Pm : Pressione massima
P'm : Pressione massima per il ciclo sovralimentato
Pd : Pressione di inizio detonazione

Il turbo nei motori diesel : tutte luci

Quello che limita l'uso del turbo nel benzina, è invece il grande pregio che ha permesso al motore diesel di fare il salto di qualità diventando, oggi giorno, il motore più venduto in Italia. Infatti nel diesel, la miscela di carburante ed aria, non brucia a seguito dell'innesco tramite scintilla come nel motore a benzina, ma esplode a causa della compressione e della temperatura. E' quindi evidente che più "roba" c'è nel cilindro e più saranno alte le pressioni alla fine della corsa di risalita del pistone. Questo, da una parte, permette di usare il sovralimentatore senza particolari limiti, dall'altro introduce notevolissimi altri vantaggi. In primis la maggior compressione garantisce una maggior velocità di combustione, che significa più potenza, meno inquinati, meno rumore, meno vibrazioni. Poi l'uso del turbo permette dei lavaggi eccellenti e un' ottimo raffreddamento, perchè la sovrappressione generata dal  compressore fa scorrere molta aria nel cilindro durante l'incrocio. Infatti il turbo nei diesel lavora solo con l'aria, mentre il carburante viene vaporizzato direttamente nella camera di combustione tramite uno o più ugelli , quando le valvole sono tutte chiuse. Questa tecnica si chiama iniezione diretta. Poi il turbo permette anche di costruire condotti di aspirazione anche tortuosi ma con il pregio di poter generare alte turbolenze, che garantiscono un'eccellente miscelazione tra il gasolio e l'aria con notevoli benefici per la combustione.
L'unico aspetto negativo dei turbo-diesel moderni è che l'estrema complicazione tecnica di tutti gli organi che devono lavorare in perfetto sincronismo e con possibilità di errori ridottissime, specie per rimanere nei limiti di legge per quanto riguarda le emissioni inquinanti, obbliga ad un uso spaventoso di elettronica che rende questi propulsori, complicati, pesanti, costosi, meno affidabili e nei quali per metterci le mani bisogna essere laureati in elettronica e in informatica.

Il Volumetrico : Poca sostanza, molto marketing

Il compressore volumetrico, oggi usato solo su pochissime vetture (ad esempio le Mercedes col nome commerciale di Kompressor), è un tipo di sovralimentazione inventato e utilizzato per la prima volta agli albori dell'aviazione, per compensare la rarefazione dell'aria in alta quota, ma fu subito abbandonato per i motivi che vedremo. In pratica il compressore è montato sull'albero motore ed assorbe energia da questo e comprime l'aria da inviare ai cilindri. Un piccolo vantaggio come potenza finale si ottiene , ma dal punto di vista energetico e dei consumi, non ha alcun senso utilizzarlo, in quanto per generare la compressione si assorbe l'energia che dovrebbe spingere il motore, invece di quella buttata con i gas di scarico. In pratica il propulsore deve buttare via del carburante per generare la potenza che serve ad ignettare altro carburante. Per capirci meglio faccio un esempio: immaginiamo un motore che è in grado di generare 10 di potenza con 10 di carburante. Gli mettiamo il compressore volumetrico che assorbe 2 di potenza. Il compressore inietta abbastanza carburante (14) da portare la potenza del motore a 14. In totale quindi la potenza disponibile per far avanzare il veicolo è 12, ma usiamo 14 di carburante. Abbiamo quindi ottenuto maggiore potenza ma l'efficienza del propulsore nel suo complesso è diminuita sensibilmente perchè ci vuole 1.17 di carburante per 1 di potenza invece di 1a1.
L'unico vantaggio che ha questo tipo di sovralimentazione rispetto al normale turbo, è che il compressore essendo trascinato dal motore non ha problemi di ritardi o di brusche accelerazioni. In pratica, fornisce un incremento di potenza modesto, ma su tutto l'arco di utilizzo del motore.
Perchè viene usato? La risposta non è facile. Da un lato probabilmente c'è una carenza tecnica nel saper fare motori aspirati di buona qualità, ma soprattutto è una questione di marketing, infatti la pubblicità fa credere che questo sia un sistema rivoluzionario,  innovativo, e raffinato quando invece è una schifezza. Le auto per essere vendute hanno bisogno di un qualche "appil" cioè di qualche carattere distintivo, e con una buna campagna pubblicitaria si fa credere quello che si vuole.

Conclusioni

L'adozione del Turbo-compressore ha in sintesi le seguenti caratteristiche:

 PRO:
- riduce imgombro e peso a parità di potenza sviluppata
- può in generale diminuire i consumi specifici
- rende il motore meno rumoroso
- rende i gas di scarico meno inquinanti
- rende il motore poco sensibile alle variazioni di quota

 CONTRO:
- aumento dei carichi meccanici e termici sugli organi del motore
- porta al pericolo di detonazione nei motori a benzina
- andamenti di coppia e potenza non adatte alla trazione stradale
- lunghi tempi di risposta nei transitori

Quindi l'adozione del turbocompressore, porta a motori solidi, affidabili e alta potenza specifica, ma non particolarmente adatti alla trazione degli autoveicoli.




Logo della F1 usato dal 1987 al 1994

La stagione 1983 è quella dell'addio alle minigonne, le bandelle laterali che costituivano la componente tecnica essenziale delle wing car. Le sfide tecniche della stagione sono ora rappresentate dal c.d. fondo piatto e dai motori turbo. Ora, per ottenere carico aerodinamico, la down force che tiene le vetture incollate al suolo, bisogna puntare esclusivamente sugli alettoni non essendo più possibile sfruttare le wing car con le loro minigonne.

Il 1983 si situa in piena era turbo con propulsori
da 900 cavalli in gara e da 1200 in qualifica.

Nel 1983 la McLaren non avrà una buona stagione, salvo il famoso gran premio di Long Beach con la doppietta Watson-Lauda ... ma in realtà la McLaren è pronta per dominare il 1984. Al salone di Ginevra, infatti, viene presentato il propulsore TAG-Porsche destinato ad equipaggiare la McLaren l'anno seguente. Il motore che segnerà
una svolta per la McLaren, nasce grazie ai finanziamenti di Mansour Ojjeh, già
partner della Williams.

Dunque, il colpo di genio di Ron, fu quello, nel 1983, di convincere la Porsche a costruire un turbo da dare alla McLaren: al mondo non esisteva un costruttore con maggior esperienza della Porsche per quanto riguarda i turbo. Come abbiamo detto già, l'altra mossa geniale di Ron Dennis fu quella di ottenere il sostegno economico della TAG di Ojjeh che entrerà in seguito a far parte come co-proprietario della McLaren International, di cui è azionista ancor oggi.

Sempre in quel periodo, all'inizio del 1984, la McLaren si assicura un uomo dall'esperienza unica nel settore del mondo delle corse (dire f1 sarebbe riduttivo): si tratta del messicano, Jo Ramirez che rimarrà nel team McLaren sino al suo ritiro dalle corse nel 2001 ma che ancor oggi è uno di "famiglia" nel leggendario team inglese. Ramirez assume la qualifica team coordinator: il suo compito attiene all'organizzazione del lavoro quotidiano, alla gestione del lavoro in pista, alla logistica in generale, insomma. Questa divisione dei compiti, lascia quindi libero Dennis di occuparsi solo dell'alta gestione del team, lasciando il prezioso lavoro di tutti i giorni (che va seguito con costanza e totale attenzione minuto per minuto) a Ramirez: anche questa organizzazione, nonchè le qualità umane e professionali del nuovo arrivato, faranno grande la McLaren negli anni seguenti.
La vettura presentava come principale caratteristica l'utilizzo della fibra di carbonio per la realizzazione del telaio, soluzione adottata dalla McLaren sin dal 1981.
A differenza del team anglo-neozelandese, il progettista Gordon Murray utilizzò la fibra di carbonio solo per la parte superiore del telaio, lasciando la parte inferiore in alluminio a nido d'ape, copiando letteralmente la soluzione adottata dalla Ensign nel 1982.

La Brabham BT52Ma anche esternamente, la monoposto era molto diversa rispetto a quella dell'anno precedente.

Le fiancate erano ora molto corte con una disposizione detta "a freccia" che offriva oltre ad una bassa portanza, anche un arretramento dei pesi verso il posteriore. Le sospensioni anteriori presentavano un nuovo schema, a quadrilateri deformabili con puntone diagonale (in inglese detto push-rod) ancorato alla parte bassa del mozzo ruote, che spingeva un bilancere nel telaio per comprimere la molla-ammortizzatore. La monoposto montava pneumatici Michelin.




Il motore era un 4 cilindri in linea BMW denominato M12/13, montato in posizione posteriore longitudinale, la cilindrata era di 1.499 cc e sovralimentato mediante singolo turbocompressore, era capace di sviluppare in gara una potenza di 740 cv con sovrappressione di 3 bar e accreditato della potenza di circa 800 cv durante le qualifiche con una pressione di 3,2 bar.


Torniamo indietro all'83:
A vincere il titolo sarà il primo campione del mondo turbo della storia.
Uno dei team più forti è la Brabham che alle sue spalle ha uno sponsor come la Parmalat. Mentre la McLaren progetta il dominio del 1984, la Brabham con motore turbo BMW è pronta a far suo il titolo del 1983. A contendere il titolo alla Brabham sono la Renault (altri specialisti del turbo) e la Ferrari.

A far suo il titolo piloti del 1983 sarà Piquet con la Brabham BMW (con qualche polemica legata alla benzina usata dalla Brabham), mentre per il 1984 la McLaren attuerà effettivamente il dominio le cui base furono gettate al momento dell'accordo con la Porsche. Il titolo piloti del 1984 è una faccenda a due tra i piloti della McLaren: Lauda contro Prost, alla fine prevale Lauda di 1/2 punto, 72 a 71,5. Terzo è De Angelis con la Lotus Reanult. Una delle stelle di quel mondiale, seppur per una sola gara, fu il giovanissimo Senna che con la Toleman diede spettacolo sotto l'acqua a Montecarlo.
Per quanto riguarda la Coppa costruttori, ad aggiudicarsela per il 1983 è la Ferrari mentre nel 1984 è la McLaren.

Come si può facilmente comprendere, la scelta di abolire le minigonne e l'effetto suolo (una scelta giusta a fronte della pericolosità assurda di quelle vetture) ebbe un impatto importante sulla f1 che vide le squadre impegnate puntare su altre strade tra cui lo sviluppo dei motori turbo. Questo ha costretto le squadre ad appoggiarsi alle grandi case costruttrici per realizzare i motori turbo.

Differenze tra un motore di F1 e un motore di una vettura stradale



testa di un pistone
Le differenze dei motori che equipaggiano le vetture stradali da quelli di una monoposto da F1 sono notevoli. Nonostante l'esistenza di motori con cilindrata superiore a 3 litri (es. Lamborghini Diablo 6.0 da 6 litri), nessuno di questi arriva a potenze di 850 cavalli. Ciò è dovuto sia all'inutilità di queste potenze in città o in autostrada, sia perchè il consumo di benzina sarebbe troppo elevato, per non parlare dei costi esorbitanti e del problema ambiente. Le differenze, comunque si possono notare anche nella realizzazione di un motore da formula 1. In essi ci sono componenti in ceramica e fibre di carbonio che si dilatano meno del ferro alle alte temperature e sono meno pesanti. Naturalmente questi componenti non possono essere utilizzati in parti meccaniche che devono essere resistentissime (albero motore, pistone, ecc.). Sebbene solo il 5% del motore è costituito da questi componenti (infatti 1/3 è realizzato in acciaio e quasi 2/3 in alluminio), essi svolgono un ruolo importante nell'incremento della potenza.
Altre differenze si possono trovare nella distribuzione che di norma è a due alberi a camme in testa, con quatto o cinque valvole per cilindro. L'adozione di due alberi a camme in testa consente di ridurre al minimo assoluto il numero di componenti interposti tra ogni valvola e l'eccentrico che le impartisce il moto.Questo vuol dire che l'inerzia dei componenti in moto alterno risulta minore e che quindi, a parità di sollecitazioni meccaniche, sarà possibile raggiungere regimi di rotazione più elevati.
     Anche nei pistoni si può trovare una differenza d'altezza che è molto ridotta rispetto al diametro, al fine di ridurre il peso e le perdite per attrito,
     sono sempre dotati di ampie sfiancature laterali.
     Anche le bielle spesso sono in titanio, materiale dalle elevatissime caratteristiche meccaniche, che ha un peso molto contenuto ed un costo                      elevatissimo, che ne ha sempre confinato l'uso all'industria aerospaziale o al mondo della F1

Camera di combustione molto appiattita e raccolta; valvole (in titanio) di grandi dimensioni

Per eliminare le deformazioni elastiche anomale delle molle di richiamo delle valvole, si usa un sistema di richiamo pneumatico chiamato "desmodromico". Normalmente le valvole vengono richiamate in posizione di riposo da una molla, mentre nel sistema desmodromico anche il movimento di ritorno viene comandato meccanicamente da un bilanciere, nello stesso tempo in cui si comanda l'apertura della valvola. Questa soluzione che consente di utilizzare alberi a camme che imprimono notevolissime accelerazioni alle valvole sia in fase di apertura che in fase di chiusura. Rispetto a un sistema tradizionale la valvola viaggia a una velocità molto più elevata e impiega quindi meno tempo sia per aprirsi che per chiudersi, favorendo quindi la respirazione del motore. Un altro vantaggio del "desmo" risiede nel minor assorbimento di potenza, in quanto non vi sono molle da comprimere per aprire le valvole e la rotazione dell'albero a camme risulta molto più libera.

La trasmissione Così come le normali auto hanno la frizione, le marce e il differenziale, anche le monoposto sono dotate della trasmissione che però è molto più sofisticata. Basti pensare che deve poter scaricare su due ruote ben 800 hp di potenza.

Frizione Nelle monoposto la frizione è direttamente collegata al motore ed è fissata proprio attraverso il motore e la scatola dei rapporti. Le aziende che producono frizioni sportive sono due: "AP racing" e "Sachs", che producono frizioni in carbonio che devono resistere a temperature elevatissime (500 °C). Per regolamento la frizione deve essere elettro-idraulica e normalmente non pesa più di 1.5 kg. La frizione, essendo quasi automatica, non viene usata manualmente, ma si attiva da sola quando si cambia marcia (sia quando si sale che quando si scala). Solo alla partenza e al pit stop, cioè quando si passa da N alla prima, si utilizza la frizione che oggi, grazie all'elettronica non assolve più quella grande importanza che aveva prima. Infatti alla partenza della gara, per evitare di far slittare le ruote i piloti lasciavano la leva della frizione (è posizionata dietro al volante sotto la leva per salire di rapporto) dolcemente. Oggi invece interviene in ausilio l'elettronica che "limita" la potenza al motore quando le ruote stanno per slittare. La frizione di una monoposto ha una dimensione di circa 100 mm di diametro


I freni

freni incandescenti

Impianto frenante monoposto

Disegno di un disco con relativi componenti

 I freni delle vetture da F1 sono a dir poco stupefacenti. Infatti essi possono rallentare una macchina da 300 km/h a 50 km/h in quattro secondi percorrendo solo 130 metri!!!Nella figura  si vede come i freni Brembo della Minardi siano al massimo tanto che sono diventati incandescenti misurando temperature oltre i 900°C . (la parte nera è quella in cui si trovano le pinze). Normalmente però i freni devono lavorare a temperature di 750°C e devono essere raffreddati rapidamente pena uno spazio di frenata molto più lungo. Tra i freni del semiasse anteriore e quelli del posteriore c'è una netta differenza di surriscaldamento. Infatti i freni anteriori raggiungo temperature più alte rispetto ai freni posteriori. Ciò è dovuto al fatto che in frenata la maggior parte della massa si riversa in avanti e quindi si ripartisce la frenata quasi sempre al 60% in avanti e al 40% al retro. Sotto da sinistra sono stati fotografati i freni anteriori della Ferrari, e quelli posteriori della McLaren del 1998 (notare la differenza di diametro dei freni).

Per le qualifiche solitamente si usano freni molto più sottili del normale per diminuire il peso del veicolo, ma che hanno le stesse capacità di frenare la monoposto. Questi freni, invece, non vengono usati in gara perchè facilmente potrebbero cedere facendo perdere la gara al pilota. In gara si usano freni spessi 28 mm (che è il massimo consentito), mentre in qualifica si usano freni da 21 mm. Il funzionamento dei freni da F1 è lo stesso di quello dei normali freni a disco. Nella foto in alto a sinistra si possono vedere quei forellini nel freno. Essi servono solo a far uscire più rapidamente l'aria calda in modo da raffreddarsi subito.Nell'immagine sottostante si vede come funziona un freno a disco.


Il differenziale

Differenziale

Elemento importantissimo nelle monoposto e in tutti i veicoli a quattro ruote (ad eccezione di go-kart) è il differenziale. Il differenziale è un elemento della trasmissione, disposto tra la scatola del cambio e le ruote motrici, che gioca un ruolo importantissimo nella tenuta di strada in curva. Infatti in una curva la ruota esterna dovrà coprire una distanza maggiore rispetto alla ruota interna: in questo caso, quindi ogni ruota presenterà una diversa velocità di rotazione. Al verificarsi di questa situazione, se le due ruote motrici si trovano entrambi sullo stesso asse di rotazione, questa differenza può non esistere le due ruote possono ruotare alla stessa velocità, causando il pattinamento del veicolo, offrendo quindi una scarsissima tenuta di strada.
Con un differenziale di tipo tradizionale, è possibile evitare questo problema, distribuendo la coppia motrice su ciascuna ruota, in modo che esse possano presentare una diversa velocità di rotazione. Lo svantaggio principale di questo sistema tradizionale deriva, quando le due ruote presentano condizioni di aderenza differenti, poichè in questo caso, la maggior parte della coppia motrice viene distribuita sulla ruota che presenta l'aderenza minore, producendo, quindi, una notevole perdita di energia cinetica. I gruppi differenziale presenti sulle vetture di F1 sono dotati di impianti elettronici, che possono adattarsi a tutte le situazioni, trasferendo, se necessario, parte della coppia motrice della ruota che gira più rapidamente, alla ruota che presenta la maggiore aderenza: in questo caso, parliamo di bloccaggio. Solitamente esistono 5 posizioni di trasferimento di coppia da una ruota all'altra. Nella posizione uno, il differenziale trasferisce solo parte della coppia motrice da una ruota all'altra e la velocità di trasferimento è relativamente bassa (simile al differenziale tradizionale); nella posizione cinque si ha un trasferimento massimo di coppia, con una maggiore velocità di trasferimento che porta, però, ad un'improvvisa perdita di aderenza sull'asse della ruota posteriore, in caso di bloccaggio in curva. I piloti devono trovare un giusto compromesso, nella regolazione di questo sistema, tra l'energia cinetica e la tenuta di strada nelle curve: aumentando il coefficiente di bloccaggio si guadagna motricità, riducendolo si migliora l'aderenza.

L'aerodinamica
I principi base e l'evoluzione nella F1


   

Cos'è l'aerodinamica? Già il nome ci suggerisce che l'aerodinamica è la scienza che studia la dinamica, cioè il movimento, del fluido nel quale si muovono la maggioranza dei mezzi di trasporto costruiti dall'uomo. Perché lo studio di questa scienza è così importante nella progettazione delle automobili ed in particolare di monoposto di F1? Perché l'aria (che si presenta come un gas trasparente difficile da indagare e studiare con semplici strumenti, tanto da rendere necessaria la costruzione di costosissimi impianti quali le gallerie del vento) acquista moltissima importanza quando un corpo si muove in essa, condizionandone pesantemente il moto a causa della resistenza che il fluido esercita sul corpo e delle interazioni reciproche che si vengono a creare (basti pensare ad una piuma che cade a terra molto più lentamente di una sfera di piombo, nonostante la legge di gravitazione universale gli imponga (nel vuoto!) di cadere con la stessa accelerazione di 9,8 m/s2).  E' evidente quindi quanto, fin dai primordi, lo studio aerodinamico sia stato una componente fondamentale della progettazione di auto da corsa e l'importanza di questa componente aumentava con l'incremento delle potenze dei motori e quindi delle velocità massime.

L'inizio


La F1, rappresentando fin dagli esordi nei primi anni '50 la punta di diamante delle competizioni automobilistiche mondiali, dette modo ai progettisti di dare il meglio di sé in ogni settore. In particolare l'aerodinamica assunse subito un ruolo abbastanza importante (nonostante i limiti tecnologici dell'epoca), in quanto, per definizione, le monoposto di F1 hanno il grosso handicap delle ruote scoperte, che rappresentano un notevole freno aerodinamico. Si presentava quindi il problema di trovare una forma per i bolidi che garantisse la miglior penetrazione nell'aria. I primi progettisti non dovettero sforzarsi più di tanto nell'individuare tale forma, dato che era già presente in natura: la goccia.


La leggendaria Auto Union  Type C pilotata da Bernd Rosemeyer al Nürburgring


Seguendo una moda che era già in voga nel periodo fra le due guerre, le fusoliere venivano disegnate con la forma più affusolata possibile, piazzando apposite bombature alle spalle del pilota o nelle fiancate (vedi la D50) in modo da rendere il più possibile laminare il movimento (relativo) dell'aria attorno al corpo vettura e quindi da limitare le turbolenze.

   



La Ferrari D50 (che era in origine un progetto Lancia) vinse il mondiale di F1 nel '56 con Fangio



I primi progettisti non dovettero sforzarsi più di tanto nell'individuare tale forma, dato che era già presente in natura: la goccia.
Seguendo una moda che era già in voga nel periodo fra le due guerre, le fusoliere venivano disegnate con la forma più affusolata possibile,
piazzando apposite bombature alle spalle del pilota o nelle fiancate (vedi la D50) in modo da rendere il più possibile laminare il movimento

(relativo) dell'aria attorno al corpo vettura e quindi da limitare le turbolenze.

Gli anni '60

   

Durante gli anni '60 l'estremizzazione della ricerca della massima penetrazione aerodinamica portò alla progettazione di macchine sempre più lunghe (anche a causa del motore posteriore), e sottili, con la posizione del pilota sempre più sdraiata, tanto da rendere celebre la loro forma a "sigaro".

Lotus 33 Climax

Il compianto Jim Clark con la mitica Lotus 33

 



La Lotus 33 è una vettura monoposto impiegata in Formula 1, progettata da Colin Chapman e costruita dal Team Lotus. Il progetto si basava sulla precedente Lotus 25 portando la progettazione del telaio monoscocca ad un nuovo livello. Sulla 33 veniva usato nuovamente il motore Climax da 1.500 cm³. La Lotus 33 era quasi identica alla 25 anche se aveva il progetto delle sospensioni realizzato intorno ai nuovi e più grandi pneumatici. Inoltre era più rigida e di costruzione meno complessa delle vetture precedenti.

Realizzata per la stagione 1965, la 33 vinse con Jim Clark alla prima gara che si tenne in Sudafrica. Durante la stagione la Lotus 33 vinse altre quattro volte conquistando così il secondo titolo. Clark non partecipò alla gara di Monaco, gara mai vinta da Clark, per correre alla 500 miglia di Indianapolis dove arrivò primo. Rispetto al motore della Lotus 25 il nuovo Climax aveva una potenza massima di 215-220 hp contro i circa 200 della versione precedente. La potenza maggiore venne ottenuta a scapito dell'affidabilità e Clark fu costretto al ritiro tre volte durante la stagione 1965. Fortunatamente per lui questi ritiri non compromisero la sua corsa al titolo. La 33 venne utilizzata anche con il motore Climax V8 dalla cilindrata portata a 2 litri grazie ad un alesaggio superiore e venne utilizzata per le prime gare della stagione 1966 fino a quando non venne preparata la Lotus 43 con il motore BRM da 3 litri.

La Lotus 33 prese parte, sempre con Jim Clark alla guida, anche a competizioni esterne al campionato del mondo e nel 1967 vinse la Tasman Cup.



Brabham BT20 Repco
La Brabham BT20 è un'autovettura da Formula 1 realizzata dalla Brabham nel 1966.
La BT20 fu sviluppata da Jack Brabham e Ron Tauranac ed era dotata di un telaio spaceframe multi-tubolare in alluminio ricoperto da una carrozzeria in fibra di vetro. Il propulsore che la equipaggiava era un Repco V8 3.0 da 311 cv di potenza derivato da un modello creato dalla Oldsmobile.
Jack Brabham

Ma nel '67 su molte vetture comparvero delle appendici che avrebbero stravolto la forma delle monoposto negli anni a venire: le ali. L'introduzione delle appendici alari, sfruttando la notevole spinta in basso prodotta, permise di incrementare notevolmente le velocità di percorrenza delle curve e il problema derivante dalla notevole resistenza all'aria che tali appendici generavano venne quasi subito superata introducendo gli alettoni mobili. Queste appendici evolute venivano regolate direttamente dal pilota in corsa, il quale, agendo su una leva, le inclinava prima della frenata per rallentare più efficacemente, percorreva la curva velocemente, sfruttando la maggior aderenza sull'asfalto e una volta nel rettilineo posizionava l'ala in orizzontale, così da minimizzare il freno aerodinamico e sfruttare appieno la potenza del motore. Tuttavia lo scarso livello della tecnologia dell'epoca e anche l'impossibilità di evitare guasti ad un così delicato meccanismo, causarono numerosi tragici eventi, che culminarono con un drammatico incidente nel GP di Spagna del '69, dove cedettero le ali sulle Lotus di Rindt e Hill. Per la prima volta il potere sportivo impose dei limiti sull'aerodinamica delle vetture imponendo delle ali fisse. 


Jack Brabham - 1967 Test  Brabham BT24

La vettura aveva in dotazione il medesimo propulsore che equipaggiava le precedenti BT19 e BT20, e cioè il Repco V8 620, il quale era però stato potenziato con diverse migliorie per ottenere una potenza di 350 cv. Le migliorie comprendevano un nuovo basamento e nuove testate, e queste ultime furono realizzate in configurazione uniflow, in quanto i condotti di aspirazione e di scarico si trovavano localizzati nella medesima parte. Le testate erano piatte e le camere di combustione erano ricavate direttamente nel cielo dei pistoni. Queste, denominate Heron, vennero impiegate per la prima volta su questa vettura ed ebbero una bona notorietà successiva. La distribuzione era nuovamente monoalbero con comando a catena e punterie a bicchiere e due valvole parallele per ogni cilindro. Queste ultime avevano un diametro di 43 mm per quanto riguarda quelle di aspirazione e 34 per quelle di scarico. Gli scarichi fuoriuscivano dalle testate nella zona rivolta verso il centro della V formata dalle due bancate di cilindri. Il telaio tubolare era formato da un traliccio di tubi.

 GLI INIZI

La stagione 1970 si apre con una certezza: l’aerodinamica. Temperate le iniziali esuberanze grazie ai nuovi regolamenti, l’aerodinamica, o meglio il suo corretto sfruttamento, diventano la nuova frontiera della ricerca applicata alle corse.

Il concetto di deportanza rivoluzionò la concezione delle corse. Fino a quel momento le vetture da corsa dovevano essere fondamentalmente veloci, il più veloci possibile, per raggiungere la massima velocità nei rettilinei, che erano la parte predominante di ogni circuito. Velocità dell’ordine di 340 km/h erano state raggiunte sui circuiti più veloci già negli anni ’30, e si dovrà aspettare il 1982 perché vengano raggiunte di nuovo. Le monoposto però, fino all’avvento dell’aerodinamica, dovevano rallentare in maniera radicale per affrontare le curve. In questo modo la differenza fra velocità massima e velocità di percorrenza delle curve era enorme. Si pensi che le Auto Union del 1936 disponevano di 520 HP e di velocità di punta dell’ordine dei 345 km/h. Su di un circuito velocissimo come Monza, un giro era percorso alla media di circa 180 km/h. Trent’anni dopo le monoposto, con circa 330-350 cavalli, e velocità massime non superiori ai 280 km/h, giravano su quel circuito ad una media di circa 200 km/h. Con l’avvento dei dispositivi aerodinamici, nel 1969 le monoposto migliori, con circa 420 HP ed una velocità  massima non superiore ai 270 km/h, girarono a Monza a 236 km/h di media. Questi dati devono essere valutati in termini di efficienza globale. Un motore potentissimo poteva essere usato per andare forte in rettilineo, ma la velocità in curva restava subordinata all’aderenza al suolo. Questa, a sua volta, era legata alla sezione dei pneumatici, al loro coefficiente di attrito, alla capacità delle sospensioni di tenere il pneumatico aderente al suolo. Questi fattori erano, fino all’avvento delle appendici aerodinamiche, evidentemente bassi, perché la velocità di percorrenza della curva rimaneva molto distante dalla velocità massima che la vettura poteva sviluppare in rettilineo. Il ricorso ai dispositivi aerodinamici ha quindi permesso di ridurre in modo drastico la differenza fra velocità massima e velocità di percorrenza delle curve. Si era quindi verificato un paradosso: il tempo guadagnato in rettilineo da una vettura velocissima, ma lenta nelle curve, era inferiore al tempo guadagnato da una vettura lenta in rettilineo ma veloce nelle curve. A questa nuova concezione delle corse automobilistiche verrà subordinata tutta l’evoluzione dello sport motoristico, fino ai nostri giorni
Vediamo ora in dettaglio come la ricerca aerodinamica ha influenzato lo sviluppo di tutti i settori.



1-TELAI La spinta aerodinamica verso il basso, ottenibile con gli alettoni, poté essere subito quantificata nell’ordine delle centinaia di chili. Questo peso ‘virtuale’ aumenta e diminuisce in funzione della velocità, per sparire a vettura ferma. Ciò nonostante, quando una vettura si muove ad alta velocità, é effettivamente sottoposta a questo carico aggiuntivo. Lo sviluppo telaistico quindi mirò prima di tutto all’ottenimento della necessaria robustezza senza andare a scapito del peso reale. E’ infatti noto che le prestazioni di una vettura, intese come possibiltà di accelerare e frenare in tempi (e quindi spazi) brevi, sono innanzitutto influenzate dal rapporto peso/potenza (o kg/HP). Le monoscocche di prima generazione (del tipo Lotus 25), composte da pannelli di lega leggera rivettati su ordinate di magnesio o leghe leggere, erano ormai superate. Lo sviluppo dei telai delle F.1 si rivolse naturalmente alla industria aeronautica, dove il peso è da sempre il nemico principale. All’inizio degli anni ’70 si vide l’avvento delle prime scocche in scatolato in lega di alluminio, di chiara derivazione aeronautica (Vedi Fig. 5).

La crescente velocità di percorrenza delle curve sottoponeva il telaio a forze di torsione sempre più alte, spingendo i costruttori a sofisticati calcoli per determinare le forze torsionali e trovare il modo di contrastarle. La rivettatura dei pannelli si rivelò anch’essa superata, e verso il 1975 apparvero i primi esempi di scocche incollate con i collanti anaerobici di recente messa a punto. La tappa successiva fu il ricorso ai materiali compositi, anch’essi di derivazione aeronautica, costituiti da pelli metalliche incollate su una struttura alveolare. La prima scocca di questo tipo (McLaren, 1976) era composta da pannelli di pelli di alluminio incollate su di uno strato di legno di balsa. La rapida evoluzione dei compositi portò all’adozione dello honeycomb, struttura composta dalle solite pelli di alluminio incollate su di una matrice di cellette esagonali (come negli alveari, da cui il nome). Questi nuovi materiali hanno permesso di ottenere telai leggerissimi (una scocca nuda di quel periodo poteva pesare circa 70 kg) ed allo stesso tempo estremamente rigidi. Nonostante questi miglioramenti strutturali, il tipo di telaio in uso fino al 1970 ricalcava le forme di quelli degli anni sessanta, essendo invariabilmente caratterizzato dal radiatore frontale e da serbatoi del carburante laterali (che furono all’origine di molti incidenti a causa della facilità all’incendio). Colin Chapman presentò nel 1970 la sua Lotus 72, monoposto assolutamente rivoluzionaria per varie ragioni. Essa aveva infatti

- forma a cuneo, coi radiatori sdoppiati laterali al posto di guida
- ripartizione dei pesi con preponderanza al posteriore, per favorire la trazione
- sospensioni a flessibiltà variabile (v.2.2.)
- freni anteriori entrobordo (v. 2.3.) per diminuire le masse non
- alettone posteriore in più profili, per migliorare il rapporto fra deportanza e resistenza

Come la Lotus 25 aveva rivoluzionato la formula 1 nel 1962, così la F.1 non poté essere più la stessa dopo la Lotus 72. Anche se alcuni costruttori impiegheranno anni a convincersi della bontà della formula (Ferrari adotterà i radiatori laterali solo nel 1974) la strada del futuro era quella indicata dalla Lotus 72, come confermato dalle venti vittorie in Gran Premio, due titoli piloti (Rindt 1970 e Fittipaldi 1972) ed un titolo Costruttori ( 1972). Un’altra monoposto innovativa del 1970 é stata la ferrari 312B progettata da Mauro Forghieri. Fedele al 12 cilindri, dopo le deludenti prestazioni del precedente V-12 a 60° (che in quattro anni vinse solo tre G.P.) la casa modenese passò ad un inedito 12 cilindri a 180°, detto (impropriamente) boxer. Questo motore, che gareggerà in varie versioni per più di dieci anni, aveva fin dall’inizio una notevole potenza (450 HP, cioè 150 HP/litro nel 1970) ed il vantaggio di spostare in basso il baricentro. Nonostante il resto della vettura fosse abbastanza tradizionale (radiatore anteriore, sospensioni convenzionali, per quanto con ammortizzatori interni alla scocca) la 312B fu l’unica monoposto a opporsi regolarmente alla Lotus 72. I suoi punti di forza erano l’ottima omogeneità, dovuta appunto al baricentro basso, un’ottima distribuzione dei pesi e una grande potenza disponibile. Vinse quattro Gran Premi nel 1970 con Ickx e Regazzoni.


2 -  MOTORI.

Come già detto, gli anni ‘70 furono dominati da due motori: il Ford Cosworth V8 ed il Ferrari 12 boxer. Alcune vittorie andarono anche ad altri V-12: il Matra francese ed il B.R.M. inglese. L’evoluzione dei motori passò per l’ottimizzazione di iniezione (sempre di tipo indiretto e meccanico dell’inglese Lucas), accensione (di tipo elettronico senza contatti), e della fasatura della distribuzione. Questi miglioramenti portarono ad un costante, sebbene non spettacolare, aumento del regime di rotazione e quindi della potenza disponibile. Il boxer Ferrari ad esempio, passò dai 450 HP (150 HP/litro) a 11.000 g/m nel 1970 ai circa 520 HP (174 HP/litro) a 12.300 nel 1980. Il Cosworth V8 dai 400 HP 134 HP/litro) a 9750 g/m nel 1966 ai 490 HP (164 HP/litro) a 10800 g/m nel 1979. Nonostante la maggior potenza, i V-12 furono sempre penalizzati da maggior peso, maggior consumo, minore elasticità a basso regime.

E’ infine doveroso segnalare il tentativo della Lotus di fare correre, nel 1970, una monoposto a turbina, la 56B. Questa monoposto era derivata dalla Tipo 56 che, nel 1968, aveva ridicolizzato i rivali americani alla 500 miglia di Indianapolis, dove si ritirò a una ventina giri dalla fine, dopo avere guadagnato un vantaggio incolmabile. Dotata di una turbina Pratt & Whitney di derivazione aeronautica e della trazione integrale, nelle mani di Emerson Fittipaldi corse alcuni Gran Premi, senza grandi risultati, prima di essere bandita dalla CSI.


3 - SOSPENSIONI.





Parallelamente allo sviluppo dei telai, anche le sospensioni furono ampiamente migliorate. Dapprima si ricorse al progressivo allargamento delle carreggiate, per rendere il corpo vettura meno sensibile al rollio. Il rollio infatti, più pronunciato con carreggiate strette, altera le condizioni di ‘lavoro’ delle superfici aerodinamiche. Per far sì che il flusso che investe l’alettone sia il più possibile regolare, é quindi indispensabile che questo subisca variazioni minime rispetto al piano orizzontale su cui scorre la vettura, e ciò é possibile solo limitando il rollio. Il ricorso a carreggiate larghe é possibile con due soluzioni: allargare la scocca o allungare le braccia della sospensione. La prima soluzione non é vantaggiosa, perché comporta un aumento del peso e della superficie frontale (quindi della resistenza aerodinamica). La seconda comporta bracci ed ammortizzatori lunghi, col pericolo di flessione, quindi di irregolarità di assetto. Per irrigidire le lunghe braccia di forza della sospensione si fece quindi ricorso a triangoli sovrapposti sempre più aperti, poi a bilanceri scatolati. L’ammortizzatore era stato fino a quel momento trasversale, cioè ancorato alla base inferiore del portamozzo ed alla parte superiore della scocca, soluzione che, come già detto, era impraticabile nel caso di ruote molto distanti dalla scocca, sia per la flessibilità di un lungo ammortizzatore, sia per la resistenza aerodinamica che questo avrebbe comportato. Il problema fu quindi risolto alloggiando l’ammortizzatore all’interno della scocca, comandato direttamente dal bilancere superiore (Vedi Fig. 6).

Questo tipo di sospensione, aerodinamicamente poco penalizzante, diminuiva anche le masse non sospese, e quindi l’inerzia della sospensione, migliorando la precisione di guida e la rapidità di risposta alle sollecitazioni verticali (molleggio) e trasversali (sterzata). Gli ammortizzatori utilizzati restavano però di tipo tradizionale, cioè corpo idraulico e molla elicoidale coassiali. L’innovazione venne ancora una volta da Colin Chapman, che nella sua Lotus 72 introdusse le molle a barra di torsione separate dagli ammortizzatori (Vedi Fig. 7). La sospensione a barra di torsione offre vantaggi enormi in termini di regolazione e progressività. Si basa su di una barra metallica ancorata ad una estremità sulla scocca, mentre all’altra estremità é collegata alla ruota tramite un puntone. Lo scuotimento della ruota viene comunicato dal puntone alla barra, che tenderebbe a ruotare se non fosse imprigionata all’altra estremità sulla scocca; in questo modo la resistenza alla torsione della barra si sostituisce alla resistenza alla compressione di una molla elicoidale in acciaio. Il diametro della barra e la distanza fra l’ancoraggio sulla scocca e quello del puntone determinano la progressività del molleggio. Questo tipo di sospensione consente di avere un molleggio ‘morbido’, che permette quindi alla ruota di meglio seguire le asperità della strada, senza il pericolo che la sospensione vada ‘a tampone’ cioè a fondo corsa, dove non esiste più molleggio e la ruota perde contatto col suolo. La Lotus 72 aveva quindi la possibilità di un molleggio estremamente efficace pur consentendo al pilota un buon comfort di guida ed una sensibilità dello sterzo che i classici ammortizzatori coassiali non offrivano più. Questa idea di Chapman era talmente innovativa, che si dovrà aspettare il 1989 perché John Barnard la riprenda in mano, modernizzandola e miniaturizzandola (sulla Ferrari 639), realizzando una sospensione che, nonostante i miglioramenti inevitabili in più di un decennio, é ancora attuale.

 
Verso la metà degli anni settanta, Ralph Bellamy della McLaren sviluppò positivamente un progetto di sospensione a flessibilità variabile (rising rate, vedi Fig. 8) a cui lavorava fin dal ‘72. Il principio si basava su di un bilancere che aziona il gruppo molla/ammortizzatore (sempre di tipo coassiale tradizionale) attraverso un fulcro intermedio che, facendo variare l’angolo di azionamento a seconda della compressione, irrigidiva progressivamente la sospensione. Soluzione meno elegante di quella Lotus, aveva però il vantaggio di costi più bassi e di rapidità di regolazione. Questo tipo di sospensione fu alla base dei sistemi di azionamento mediante bielletta e bilancere, detti prima pull rod, (vedi Fig. 9)

a seconda che lavorassero in trazione o in compressione che sono ancora oggi adottati. 

Infine la Ferrari, sempre su progetto di Forghieri, introdusse nel 1971 una sospensione posteriore in cui l’ammortizzatore era alloggiato in alto sul motore, ed azionato da una piramide triangolare di tubi (Vedi Fig. 11). 

Anche questo espediente mirava alla riduzione delle masse non sospese, ma non funzionò mai correttamente a causa della flessibilità del comando. Rimane un tentativo che, assieme al già citato esempio McLaren, aprirà la strada, negli anni ‘80, ai sistemi pull rod e push rod .


4 - FRENI.

Introdotti negli anni cinquanta (dalla Jaguar Sport che vinse a Le Mans nel 1953) e generalizzati negli anni sessanta, gli impianti frenanti a disco metallico hanno avuto una discreta evoluzione negli anni settanta. Dopo le esperienze fatte a Le Mans, dove i Prototipi  percorrevano il lungo rettilineo delle Hunaudières a 360 km/h per poi rallentare fino a 60 km/h per affrontare il tornante di Mulsanne, gli ingegneri si resero conto che gli sbalzi termici imposti dalle moderne vetture da corsa causavano tensioni e surriscaldamenti che incrinavano il metallo dei dischi. Si sperimentarono quindi con successo dischi forati radialmente, che furono chiamati autoventilanti. Questo tipo di disco fu universalmente adottato da tutte le F.1. 

Una evoluzione più significativa interessò il sistema di attuazione (le ‘pinze’) ed i materiali di attrito. La Dunlop e la Girling misero a punto pinze ‘autoflottanti’, in grado cioè di seguire gli scuotimenti del disco durante le sollecitazioni della frenata. Dal comando meccanico si passò al comando idraulico, e dal pistoncino semplice (che spinge la guarnizione di attrito contro il disco, e quindi il disco contro la guarnizione d’attrito dall’altra parte del disco) si passò al doppio pistoncino (per esercitare una pressione simmetrica sul disco) poi ai quattro pistoncini (per aumentare la zona di pressione esercitata dalle guarnizioni sul disco).

I dischi metallici, le pinze e le tubature del circuito idraulico rappresentavano però una notevole massa non sospesa, con gli effetti negativi di cui abbiamo già parlato.

Colin Chapman, sulla Lotus 72, adottò freni anteriori entrobordo, collegati cioè alle ruote da semiassi metallici. Questa soluzione consentiva una eccezionale sensibilità dell’avantreno ed una precisione di guida ineguagliabile dagli altri sistemi. Purtroppo, nel corso delle prove del G.P. di Italia a Monza, uno dei semiassi di collegamento si ruppe nella violenta frenata della Parabolica, causando uno sbandamento della vettura di Jochen Rindt, che perse la vita. Chapman fu messo sotto processo, e l’elegante soluzione dei freni anteriori entrobordo non ebbe praticamente seguito.

5 - RUOTE E PNEUMATICI.

Nella prima metà degli anni sessanta le F.1 correvano su pneumatici larghi circa 130 mm all’anteriore e 180 al posteriore, montati su cerchi di grande diametro (mediamente 15 pollici). Queste sono misure di larghezza (non di diametro) oggi adottate dalla Panda (135 mm) o la Punto (185 mm). Nel 1970 la misura più diffusa era di 255 mm anteriori su cerchi da 13 pollici e 400 mm al posteriore su cerchi da 15 pollici. Nel 1975 le gomme posteriori raggiungevano i 520 mm di larghezza e nel 1978 i 660 mm, su cerchi da 13 pollici. Questo aumento della larghezza, unito alla diminuzione del diametro del cerchio, fu reso possibile dall’abolizione delle camere d’aria, ed impose una riduzione progressiva del diametro dei dischi dei freni, col conseguente bisogno di adottare prese d’aria per il raffreddamento di dischi e pinze. I pneumatici invece, progressivamente sempre più larghi, furono resi sempre più rigidi nella banda di rotolamento e sulla spalla, per diminuire la deriva rispetto all’angolo di sterzata.

  Diminuendo il diametro del pneumatico, aumenta però la velocità di rotazione del battistrada sull’asfalto, e la forza centrifuga a cui é sottoposto. Per evitare negative  deformazioni del battistrada, o addirittura il suo distacco dalla carcassa per centrifugazione, la scolpitura del pneumatico diminuì quindi di profondità, arrivando ad una semplice serie di intagli nel 1971,  per consentire al battistrada di dilatarsi all’aumentare della temperatura senza deformarsi. Nel 1973 apparvero i primi pneumatici slick, lisci (della Firestone americana), per mettere a terra la massima superficie di gomma. Da allora la guerra delle gomme é stata una delle componenti strategiche più importanti della F.1. Al pneumatico non si chiedeva più solamente di esercitare un dato coefficiente di attrito, ma di giungere vicino al punto di fusione della gomma per esercitare una vera e propria azione adesiva sull’asfalto. L’aderenza che questi pneumatici assicuravano era comunque legata a complicatissimi parametri di temperatura e dilatazione, che imposero il gonfiaggio con azoto, gas meno sensibile dell’aria alle variazioni di volume in funzione della temperatura.

  In seguito al progressivo irrigidimento delle sospensioni, attuato come già detto per consentire alle appendici aerodinamiche di lavorare in regime praticamente rettilineo, i pneumatici furono chiamati a svolgere parte del compito fino ad allora assicurato dalle sospensioni: il molleggio. I pneumatici delle F.1, gonfiati a pressioni basse (1-2 atm., invece che le 4-5 degli anni ’50 e ’60) assicuravano, con la loro flessibilità, l’assorbimento delle piccole asperità che le sospensioni (occupate a garantire un assetto costante) non potevano più assicurare.

Nelle stagioni 1972-73 le case costruttrici di pneumatici americane Goodyear e Firestone tentarono l’introduzione di caracasse a ‘cintura bassa’. Questo concetto, oggi diffusissimo sulle vetture di serie, impiega una spalla del pneumatico di dimensione molto inferiore alla superficie aderente. Per esempio, un pneumatico di misura 205/60 ha l’altezza della spalla uguale al 60% della impronta al suolo, cioè: 205x60%= 123 mm. La minore altezza del fianco (la ‘spalla’) del pneumatico dà origine ad una minore flessione dello stesso, quindi ad una minore ‘deriva’ del pneumatico. La ‘deriva’ non é altro che la differenza fra l’angolo di sterzo e l’effettivo angolo di sterzata. Più il fianco del pneumatico é ‘basso’, più piccolo sarà l’angolo di deriva, cioè si eliminerà il bisogno di ruotare il volante più dell’effettivo angolo di sterzata (sottosterzo). Il pneumatico a cintura bassa consente una notevole diminuzione della deriva al costo di una minore flessibilità. Come già visto, le sospensioni delle F.1 devono essere rigide, e l’adozione dei pneumatici a spalla bassa portò ad una tale rigidità complessiva da non potere essere sopportata né dai piloti né dalla meccanica. I pneumatici infatti, legati alla monoposto da sospensioni rigidissime e dotati di grande aderenza, cominciarono a sviluppare vibrazioni tali da indurre la deformazione della struttura (ondulazione dell’impronta a terra) che vanificava l’aderenza. Si tornò quindi ai pneumatici a spalla tradizionale.

  Nonostante questo passo indietro, la struttura dei pneumatici continuò ad evolvere per quel che riguarda la carcassa (che rimaneva comunque di tipo tradizionale a tele diagonali) e le componenti della gomma (la mescola). Si arrivò addirittura a pneumatici ‘dedicati’, per ottenere la massima aderenza su di un dato tipo di circuito. Il limite dei pneumatici a carcassa diagonale era però evidente: la centrifugazione. Con l’aumento della velocità di rotazione il pneumatico si deformava, aumentando di diametro, allungando quindi il rapporto finale di trasmissione, ed assumendo una forma leggermente piramidale, che diminuisce la superficie di gomma a contatto con l’asfalto. Questi limiti furono superati con l’avvento dei pneumatici a carcassa radiale.

6 - TENTATIVI DI INNOVAZIONE.

 

Nella prima metà degli anni ‘70, le monoposto di successo furono le logiche evoluzioni della Lotus 72, ma almeno quattro progettisti tentarono vie innovative: Robin Herd (March), Derek Gardner (Tyrrell),  Gordon Murray (Brabham) e Mauro Forghieri (Ferrari).

  La neonata March presentò per il 1970 una monoposto che fece scalpore: su di uno stretto telaio monoscocca abbastanza tradizionale, venivano montati sui fianchi i serbatoi, contenuti in strutture metalliche a forma di ala rovesciata. Lo scopo era chiaro a tutti: disporre di superfici deportanti enormi rispetto agli alettoni consentiti dai regolamenti. Il telaio fu acquistato da varie squadre: STP (con Andretti) Tyrrell (Stewart e Servoz-Gavin), John Walker (Siffert) Antique Automobiles (Elford, Peterson). Nonostante le aspettative, la vettura si rivelò un fallimento. E’ però importante ricordarla per l’intuizione dei profili alari laterali. Ripresi da Chapman nel 1978, e racchiusi all’interno di pontoni stagni, i profili alari furono all’origine dell’effetto suolo che sarà l’ennesima rivoluzione introdotta dalla Lotus (V. § 3).

  Derek Gardner, ingenere della Ditta Ferguson, specializzata in trasmissioni (che aveva presentato negli anni ’60 una F.1 a trazione integrale che non scese mai in pista), partecipò al progetto Matra MS 84, nel ’69. Questa monoposto, derivata dalla MS 80 (che vinse il campionato di quell’anno) era dotata di trasmissione integrale. Lotus (con la 63) e McLaren (con la M-10) avevano tentato la stessa strada senza risultati, per cui la trazione integrale venne abbandonata. Gardner era però entrato nell’orbita di Tyrrell (che gestiva nel ’69 i telai Matra con motori Cosworth). Assunto nel 1970 per progettare un’alternativa alla deludente March, disegnò le Tyrrell vincenti degli inizi degli anni ’70. Nel 1976 fece scendere in pista la incredibile Tyrrell P-34, a sei ruote, di cui quattro anteriori sterzanti. Il ragionamento alla base di tale progetto era semplice: l’enorme sezione frontale delle F.1 era (ed é) determinata dalle ruote anteriori che, per regolamento, devono essere scoperte. Gardner pensò quindi di ridurne il diametro fino a farle scomparire dietro il musone aerodinamico. Per compensare la sezione ridotta dei pneumatici anteriori, ne montò quattro di piccolo diametro. Questa monoposto vinse un solo G.P. (Svezia 1976 con Scheckter), pagando l’inadeguatezza dei pneumatici Goodyear a carcassa tradizionale. La centrifugazione di questi piccoli pneumatici, aggravata dal ridotto diametro, rendeva l’impronta a terra insufficiente, con gravi problemi di instabilità. Se la P-34 avesse potuto disporre di pneumatici radiali avrebbe sicuramente inaugurato una nuova era. Le sei ruote vennero proibite dal 1977.

  Gordon Murray, giovane ingegnere sudafricano, cresciuto alla scuola di Gordon Coppuck (McLaren), si era già segnalato alla Brabham con una scocca a sezione trapezioidale (la BT- 44), poi per il tentativo di abolire i radiatori, sostituendoli con pannelli a sfioramento di origine aeronautica. Progettò poi la prima Brabham-Alfa Romeo (la BT-45) col 12 cilindri boxer della casa milanese. Nel 1977, al GP di Svezia, presentò una monoposto dotata di un grande ventilatore posteriore, che ufficialmente doveva servire a raffreddare il motore. In realtà tutto il perimetro della monoposto era sigillato da striscie di plastica semirigida che toccavano il suolo. Quando il motore veniva avviato, il ventilatore estraeva l’aria dalla parte sottostante la vettura e le striscie di plastica sigillavano l’area, producendo uno schiacciamento della monoposto verso il suolo. L’idea, non inedita, essendo già stata portata in corsa dalla Chaparral 2G della serie CanAm nel 1974, consentiva di eliminare tutta l’aria che scorre sotto la monoposto, aumentando l’efficacia degli alettoni e producendo un effetto analogo a quello che si ottiene tappando il tubo di un aspirapolvere, cioè uno schiacciamento al suolo dovuto al vuoto d’aria creatosi sotto la vettura. La monoposto (BT-46B-Fan) fu infatti subito soprannominata ‘aspirapolvere’, e vinse con Lauda in maniera clamorosa. I rivali si lamentarono però del fatto che, assieme all’aria, il ventilatore sparava verso il retro ogni sorta di detrito, impedendo i tentativi di sorpasso. Anche i ventilatori furono quindi proibiti, fin dalla corsa successiva.


 
L’importanza della realizzazione di Murray consiste nell’avere dimostrato che, creando una depressione sotto la macchina, si produce una fortissima aderenza. Quando Chapman (sempre lui!) trovò il modo di ottenere una depressione senza ventilatore, la prima F.1 ad effetto suolo vide la luce.

  
La Ferrari, dopo la notevole 312B, e la promettente, ma poco vittoriosa, 312B-2, entrò in una profonda crisi tecnica con la 312B-3. Di questa monoposto corsero ben quattro versioni nella stessa stagione, il 1973, che vide Mauro Forghieri messo in discussione all’interno dello staff tecnico della Ferrari. Si arrivò a commissionare un telaio in Inghilterra (allo specialista Thompson), pensando che Forghieri fosse incapace di progettare un telaio all’altezza della concorrenza inglese. Gli scarsi risultati ottenuti col telaio inglese riportarono alla ribalta Forghieri, che nel frattempo aveva sviluppato l’ennesima versione della monoposto. La quarta versione della B-3, che corse nella stagione 1974, era ispirata alla massima concentrazione delle masse attorno al baricentro ed adottava una aerodinamica innovativa. Per la prima volta una Ferrari adottava i radiatori sdoppiati davanti alle ruote posteriori, ma in posizione longitudinale. Il posto di guida era stato avanzato e le appendici aerodinamiche erano a forma di freccia. Questa monoposto si aggiudicò tre G.P. e perse il mondiale per tre punti all’ultima gara della stagione. La successiva monoposto era un affinamento della precedente, dotata di un cambio trasversale (da cui il nome 312T) che riduceva praticamente a zero le masse a sbalzo, eliminando così i momenti di inerzia polare. La 312 T vinse con Lauda il campionato 1975, mancò quello 1976 per il noto incidente di Lauda al Nurburgring, riconquistò, sempre con Lauda, quello del 1977 (312T-3) e quello del 1979 (312T-4) con Scheckter. Monoposto innovativa ed estrememente omogenea, con un grande potenziale di sviluppo, é sicuramente da annoverare fra i progetti più riusciti e longevi della F.1, come le citate Lotus 72 e McLaren M-23.

7 - LA FINE DI UNA ERA.
Riassumendo, le monoposto vincenti nella prima metà degli anni settanta erano evoluzioni più o meno sofisticate della Lotus 72 (che del resto corse fino al 1975). Ricordiamo le Tyrrell 001 e 003, progettate da Derek Gardner e vincitrici con Jackie Stewart dei Campionati 1971 e 1973; la McLaren M-23 (progetto di Gordon Coppuck, vincitrice dei campionati 1974  1976 con Fittipaldi e Hunt). La Ferrari, pur con vetture ostinatamente differenti dalle rivali inglesi, conquistò i campionati 1975 e 1977 (con Lauda) e 1979 (con Scheckter) , mancando di un soffio quello del 1976. Ma erano gli ultimi fuochi di un’epoca ormai alla fine. Colin Chapman stava ancora una volta mettendo a punto una monoposto rivoluzionaria. Renault stava per debuttare con un motore turbocompresso. Michelin sarebbe presto scesa in gara con pneumatici radiali. Una nuova era si stava per aprire.


Gli anni '70

  

Gli anni '70 hanno rappresentato a mio avviso il decennio più fertile e generoso di idee per la F1, perlomeno nel campo delle innovazioni aerodinamiche delle vetture, con l'introduzione e l'affermazione di nuovi concetti alla base della progettazione dei telai e delle appendici.  Nei primi anni del decennio le vetture erano caratterizzate dalle ali, obbligatoriamente fisse, agganciate al corpo vettura in posizione più bassa rispetto alle prime apparizioni nelle auto degli anni '60 (che avevano appendici rialzate rispetto alla scocca). L'aumento delle dimensioni delle ruote, l'introduzione dell'airscoop (la presa d'aria per l'alimentazione del motore) e lo spostamento dei radiatori nelle fiancate fecero mutare radicalmente l'aspetto delle monoposto, che apparivano ora più larghe e schiacciate al suolo, con varie estremità che rendevano vario e spigoloso l'andamento della carrozzeria. 

  

Lotus 72 Cosworth


La Lotus 72 rappresenta un altro esempio delle capacità progettuali innovative di Colin Chapman. La vettura era dotata difreni montati all'interno, radiatori sistemati sui lati ed in apposite fiancate - non più sul muso come era uso comune sin dal 1950 - oltre alla presa d'aria per il motore realizzata sopra la testa del pilota.

Il design della 72 era completamente innovativo e la faceva assomigliare ad una freccia su ruote. La vettura si ispirava alla precedente Lotus 56, dotata di turbina a gas, mentre la configurazione riprendeva quella della Lotus 63 utilizzata come banco prova per una vettura a quattro ruote motrici. La forma della vettura ne aumentava la penetrazione e ne aumentava la velocità. In un confronto diretto contro la Lotus 49 la Lotus 72 risultò più veloce di 20 km/h pur montando lo stesso motore Ford.

Lo sforzo creativo di Chapman produsse uno dei progetti più importanti e di successo della storia della Formula 1. Con il motore che fungeva da elemento portante, tecnica già impiegata sulla Lotus 49 e grazie all'avanzata aerodinamica venne costruita una vettura che si dimostrò anni avanti alle sue rivali. All'inizio dovettero però essere superati dei problemi di maneggevolezza dovuti alla geometria delle sospensioni anti affondamento che erano progettate in modo da prevenire l'abbassamento eccessivo della vettura sotto l'effetto di staccate decise. Le sospensioni posteriori erano realizzate con un geometria anti squat, in modo da impedire alla vettura di ondeggiare sotto l'effetto delle accelerazioni. Una volta modificate le sospensioni non ci furono altri problemi. La vettura fece scalpore tra gli appassionati e tra i media con molte persone che la volevano vedere correre.

Emerson Fittipaldi, iridato nel '72 con la Lotus

Per quanto riguarda i radiatori questi sulle auto da competizione, erano situati in corrispondenza del muso, una posizione ottima per questi dispositivi, che dovevano essere investiti dall'aria fresca per poter raffreddare l'acqua e l'olio motore, in quanto il regolamento non consentiva e non consente ancora oggi, l'uso di ventole. Negli anni però, vennero introdotte diverse innovazioni, come quella di posizionare il motore alle spalle del pilota. In questo modo, mantenendo il radiatore sul muso dell'auto, aumentava la lunghezza dei vasi d'espansione, perciò vi erano problemi di circolazione dei fluidi, dovuti alle perdite di carico più elevate.

Chapman scelse di spostare i radiatori ai lati dell'auto, subito davanti al motore. Questo consentiva di avere comunque una buona ventilazione, in quanto l'aria che arriva in quella zona (seppur disturbata dalla presenza delle sospensioni e delle ruote), aveva una portata elevata, inoltre non erano più presenti i problemi di circolazione, poiché i radiatori erano situati immediatamente davanti al motore. Tra l'altro, anziché avere un grosso dispositivo sulla parte anteriore, ve ne erano due più piccoli, per ogni lato, e ciò consentiva anche di ridurre i problemi di affidabilità dei radiatori stessi.

Come detto l'auto era molto avanzata sotto il profilo aerodinamico. In un certo senso, anche questa caratteristica dipendeva dalla soluzione adottata per i radiatori. Infatti senza il grosso radiatore anteriore, si poteva assottigliare il muso, riducendone in modo esponenziale la sezione frontale, e di conseguenza offrire meno resistenza all'aria. Questo comporta un eccellente miglioramento della capacità di penetrazione, e quindi velocità decisamente superiori nei rettilinei. Tuttavia i modelli 72, soprattutto dalla Lotus 72C in poi, e dunque anche sulla 72D, avevano un muso sottile, ma largo, con un andamento trapezoidale, che andava allargandosi man mano che ci si avvicinava alle ruote. Dunque oltre ad essere in grado di penetrare bene l'aria, era pure una sorta di alettone, che aveva un discreto effetto deportante, dunque la macchina era in grado di fornire prestazioni ottime sia in curva che in rettilineo. Per questo motivo le appendici alari anteriori di queste macchine erano più piccole rispetto a quelle delle altre scuderie.

Si può concludere la disquisizione sulla parte tecnica, parlando dei freni entrobordo. Normalmente i freni sono montati sul portamozzo di ogni ruota. In questo caso erano posizionati all'interno del telaio, e solidali con i semialberi calettati sulle ruote (quelli anteriori con quelli posteriori in uscita dal differenziale). È uno schema che riduce le cosiddette masse non sospese, cioè tutto il peso dovuto alle ruote e alle strutture che le sostentano. Tutto ciò va a beneficio della stabilità della macchina, soprattutto in curva, grazie a una riduzione dei momenti polari d'inerzia, e una tenuta di strada superiore.

  

Era un periodo in cui era molto facile riconoscere una squadra dall'altra, per la grande diversità e varietà delle soluzioni adottate da ogni progettista, un periodo in cui anche una piccola squadra, come la Hesketh, poteva togliersi  la soddisfazione di stare davanti ai marchi più blasonati semplicemente sfruttando l'ingegno e l'intuito dei propri ingegneri. Forse fu proprio la nuova forma assunta dai telai, più bassi, larghi e schiacciati a terra, a suggerire a Colin Chapman di sfruttare un'altro principio della fluidodinamica, dopo l'introduzione delle ali, dando il via ad una nuova rivoluzione: l'effetto Venturi.

La prima macchina ad "effetto suolo", la Lotus 78 del '77, non passò certo alla storia per le sue poco esaltanti prestazioni, ma fornì la base per la vettura evoluzione, la Lotus 79, che vinse il mondiale nel '78 e dettò legge in fatto di progettazione delle monoposto degli anni a venire. 

  

Lotus 79 campione del mondo con Andretti nel '78

   

Tanto era efficace la deportanza creata dall'effetto suolo che si ridussero sempre più, fin quasi a sparire, le "vecchie" appendici alari che ormai presentavano più svantaggi che vantaggi (quella anteriore "sporcava" il flusso d'aria in entrata nelle fiancate).


LOTUS 79
La macchina che cambiò la Formula 1….. e di più …..

Per ottenere dall'effetto suolo una deportanza, occorre modificare le forme, in modo che sotto la vettura passi un flusso d'aria con una velocità maggiore
di quello che passa sopra la vettura, per ottenere ciò si sfruttano
le proprietà del tubo venturi.

La grande stagione disputata dalla Lotus nel 1978 ha come punto di forza una soluzione innovativa, introdotta dalla Lotus qualche anno prima ed ora finalmente perfezionata: l’effetto suolo.
Non è la prima volta che la Lotus introduce un’innovazione tecnica fondamentale: la Lotus 25 introdusse il concetto di monoposto dotata di scocca. Se era toccato al modello 78 introdurre l'effetto suolo, ora spetta alla Lotus 79, del 1978, portare al successo l’idea. La Lotus 78, infatti, fu il laboratorio su cui Chapman perfezionò l'idea. Quest'ultima sarebbe stato già pronta nell’estate del 1976, ma Chapman, che rimase stupefatto, nel test che venne effettuato in quel periodo, dal constare quanto l’auto fosse veloce, decise di tenerla “nascosto” fino all’inizio della stagione 1977 per non dare modo agli altri di copiare l’idea.
Come detto prima, la stagione ’77 servì per perfezionare il concetto. Solo con il modello 79, schierato nella stagione 1978, la Lotus sarà pronta alla vittoria del mondiale. L’innovazione introdotta della Lotus, il concetto di “wing car”, sarà di tale portata da influenzare le scelte tecniche di tutti i progettisti che da allora, tra il 1979 e il 1982, introdurranno anche loro auto ad effetto suolo.

Approfondiamo la storia dell’introduzione del concetto di Wing Car. L’idea fu di Chapman ma lo sviluppo di questa intuizione fu affidato a Peter Wright.
Come funziona l’effetto suolo? Esso si basa su un sistema che impedisce all’aria che passa sotto la vettura di essere espulso dai lati. Tale sistema, costituito da bande rigide, montate nelle fiancate, che scorrono in verticale è detto “minigonne”. Il risultato è una specie di Tubo Venturi, in cui il flusso di aria accelera nel punto più vicino al suolo mentre rallenta nella parte posteriore, in quella parte denominata “profili estrattori”. La differenza di velocità tra l’aria che passa sotto e quella che passa sopra ha come risultato una forte pressione verso il basso esercitata sulla vettura che quindi risulta incollata al suolo.
L’idea di Chapman, come spesso accade, divenne fonte di ispirazione per altri team (in particolare Williams, ndr). In questo modo, mentre Chapman estremizzava il concetto con la in realtà poco efficiente Lotus ’80 (che faceva addirittura a meno dell’alettone anteriore), gli altri perfezionavano il concetto: in particolare, la Williams FW07 e la sua versione migliorata (FW07B) che corse nel 1980.
Lunghezza: 4,420 m - Larghezza: 2,146 m - Altezza: 0,965 m - Peso: 575 kg - Carreggiata anteriore: 1,730 m - Carreggiata posteriore: 1,630 m - Passo: 2,718 m - Trazione: posteriore - Cambio: 5 marce e retromarcia - Freni: pinze in alluminio - Motore: tipo Ford Cosworth DVF, 8 cilindri a V 90°, 2997cc, aspirato, circa 480 CV

Inizialmente non ci fu nessun controllo delle depressioni ne dei flussi laterali, siamo nell'epoca della pre - deportanza, i flussi sul sottoscocca non hanno nessun tipo di incanalamento ma sono liberi di muoversi.


La scoperta della deportanza condusse in tempi molto rapidi fino al suo sfruttamento più esasperato, rappresentato dalle "minigonne" ovvero bandelle laterali, scorrevoli verticalmente fino a terra, capaci di contenere con una barriera fisica i flussi laterali. L'altezza da terra del fondo era di circa 6- 7 cm.


Con l'abolizione delle minigonne, e con l'estensione del fondo piatto, fu necessario riconquistare la deportanza persa, riducendo drasticamente l'altezza da terra, l'unico ripiego inizialmente escogitato per ridurre i flussi laterali (ridurre la loro sezione di passaggio).


Oltre alla sezione di passaggio si lavorò sui coefficienti di efflusso ad essa associati: spigoli vivi (e non arrotondati), "labbri borda" ed infine con l'esempio sfortunato della Ferrari F92A, unico esempio della creazione di una minigonna aerodinamica (sfortunato perché dava in galleria del vento ottimi valori di deportanza, ma sulla pista incontrava dei problemi, dovuti alla variazione d'altezza).
Oggigiorno è stato introdotto un fondo scalinato, con l'unico compito di limitare la superficie di fondo piatto, e di aumentare l'altezza da terra, non mancano esempi di fondi piatti come quello della Mclaren che è riuscita a recuperare la deportanza persa con uno studio molto meticoloso dei flussi dell'aria ed adottando un fondo piatto che somiglia alla chiglia di una barca.

Consideriamo che avere vetture molto basse, comporta la creazione di un effetto pompante della strada, che può essere considerato come una parete mobile, che nel moto relativo si muove con una velocità uguale alla velocità di corsa, in queste condizioni la teoria di Venturi va rivista. Il risultato di tutti questi fenomeni e ce il corpo vettura genera una notevole deportanza, il contributo della deportanza totale ovviamente varia a seconda della configurazione della vettura, in quanto il contributo del corpo vettura rimane pressoché sempre lo stesso, cambia molto in base alla configurazione il contributo dell'alettone.

Per chi ha vissuto con interesse la F.1 di fine ’70 ed inizio ’80, uno dei miti sicuramente incancellabili è la Lotus 79.
Senza esagerare, si può tranquillamente affermare che ha segnato la storia della F.1 e di tutto l’automobilismo in generale, perché, per la prima volta in modo chiaro ed inequivocabile, è cambiato il modo di vedere un’autovettura dal punto di vista aerodinamico, da quel 1978 si è capito che non si deve pensare solo al flusso di aria che passa sopra la carrozzeria, ma anche quello sotto e che i due flussi devono lavorare in sinergia..
In realtà, ciò fu già immaginato ed applicato dal (guarda caso) geniale Jim Hall della Chaparral (la stessa dell’alettone “altissimo”), che utilizzò delle ventole per estrarre l’aria forzatamente da sotto e “sputarla” da dietro per “appiccicare” la macchina al suolo, quasi come un’ aspirapolvere, ma la soluzione fu prontamente vietata a causa della pericolosità per chi seguiva per ovvi motivi (per poi essere tollerata nello stesso ’78, almeno per il GP di Svezia, alla Brabham di …… Bernie Ecclestone….) .
La Lotus 79 non fu effettivamente la prima vettura a sfruttare il “ground-effect” derivante dai due semi-tubi di Venturi posti sotto le pance laterali, in realtà tale sistema esisteva già sulla precedente Lotus, la 78, ma Colin Chapman ed il suo staff tecnico, forse perché compresero l’importanza della novità tecnica e che, astutamente, bisognava far passare ed ammettere il principio delle “bandelle laterali mobili” (poi definite “minigonne”) in modo “soft” (il regolamento, di norma, non poteva ammettere parti mobili sulla carrozzeria), realizzarono l’anno prima una macchina non ancora completamente votata all’effetto-suolo.

Si narra che al tempo, per depistare la concorrenza (e le commissioni tecniche…), Colin & C. davano diverse spiegazioni sui motivi dell’uso delle minigonne, che sulla 78 erano delle bandelle fisse flessibili e non rigide e scorrevoli verticalmente come sulla 79, o attribuivano la già ottima aderenza della 78 a strani marchingegni, tipo differenziali rivoluzionari e cose simili.
La 79, invece, nacque come una vettura completamente disegnata per lo sfruttamento totale dell’effetto suolo e tutti i suoi particolari meccanici erano concepiti per utilizzare al meglio il flusso d’aria sotto le pance.
L’effetto-ventosa, addirittura, causò il ritardo del debutto della Lotus 79 per l’esigenza di avere più deportanza aereodinamica sull’anteriore, visto che dietro la macchina era incollata…..



Quindi, il pilota spostato in avanti, il musetto a punta e aerodinamicamente “pulito”, gli ammortizzatori interni al telaio davanti e nella trasmissione dietro, i dischi ed i freni dietro posti sui mozzi delle ruote, il telaio ed il gruppo motore-trasmissione il più stretto possibile (furono anche aiutati dalla forma naturale del V8 Cosworth), i radiatori nei fianchi con l’uscita dell’aria verso l’alto, gli scarichi in alto dietro il cofano, tutta la parte posteriore carenata, insomma, tutto era stato progettato e realizzato per non dare alcuna noia al flusso d’aria che passava sotto le fiancate.
Se andate a rivedere le foto delle F.1 del tempo, noterete che in quel ’78 tutte le macchine della concorrenza erano molto diverse tra loro nelle forme esterne, mentre nel ’79 vedrete….. come si assomigliavano tutte, chi più e chi meno, alla Lotus 79.
Si dice ancora che se debuttasse oggi, la Lotus 79, a parte i cambiamenti regolamenti, non sembrerebbe certamente una macchina progettata più di 30 anni fa.
Solo l’incidente mortale di Peterson a Monza offuscò la gloria (ed il titolo mondiale) di quel 1978 della Lotus 79, anche se lo sfortunato pilota utilizzava nell’occasione una vecchia (e singhiozzante…..) 78 come muletto alla partenza di quel maledetto GP.




Lotus 80 nel '79 con minigonne sul muso.  

   De Cesaris con la Lotus       

       

   

Non solo, c'e chi esasperò questa ricerca dell'effetto suolo, come la Brabham nel 78 che portò ad un gran premio un macchina col fondo completamente sigillato ed un ventilatore sulla parte posteriore che toglieva aria dal fondo vettura, abbassandone la pressione. Un effetto suolo forzato! La squadra sostenne che il ventilatore serviva a raffreddare il motore, ma a fine gara l'irregolarità divenne palese e scattò la squalifica.

Il carico deportante generato dalle fiancate ad ala rovesciata (da qui il nome di vetture-ala) abbinate alle minigonne, sorta di bandelle, strisce scorrevoli di materiale rigido, che sigillavano il fondo delle vetture, con l'aggiunta delle enormi potenze raggiunte con l'introduzione dei motori turbo proprio negli stessi anni, resero le Formula 1 dei mezzi difficilissimi da gestire da parte dei piloti. In curva si raggiungevano livelli di accelerazione laterale da pilota d'aereo, sottoponendo il fisico ad un grandissimo sforzo. Ne risentì moltissimo anche lo stile di guida, a causa delle sospensioni, che dovevano essere regolate più rigide per mantenere la vettura parallela all'asfalto, e le auto erano come poste su dei binari, era impossibile o quasi cambiare traiettoria in curva, una volta impostata. Le macchine erano difficilmente controllabili, spesso era difficile correggere un errore di guida, il controsterzo stava sparendo (Gilles Villeneuve era un'eccezione che però conferma la regola!!).  

 E c'è da dire anche che quando una vettura, urtando, alzava il musetto, in velocità, quasi sempre spiccava il volo, proprio per quella particolare forma alare, finendo a volte anche nelle tribune. 

 

Questi fattori e anche altri, come i frequenti cedimenti delle minigonne, furono la causa di molti gravi incidenti, proprio per questo motivo nell'83 la federazione internazionale pose un'ulteriore, pesante limite sulle vetture di F1, bandendo l'uso delle minigonne e dell'effetto Venturi (tollerato solo limitatamente agli estrattori), mettendo fine ad un'era.

Proprio nel bel mezzo dell'epoca delle minigonne e dei fondi ad effetto suolo, si fece notare una squadra , la Tyrrel, che presentò una soluzione molto interessante che rappresentò però un episodio abbastanza isolato e quasi subito stroncato dalla federazione internazionale. Si tratta del progetto della monoposto a 6 ruote, finalizzato alla ricerca di una migliore penetrazione dell'aria, attraverso l'uso di quattro piccole ruote anteriori, anziché le consuete due più grandi. naturalmente gli inconvenienti tecnici non erano pochi, a cominciare dalla maggior forza centrifuga subita dal pneumatico (a parità di velocità della monoposto una ruota più piccola deve girare più velocemente) e anche il sistema di tiranti dello sterzo era decisamente complicato (dovendo garantire un'inclinazione diversa per ogni ruota). Nonostante ciò la monoposto si fece notare con alcune vittorie, prima di essere bandita per regolamento.

Proprio nel bel mezzo dell'epoca delle minigonne e dei fondi ad effetto suolo, si fece notare una squadra , la Tyrrel, che presentò una soluzione molto interessante che rappresentò però un episodio abbastanza isolato e quasi subito stroncato dalla federazione internazionale. Si tratta del progetto della monoposto a 6 ruote, finalizzato alla ricerca di una migliore penetrazione dell'aria, attraverso l'uso di quattro piccole ruote anteriori, anziché le consuete due più grandi. naturalmente gli inconvenienti tecnici non erano pochi, a cominciare dalla maggior forza centrifuga subita dal pneumatico (a parità di velocità della monoposto una ruota più piccola deve girare più velocemente) e anche il sistema di tiranti dello sterzo era decisamente complicato (dovendo garantire un'inclinazione diversa per ogni ruota). Nonostante ciò la monoposto si fece notare con alcune vittorie, prima di essere bandita per regolamento.

   

Tyrrell P34 Cosworth

Jody Scheckter impegnato al Gran Premio di Germania 1976 con la P34

La prima stagione (1976)

La Tyrell fece esordire una P34 nel quarto gran premio della stagione sul circuito di Jarama in Spagna. Patrick Depailler, alla guida della monoposto, riuscì a qualificarsi con il terzo miglior tempo e la vettura si dimostrò competitiva anche in gara fino al 26º giro, quando un guasto tecnico lo costrinse al ritiro.

A partire dal gran premio successivo la scuderia schierò sempre due P34, ottenendo diversi podi e anche una vittoria nel Gran Premio di Svezia 1976, dove marcò una storica doppietta (primo Jody Scheckter e secondo Patrick Depailler). Al termine della stagione giunse terza nel campionato di quell'anno, grazie ai 49 punti conquistati da Scheckter nella stagione.

La Tyrrel P34-Ford nel '76

La seconda stagione (1977)

L'anno successivo la P34 non riuscì a ripetere i risultati del 1976 e la stagione fu costellata da molti ritiri, in gran parte dovuti ai problemi causati dal surriscaldamento. Al termine della stagione Patrick Depailler e Ronnie Peterson avevano conquistato complessivamente 4 podi ma collezionato ben 19 ritiri e nella classifica finale la Tyrrell non andò oltre i 27 punti complessivi e il sesto posto nel campionato costruttori.


   

Gli anni  '80

   

Negli anni '80, a seguito della forte limitazione dell'effetto suolo, si vide un rifiorire di appendici alari, anche molto vistose, fatto che evidenzia il notevole sforzo dei progettisti per tenere a  terra quei mostri che avevano ormai raggiunto i 1400 cavalli di potenza (in qualifica). La monoposto più celebre e significativa del periodo è la Brabham dell'83, con la caratteristica forma a freccia.

Patrese con la Brabham BT 52 BMW Turbo

Ma ben presto si instaurò una nuova tendenza, la rastremazione delle fiancate ed in particolare della parte posteriore delle vetture, dando origine alla famosa forma a "coca-cola", il cui precursore è stato l'allora progettista della Mclaren, John Barnard. 

In effetti non si tratta altro che della ricerca, ancora una volta, della miglior penetrazione aerodinamica, cercando di favorire il defluire dell'aria attraverso la vettura nel modo meno turbolento possibile, una ricerca necessaria, in quanto nella F1 moderna il freno aerodinamico non è più costituito solo dalle ruote scoperte, ma anche e soprattutto dagli alettoni!(Vedi: il Cx delle F1 moderne).

  

Allinizio degli anni '90 vide la luce, sulla Benetton progettata da Rory Byrne, un'altra soluzione che cambierà significativamente l'aspetto delle monoposto: il muso alto. Pur presentando lo svantaggio di innalzare il baricentro della vettura, il muso alto permette un maggiore afflusso di aria nel fondo scocca, il quale, nonostante l'assenza di sigilli e l'altezza minima da terra fissata per regolamento, presenta ancora un certo effetto suolo.

  


   

Gli anni '90

Allinizio degli anni '90 vide la luce, sulla Benetton progettata da Rory Byrne, un'altra soluzione che cambierà significativamente l'aspetto delle monoposto: il muso alto. Pur presentando lo svantaggio di innalzare il baricentro della vettura, il muso alto permette un maggiore afflusso di aria nel fondo scocca, il quale, nonostante l'assenza di sigilli e l'altezza minima da terra fissata per regolamento, presenta ancora un certo effetto suolo. 

Durante gli anni '90 le forti restrizioni nelle misure delle appendici alari hanno reso le monoposto molto più simili fra loro ed è diventato molto più difficile per gli ingegneri inventarsi la scelta totalmente controtendenza che alla fine ripaghi in termini di prestazioni. L'unico vero cambiamento è stato l'uso generalizzato, dopo il '95, del muso alto stile Benetton. 

on a caso l'ultima "genialata" in ordine di tempo, che ha lasciato tutti a bocca aperta per l'azzardo mostrato e anche per il vantaggio effettivo ricavato, riguarda l'introduzione del muso "semi-basso" nella Mclaren di Newey del '98 (Vedi: muso alto o muso basso?).

Lo studio aerodinamico si è spostato oggi su dettagli come le carenature delle sospensioni , i deviatori i flusso, i nolder, le paratie degli alettoni, studio che necessita delle gallerie del vento, enormi, costosissimi impianti che riproducono le condizioni di gara. Le ultime soluzioni riguardo le appendici aerodinamiche riguardano la ricerca di materiali elastici, con cui costruire ali "variabili" a seconda delle velocità. Un ritorno all'antico, ma molto al limite del regolamento, a discapito della sicurezza (vedi: ali che si flettono). .

   

Allinizio degli anni '90 vide la luce, sulla Benetton progettata da Rory Byrne, un'altra soluzione che cambierà significativamente l'aspetto delle monoposto: il muso alto. Pur presentando lo svantaggio di innalzare il baricentro della vettura, il muso alto permette un maggiore afflusso di aria nel fondo scocca, il quale, nonostante l'assenza di sigilli e l'altezza minima da terra fissata per regolamento, presenta ancora un certo effetto suolo. 

Durante gli anni '90 le forti restrizioni nelle misure delle appendici alari hanno reso le monoposto molto più simili fra loro ed è diventato molto più difficile per gli ingegneri inventarsi la scelta totalmente controtendenza che alla fine ripaghi in termini di prestazioni. L'unico vero cambiamento è stato l'uso generalizzato, dopo il '95, del muso alto stile Benetton. 

Non a caso l'ultima "genialata" in ordine di tempo, che ha lasciato tutti a bocca aperta per l'azzardo mostrato e anche per il vantaggio effettivo ricavato, riguarda l'introduzione del muso "semi-basso" nella Mclaren di Newey del '98 (Vedi: muso alto o muso basso?).

 

Lo studio aerodinamico si è spostato oggi su dettagli come le carenature delle sospensioni , i deviatori i flusso, i nolder, le paratie degli alettoni, studio che necessita delle gallerie del vento, enormi, costosissimi impianti che riproducono le condizioni di gara.

 

 

Le ultime soluzioni riguardo le appendici aerodinamiche riguardano la ricerca di materiali elastici, con cui costruire ali "variabili" a seconda delle velocità. Un ritorno all'antico, ma molto al limite del regolamento, a discapito della sicurezza (vedi: ali che si flettono). 

L'aerodinamica nella F1 moderna


"L'aerodinamica è il settore dove può essere creato il miglior guadagno in termini di performance, ma ottenere questi progressi tanto da diventare competitivi è difficile". In questa frase del progettista della Jordan, Mike Gascoyne è sintetizzata l'importanza dell'aerodinamica nella F1 moderna, profondamente diversa dalla F1 di 30 anni fa, dove spesso la potenza e l'affidabilità di motori quali il Ford-Cosworth e il FerrariV12 sopperivano alle insufficienze aerodinamiche delle vetture che li montavano. Oggi molto spesso si può guadagnare, su una pista media, anche mezzo secondo al giro solo portando ad un gran premio un'evoluzione di un'ala provata per qualche giorno in galleria del vento con la spesa di poche migliaia di dollari, mentre per ottenere lo stesso vantaggio di prestazioni con un'evoluzione del motore occorrerebbero mesi e milioni di dollari, con lunghi test al banco ed in pista ed il pericolo di un guasto che si moltiplica con l'incrementare delle prestazioni.
Per questo è fondamentale oggi lo studio quasi maniacale dei dettagli di una monoposto, dalle paratie degli alettoni anteriori a quelle posteriori, dai deviatori di flusso, alle sospensioni col profilo alare (vedi: le sospensioni dell'Arrows A21), dalla zona "coca-cola" sempre più rastremata, alle alette davanti alle ruote posteriori, alla forma dell'airscoop, al disegno delle protezioni ai lati del casco dei piloti, agli estrattori, al divergente posizionato sotto il muso, fra le ruote anteriori, alle prese d'aria, alla sezione del muso sempre più piccola (anche sfruttando stratagemmi al limite del regolamento).
Senza entrare troppo nella trattazione di ogni singola parte della monoposto che risulterebbe qui troppo ampia si possono fare alcuni esempi per rendersi conto del livello di sofisticazione raggiunto oggi
Il primo riguarda la galleria del vento della Benetton, costruita nel '98 e costata oltre 15 miliardi, che presenta ancora una volta una soluzione presa in prestito dall'aeronautica, la pressurizzazione.


Le gallerie del vento usate oggi dalle scuderie in F1 non sono in grado di ospitare modelli in scala 1:1, arrivando al massimo a modelli 1:2, con i conseguenti limiti di validità dei parametri riscontrati nelle prove. Attraverso la pressurizzazione a 2 atmosfere i valori registrati sono molto più simili alla realtà anche per modelli in scala.
L'importanza della corrispondenza fra i valori reali e quelli misurati in galleria del vento è evidente e spesso i limiti di queste pur costosissime strutture hanno giocato dei brutti scherzi ai teams, come alla Ferrari che l'anno scorso sviluppò un'aletta davanti alle route posteriori che in galleria (dove si raggiungono al massimo velocità relative del vento rispetto al modello di 250 Km/h) dava buoni valori di deportanza, ma in una successiva prova sul rettilineo di Vairano, superati i 330 Km/h, dava addirittura portanza!

Deviatore - Fondo scalinato
Deviatori di flusso sono una delle componenti delle monoposto più studiate degli ultimi anni, ma sul loro reale valore ci sono molte perplessità (non solo dovute a presunte irregolarità...). Basti pensare alla bellissima gara di Schumacher in Austria nel '98, quando in un'uscita di pista perse completamente queste appendici, esibendosi in una rimonta che ha fatto venire il dubbio a molti se quelle alette non facciano andare più piano...

L'importanza delle ali come risorsa per garantire più grip alle ruote sull'asfalto è cresciuta in particolar modo dopo il '94, quando in seguito ai drammatici incidenti di Barrichello, Ratzenberger e Senna, la FIA introdusse in fondo scalinato, che impone alla vettura un limite minimo di altezza da terra di 5 cm, al di fuori di un canale centrale dove è normalmente posizionata la zavorra della vettura e dove la federazione ha imposto uno "scivolo" di legno che garantisca il rispetto delle norme (lo scivolo di legno non si può consumare oltre 1 mm!).

Nella F1 moderna il carico deportante è da attribuire in media per 2/3 alle ali (in particolare quella posteriore) e solo per 1/3 al fondo e all'estrattore posteriore

Basi di Fluidodinamica:
L'aerodinamica non è che un caso particolare della fluidodinamica, che è lo studio della dinamica, del movimento dei fluidi in generale. Il moto di un corpo in un fluido, quando è abbastanza lento, risulta "laminare", cioè il fluido si sposta come se fosse costituito da tante lamine sottili che scorrono l'una sull'altra. Quando il moto del corpo nel fluido è troppo veloce, si definisce "turbolento", in quanto si formano in modo caotico tanti piccoli vortici e le velocità differiscono notevolmente anche per punti molto vicini e cambiano rapidamente nel tempo. Una opportuna forma dell'oggetto può favorire il moto laminare: la forma a goccia: Il moto laminare è quello che garantisce la minor resistenza all'avanzamento, in più facilita notevolmente lo studio dei fenomeni che caratterizzano la fluidodinamica.

 
Se qualcuno avesse dubbi sui vantaggi aerodinamici della forma a goccia, notate bene i coefficienti scritti sotto ad ognuna delle seguenti figure:

Il profilo a goccia dà una resistenza 7 volte inferiore alla sfera!!!

Esiste anche una formula per calcolare approssimativamente la resistenza F dell'aria rispetto ad un corpo:

1/2DAV²

dove D è la densità dell'aria, A è l'area frontale del corpo e V è la velocità.

Come funzionano le ali:
Il principio di funzionamento delle ali può essere ricondotto al teorema di Bernoulli per la fluidodinamica, secondo il quale (per il moto laminare) lungo un alinea di flusso la pressione è inversamente proporzionale al quadrato della velocità. Nella figura in basso sono indicati due profili, uno curvilineo, ed uno piano. Facendo scorrere un fluido su queste superfici si nota che il la linea di fluido che scorre sul profilo superiore deve percorrere più strada, nello stesso tempo, rispetto al profilo inferiore. L'aria è quindi più veloce sopra l'ala ed è minore la pressione dell'aria.

Questa differenza di pressione fa sì che l'ala subisca una spinta verso l'alto detta PORTANZA (la freccia blu).

Inclinando il profilo aumenta la depressione ed aumenta di conseguenza la deportanza, ma aumenta anche il freno dell'aria (la sezione frontale è maggiore).

Inclinando il profilo aumenta la depressione ed aumenta di conseguenza la deportanza, ma aumenta anche il freno dell'aria (la sezione frontale è maggiore).

Inizialmente questo "inconveniente" venne superato con lo stratagemma delle ali mobili, ma nella F1 moderna, in tempi di ali fisse (o quasi, vedi: Ali che si flettono), è fondamentale trovare il miglior compromesso fra carico deportante e resistenza dell'aria.

 Dato che le ali servono fondamentalmente in curva, saranno i circuiti più tortuosi a richiedere un maggior carico alare, sacrificando la velocità massima in rettilineo, mentre nei circuiti con i rettifili più lunghi saranno utilizzate ali quasi orizzontali.
Inizialmente questo "inconveniente" venne superato con lo stratagemma delle ali mobili, ma nella F1 moderna, in tempi di ali fisse (o quasi, vedi: Ali che si flettono), è fondamentale trovare il miglior compromesso fra carico deportante e resistenza dell'aria. Dato che le ali servono fondamentalmente in curva, saranno i circuiti più tortuosi a richiedere un maggior carico alare, sacrificando la velocità massima in rettilineo, mentre nei circuiti con i rettifili più lunghi saranno utilizzate ali quasi orizzontali.

Configurazioni alari della F399 rispettivamente a Montecarlo e a Monza.


Effetto Venturi:
Anche l'effetto Venturi è un'applicazione del teorema di Bernoulli che sfrutta l'accelerazione dell'aria in un condotto ricavato fra l'asfalto
 ed il fondo vettura.

Il condotto era sigillato perfettamente dalle "minigonne", le bandelle laterali che, scorrendo lungo le fiancate, impedivano all'aria di entrare
nel fondo vettura dai lati.

Dato che la portata (quantità di aria al secondo) dell'aria sotto le fiancate non cambia, l'aria era costretta ad accelerare nel punto
di restringimento del condotto, portando ad una diminuzione della pressione che determinava la deportanza


Era fondamentale quindi garantire il massimo afflusso di aria con moto non turbolento (il teorema di Bernoulli non è più valido per il moto turbolento, si riduce l'efficienza del profilo alare) e il massimo deflusso nella parte posteriore, che avveniva per mezzo di opportuni "estrattori" (condotti a sezione via via più grande.
Nel tentativo di ridurre l'efficienza di tale soluzione la federazione internazionale impose ben presto delle minigonne fisse, non perfettamente aderenti al suolo ed arrivò nell'83 ad introdurre un nuovo fondo piatto in cui l'effetto Venturi era limitato ai soli diffusori (altro nome degli estrattori) posteriori.
Anche il fondo piatto tuttavia non è esente da rischi di "decolli", basti vedere queste immagini:
           Monza '93
Il Cx delle F1 moderne:
Chi pensa alle F1 come fossero dei Jet con le ruote si sbaglia. Il coefficiente che quantifica la prestazione aerodinamica, il Cx appunto, è molto alto (cioè indica una prestazione pessima!), superiore a quello di una utilitaria, a causa delle ruote scoperte, ma anche delle superfici alari, che si presentano come vere e proprie barriere contro l'aria. Sotto questo aspetto sono eloquenti i 280 Km/h di velocità di punta dell'Hungaroring ed i 360 Km/h di Monza
(vedi: Come funzionano le ali).
Perché non ci sono più sorpassi in F1?
E' la domanda-tormentone che si fa ogni appassionato di questo fantastico sport quando si ritrova a dover assistere ad un Gran Premio nel quale solo qualche fumata ogni tanto (si spera non delle rosse!) rompe la monotonia di un trenino di vetture che si rincorrono senza la possibilità (o la volontà?) di sorpassi da parte dei piloti. In realtà il problema è decisamente vecchio e si può ricondurre alla nascita delle ali, che incrementano la velocità di percorrenza delle curve da parte delle vetture, ma risentono molto della turbolenza di un'eventuale vettura che precede.


La turbolenza generata dalla vettura davanti fa perdere carico sull'ala anteriore della propria vettura, aumentando il sottosterzo in curva, ovvero, la macchina, a parità di velocità rispetto alla macchina davanti, non riesce a mantenersi in traiettoria, tendendo ad allargare con l'anteriore.

Di questo fatto si lamentavano già i piloti degli anni '70 e 80. Verrebbe allora da chiedersi perché proprio in quegli anni sono state scritte le pagine più belle della Formula 1,con gli epici duelli a suon di sorpassi di Gilles Villeneuve, Arnoux, Senna, Piquet, Alboreto, Mansell, Prost, etc...

In effetti si potrebbe arrivare alla conclusione che quei piloti erano fatti di un'altra pasta, ma in difesa dei piloti odierni, si può obiettare che le monoposto moderne sono molto più spinte, delicate, sono vetture "estreme", difficili da guidare e con le quali è difficile far risaltare le doti di ogni singolo pilota. La FIA poi, ci ha messo del suo prendendo dei provvedimenti, come la riduzione delle carreggiate e l'introduzione delle gomme scanalate, che di certo se hanno migliorato la situazione dal punto di vista della sicurezza, non hanno certo facilitato il lavoro dei piloti, aumentando l'instabilità delle vetture. I rifornimenti in gara costituiscono inoltre un ulteriore deterrente contro il tentativo di sorpasso, visto che qualche posizione la si può guadagnare al pit stop.

In realtà l'unica via possibile per tornare a vedere sorpassi in F1 su tutte le piste ed in tutte le condizioni sarebbe incrementare il grip (aderenza all'asfalto) meccanico (cioè quello dovuto al lavoro delle ruote, delle sospensioni e del telaio) che facilita i piloti nel controllo della vettura nelle manovre più ardite, e ridurre il grip aerodinamico (quello dovuto alle ali ed al fondo piatto) che è disturbato dalla vettura che precede.

Magari gli sponsor non sarebbero molto contenti di veder tolti quegli enormi cartelloni pubblicitari che sono le ali odierne, ma probabilmente ritroveremo il gusto delle gare di 30 anni fa, dove era determinante il gioco delle scie e l'astuzia e la perizia dei piloti era esaltata ai massimi livelli.


       Ecco cosa succedeva alle F1 senza ali...
Muso alto o muso basso?
Una delle grandi questioni di fine secolo che hanno animato le menti dei progettisti in F1 è lo "scontro" fra i sostenitori del muso alto, con al primo posto la Ferrari, e quelli del muso basso, con il progettista Mclaren Adrian Newey il primo piano.

Ogni soluzione presenta sia dei vantaggi che degli svantaggi. Per esempio il muso alto, sviluppato all'estremo nella F1-2000 da Rory Byrne, l'ex progettista Benetton che per primo l'aveva introdotto, permette un maggior afflusso di aria "pulita" nel fondo scocca, favorendo l'effetto Venturi (molto limitato, a causa del fondo scalinato, vedi: Come funziona un F1 moderna). Per contro un muso più alto alza il baricentro della vettura, sfavorendone le prestazioni (aumentano il beccheggio ed il rollio), cosa che ha cercato di evitare il Adrian Newey nella Mp4/13 del '98, abbassando il musetto di molto rispetto alle vetture dello stesso anno e disegnandolo con una particolare sezione a V in modo da permettere comunque un discreto afflusso d'aria nella parte inferiore della vettura.

Nel '98 e '99 ha nettamente prevalso la scelta di Newey, con la duplice vittoria della sua monoposto e la tendenza da parte di molti teams ad adeguarsi al muso basso. La Ferrari, però ha proseguito per la sua strada e quest'anno ha con coraggio ulteriormente sviluppato il muso rialzato e scavato nella parte inferiore, in controtendenza rispetto alle altre squadre, riuscendo ad ottenere un netto salto di prestazioni
 (naturalmente dovuto anche ad altre componenti).

Le sospensioni dell'Arrows A21:
In tema di ricerca aerodinamica estrema, che dà un grande peso anche ai dettagli vale la pena di citare l'Arrows che quest'anno cha presentato la nuova vettura progettata dall'aerodinamico ex Williams Eghbal Hamidy con una soluzione vecchia, ma comunque interessante, dato che nessuna squadra la usava più da anni. si Tratta della sospensione anteriore "pull rod", ansiché "push rod", ovvero non c'é più il puntone che preme quando la ruota viene spinta verso l'alto, ma un tirante che svolge la stesa funzione di ammortizzamento appunto in tiraggio.

Senza entrare nel dettaglio basti sapere che un tirante a parità di forza, può essere costruito con un diametro minore rispetto ad un punto. In sostanza all'Arrows si sono messi a progettare una sospensione nuova, difficile da metter a punto con il muso semi-basso che va di moda oggi, solo per guadagnare qualcosa in penetrazione aerodinamica.

Sono impazziti? Le prestazioni, almeno quelle velocistiche, che hanno mostrato fin'ora suggerirebbero proprio di no (anche se ancora una volta, il complesso delle prestazioni dipende da molti fattori).

Ali che si flettono
Il caso è scoppiato a Suzuka nel '97 e da allora praticamente non si è più chiuso. Anche in televisione era evidente la flessione dell'alettone anteriore della Ferrari di Michael Schumacher, flessione che avvicinava le paratie laterali dell'ala al suolo, migliorandone il rendimento (maggior effetto Venturi). Naturalmente l'alettone ritornava in posizione corretta a vettura ferma, consentendo alla monoposto di superare le verifiche post gara. Indiscrezioni parlarono di una soluzione simile, proprio nello stesso GP, anche sull'alettone posteriore della Williams di Jacques Villeneuve. Da allora, con l'aumentare delle prove di nuovi materiali deformabili da parte di molte squadre, sono diventate sempre più frequenti le rotture di ali sia durante i test privati che durante le gare, portando la FIA ad imporre dei test di elasticità delle appendici alari (in precedenza il regolamento diceva soltanto che queste dovevano essere rigidamente collegate al corpo vettura, ma non specificava il coefficiente di elasticità dei materiali di costruzione).

Il vantaggio fornito da un'ala deformabile è facilmente intuibile, dato che all'aumentare della velocità la resistenza dell'aria appiattisce l'ala, tendendo a renderla più orizzontale, quindi con una minor resistenza all'avanzamento.

La difficoltà da parte della FIA nel l'imporre dei parametri sta però nel fatto che le appendici alari devono avere una certa elasticità, in modo da assorbire le notevoli vibrazioni causate dagli alti regimi del motore, una eccessiva rigidità infatti causerebbe lo spezzarsi dei supporti degli alettoni.

Il problema della rigidità delle appendici alari è decisamente complesso e rappresenterà probabilmente uno degli sviluppi futuri della ricerca aerodinamica, che oggi si avvale di potenti software di cam-cad e simulazione, prospettando un futuro nel quale le gallerie del vento saranno sostiuite
da potenti calcolatori.

La sicurezza

Il Cockpit


L'abitacolo è la zona della monoposto dove il pilota controlla il mezzo. Nell'abitacolo il pilota deve entrare e uscire con rapidità altrimenti in caso di incendio potrebbe rimanere ustionato. Infatti quando si prende la "SuperLicenza" (licenza per guidare una monoposto in F1) occorre dimostrare agli esaminatori che si è in grado di uscire dall'abitacolo velocemente. Nell'abitacolo le cinture di sicurezza devono stringere fortemente il pilota che deve sostenere forze pari a 7g in accelerazione, fino a 4g negative in frenata e fino a 2g laterali in curva.

Nell'abitacolo (cockpit) il volante deve avere tutti i pulsanti ben visibili e che siano facilmente raggiungibili dalle dita senza che la mano lasci lo sterzo. Anche la posizione di guida è fondamentale perchè condiziona, anche se minimamente, la stabilità del veicolo. Gli ingegneri di F1 stanno studiano un metodo per abbassare il centro di gravità poichè anche se la macchina pesa circa 600 Kg, bisogna contare il peso del pilota che è di circa 70 Kg in modo che la monoposto in curva sia ancora più stabile di quanto lo sia ora. Per questo motivo i piloti più bassi si trovano svantaggiati da questo fatto.
Infatti essi poichè vedono solo la parte più alta delle gomme potrebbero sbagliare il loro posizionamento in griglia in quanto non vedrebbero la linea bianca a terra o non vedrebbero correttamente chi sta dietro mediante gli specchietti retrovisori. 
Per quanto riguarda la sicurezza esiste oltre alle cinture un sistema che blocca la spalla e il collo in modo da evitare colpi di frusta. Questo sistema esiste nella F. Cart americana e fra uno o due anni sarà obbligatorio anche in Formula 1.

Volante e pedali

 Nel lontano 1996 la Ferrari adottò il primo volante con il cambio e le principali funzioni di guida sul volante (ripartitore di frenata, TALK con il box, limitatore di velocità ai pit stop ecc.). I vantaggi erano molti: non si dovevano più staccare le mani dal volante per cambiare i rapporti (come invece noi facciamo quando dobbiamo cambiare marcia), non ci si distraeva più per modificare il ripartitore di frenata e inoltre (forse è il vantaggio più grosso) il cambio fu per la prima volta sequenziale e conseguentemente non si sbagliava più a inserire la marcia superiore o inferiore, come invece accadeva alcuni anni fa. Difetti?
Volante Il costo (varia da 80 a 100 milioni di lire), ma d'altronde in F1 la tecnologia non ha prezzo. Sui volanti attuali è montato un led rosso che indica il numero di giri e permette di cambiare rapporto senza errori. Dal campionato 2002 sarà obbligatorio avere altri led colorati che indicheranno la bandiera gialla, quella blu, rossa, nera senza quindi far esporre i leoni della CEA che rischiano la vita. Le leve per cambiare i rapporti sono due: quella di destra serve per salire di marcia, mentre quella di sinistra serve per scalare di marcia eccetto Villeneuve che usa i comandi in modo particolare.
Infatti lui usa solo la mano destra e per salire di marcia tira verso di se la leva, mentre quando deve scalare di marcia spinge la leva verso l'esterno. Dall'immagine a sinistra (volante della Jordan) si vede la leva destra (1) e quella sinistra (2). Sotto alle leve del cambio si notano le leve della frizione che permettono di risparmiare spazio tra i pedali. La pedaliera è specifica per ogni pilota in quanto varia la distanza dal sedile in base all'altezza del pilota, la grandezza del pedale che varia al variare della lunghezza del piede. Ci sono piloti che usano la pedaliera al contrario, cioè con il pedale destro frenano e con quello sinistro accelerano.Nella foto sottostante abbiamo analizzato il volante della F2002.

  • 0 (limitatore di velocità) serve a limitare la velocità ai box
  • 1 (radio) serve a comunicare con i box
  • 2 i tre manettini rosso, giallo, e nero servono per la regolazione di alcuni parametri del motore
  • 3 Serve per incrementare un settaggio
  • 4 Regola alcuni parametri per le partenze, e il tasto blu per cambiare schermate.Il tasto OK serve per attivare o meno la telemetria bidirezionale
  • 5 Spegnere il motore
  • 6 Controllo dei parametri del traction control.I due manettini superiori servono per la regolazione del differenziale.Il tasto OIL serve per aprire il serbatoio dell'olio.Il tasto F (fuel) serve per aprire lo sportello della benzina
  • 7 Partenza
  • 8 Scalate multiple. Il tasto N serve per portare la vettura a folle. I due piccoli display posti alla sinistra della M e sopra al tasto L indicano quando cambiare marcia.

Il sedile del pilota deve perfettamente adattarsi alla sua schiena e deve ridurre le fortissime vibrazioni prodotte dal motore. I sedili sono anche rimovibili perchè in caso di utilizzo del muletto devono essere immediatamente cambiati.Le cinture di sicurezza sono a cinque punti, proprio come in un aereo da guerra e sono costituite da una fibra molto resistente. Queste cinture sono molto resistenti e quindi in caso di incidente il pilota rimane "incollato" al sedile. L'unico difetto di queste cinture è che occorre sempre un'altra persona (solitamente è un meccanico) che stringa le cinture.

TECNOLOGIE DI SICUREZZA ATTIVA
Le automobili moderne sono spesso e volentieri degli autentici concentrati di tecnologie di sicurezza attiva, ovverosia quei dispositivi che aiutano il guidatore nella conduzione sicura del veicolo: i 3 principali possono essere considerati l’ABS, il controllo della stabilità (VDC o ESP o MSP o TSC, ogni costruttore automobilistico utilizza una propria sigla di identificazione, anche se il dispositivo rimane lo stesso) e il controllo della trazione ASR.
In aggiunta il continuo progresso dell’elettronica ha portato allo sviluppo di diversi sistemi: il ripartitore della frenata EBD, l’MSR e tante altre tecnologie di ausilio alla guida.
Ma attenzione: questi dispositivi non vincono i limiti della fisica! La parte più importante di un’auto rimane sempre l’uomo che la guida!

L'A B S
L’ABS è stato il primo dispositivo di sicurezza attiva “elettronica” ad essere sviluppato ed impiegato in massa in campo motoristico. Evita il bloccaggio delle ruote, garantendo in situazioni di emergenza/imprevisto il miglior spazio di arresto e mantenendo sempre la direzionalità, permettendo di evitare un eventuale ostacolo.
Mentre senza ABS si rischia il bloccaggio delle ruote, e per evitare un ostacolo si dovrebbe rilasciare il freno (per recuperare direzionalità) e sterzare per evitare l’ostacolo appunto, con l’ABS ci si deve preoccupare solo di frenare al massimo (e sterzare, ovviamente se necessario, ma senza alleggerire minimamente la pressione sul freno). Una vibrazione sul pedale freno avverte dell’entrata in funzione del sistema.
con la Ferrari 156.
L' A S R
L’ASR mantiene sotto controllo eventuali perdite di aderenza dovute alla potenza del motore e al conseguente pattinamento delle ruote motrici: appositi sensori misurano lo scostamento tra la velocità delle singole ruote e quella del veicolo. Quando non c’è corrispondenza tra i due valori, il sistema agisce su freni ed elettronica del motore equilibrando la situazione ed impedendo la sbandata dell’anteriore o del posteriore (a seconda delle ruote motrici).
con la Ferrari 312 T.
L'E S P
L’ESP® è il sistema più evoluto di controllo della stabilità: migliora la stabilità, non solo durante le fasi di frenata e di accelerazione, ma in ogni condizione di guida. Se esiste il rischio di una perdita di aderenza di una o più ruote del veicolo, il sistema ESP® regola la potenza del motore e contemporaneamente frena singolarmente le ruote permettendo il recupero della stabilità della vettura.
L’ESP® individua un inizio di sbandata del veicolo già nelle primissime fasi e lo contrasta rapidamente. Ciò migliora notevolmente la sicurezza di guida.
ABS e ASR (incorporati nel sistema) sono in grado di aiutare il guidatore in caso di variazioni anomale della velocità longitudinale del mezzo, in particolare regolando l’accelerazione e la frenata del mezzo. L’ESP® in aggiunta assiste il guidatore nei movimenti trasversali rispetto alla direzione di marcia. Attraverso un sensore di angolo di sterzo, che appunto misura l’angolo di rotazione dello sterzo, il sistema rileva la direzione di marcia voluta dal guidatore. Contemporaneamente ed in modo integrato ulteriori sensori misurano il movimento rotatorio del veicolo intorno al proprio asse verticale e la sua accelerazione laterale. Tramite l’analisi di queste informazioni il sistema analizza lo spostamento reale del veicolo, confrontandolo ben 50 volte al secondo con la direzione desiderata. Se i valori non corrispondono il sistema reagisce istantaneamente senza alcuna necessità di intervento da parte del guidatore. ESP® adatta l’erogazione di potenza del motore per ripristinare le condizioni di stabilità della vettura. Se ciò non fosse sufficiente il sistema interviene anche frenando in modo differenziato le singole ruote. Tale azione determina un momento di rotazione opposta alla rotazione generata dalla sbandata in modo tale che, nei limiti dati dalla fisica, la vettura viene ribilanciata e riportata nella corretta posizione di marcia.

I Caschi

 I caschi sono una delle componenti della divisa del pilota che spesso salvano la vita. Essi sono costituiti da un materiale leggero e resistente agli urti. Il casco deve comunque essere sempre molto leggero perchè altrimenti il collo ne risentirebbe. Il peso medio di un casco è di circa 1.25 Kg ed è costituito da fiberglass. L'imbottitura è invece di polistirolo compresso che è uguale per tutti i tipi di casco per moto. La visiera è spessa 3mm e deve resistere a urti violentissimi ma deve anche essere impermeabile, così in caso di pioggia l'acqua scivola via e il pilota può vedere la strada.
I caschi però non devono solo proteggere la testa, ma devono anche essere aerodinamici. Infatti spesso i piloti esano una bavetta deportante (5) sotto la mentoniera e un piccolo spoiler che bilancia il casco e indirizza quanta più aria possibile alla presa d'aria del motore.Nel casco è presente una cannuccia dove il pilota può bere acqua quando ne ha bisogno premendo un tasto sul volante. Può, premendo un apposito tasto chiamare i box parlando con il microfono (10) Il costo è di circa 3.500.000 con la radio e personalizzato. In media un pilota usa 7~10 caschi a stagione.
I caschi usati sono cinque: Arai, Bell, Shoei, Bieffe e recentemente Schuberth. I fratelli Schumacher e Nick Heidfeld stanno usando un casco speciale realizzato proprio per loro dalla nuova Schuberth. Qui sotto è stato ridisegnato il casco che M. Schumacher provò lo scorso anno e che era dotato di schermo interattivo al posto della tradizionale visiera. Questo casco è molto simile (in quanto a funzioni) a quello dei piloti militari, perchè in tempo reale indica alcuni parametri come i giri del motore, la velocità, il rapporto inserito la quantità di benzina ecc. sulla visiera.


Non è stato utilizzato più, perchè secondo il campione tedesco il continuo via-vai di queste informazioni può distrarre il pilota in fasi concitate della gara. Tutto questo si realizza grazie all'ausilio di una mini centralina (1), posizionata proprio sotto la visiera.Lo scorso 20 giugno 2001 il presidente Fia Max Mosley ha presentato un nuovo casco, prodotto dalla Trl britannica.
E' in carbonio e offre il 70% in più di resistenza all'urto,un margine di sicurezza altrettanto grande in caso di rotazione violenta della testa (causa molte lesioni) e una maggiore impenetrabilità. Il punto debole di molti caschi, infatti è proprio quello di offrire scarsa protezione all'urto con oggetto acuminati. Questo casco è stato preso in considerazioni da molti piloti, ma ancora non è stato usato da nessuno.


L'Alfa Romeo 159 della stagione 1951 era caratterizzata da telaio tubolare "a sigaro", carreggiata molto stretta e motore anteriore.


La Tyrrell 006 del 1973 fu una vettura di transizione, che utilizzava una serie di elementi innovativi (radiatori laterali, "periscopio", alettoni) senza fonderli in un armonico disegno.
La McLaren M23, una delle monoposto più vincenti nella storia
 della Formula 1.



Juan Pablo Montoya, con la Williams, ottenne in prova a Monza nel 2004 la media di 262,24 km/h, migliorando il record da lui già stabilito sulla stessa pista nel 2002.

Il primo motore turbo della FERRARI in F1 negli anni ’80: IL famoso 126 C


La Ferrari fu la prima scuderia di F1 a seguire l’esempio della Renault nella costruzione di un motore turbo negli anni ’80. L’ingegner Forghieri, capo indiscusso dell’ufficio tecnico Ferrari in quel periodo, e il suo gruppo riuscirono a costruire in 6 mesi un motore turbocompresso a 6 cilindri disposti a V di 120° di 1500 cm³ di cilindrata. La scelta cadde su questo grado di frazionamento della cilindrata (250 cm³, cioè un quarto di litro per ogni cilindro) e sulla relativa disposizione geometrica delle bancate di cilindri a V di 120°. Ciò consentì un punto d’incontro fra le due opposte tendenze:
  1. Conservazione di un basso baricentro del corpo motore (il limite massimo era rappresentato dal famoso motore boxer Ferrari a 12 cilindri a V a 180°)
  2. Predisposizione ottimale degli spazi geometrici intorno e sotto il motore atti a ottenere il miglior effetto suolo con le canalizzazioni (effetto tubo di Venturi).

Questo motore fu chiamato con la sigla 126 C dove:

a) il numero 12 indicava le decine di gradi (quindi 120°) dell’angolo compreso fra i cilindri

b) il numero 6 indicava il numero dei cilindri

c)la lettera “C” indicava che il motore era sovralimentato con compressore


Figura 1 il motore F1 turbo Ferrari 126 C del 1981

Le caratteristiche di tale motore erano;

  • cilindrata                1496     cm³
  • numero di cilindri        6
  • disposizione       V a 120°
  • alesaggio (d )           81      mm
  • corsa (c )           48,4   mm
  • rapporto caratteristico corsa/diametro 0,6
  • potenza Max                      660   Cv
  • numero di giri Max 11000    giri/minuto
  • turbocompressore 2 (uno per bancata) a chiocciola fissa della KKK con 140.000 giri/minuto della turbina
  • pressione di alimentazione    1,8 bar
  • coppa Max                     40,1 kgm  a  9000  giri/minuto
  • rapporto di compressione    6,5 : 1
  • distribuzione        4 valvole per cilindro con 4 alberi a camme in testa
  • alimentazione sovralimentato ad iniezione meccanica indiretta Lucas

Questo motore V6 era costituito da:

  • monoblocco compatto in lega d’alluminio (mentre Renault come abbiamo visto aveva il monoblocco in ghisa speciale in quanto Renault riteneva che il monoblocco d’alluminio non avesse la necessaria rigidezza strutturale)
  • 2 testate in lega leggera con doppio albero a camme comandato da ingranaggi
  • 4 valvole per cilindro, 2 di aspirazione 2 di scarico
  • camera di combustione quasi piatta
  • basso rapporto di compressione  (6,5 : 1 ) a causa della sovralimentazione
  • rapporto caratteristico corsa / alesaggio = 0,6 decisamente basso. Questo basso valore consentiva di abbassare il valore dell’accelerazione del pistone con riduzione delle forze d’inerzia associate.

Venne scelta la soluzione 6 cilindri a V a 120° fra loro, perché questo permise una costruzione semplice ed economica dell’albero a gomiti in quanto composto da solo 3 manovelle. Infatti le teste delle bielle dei cilindri adiacenti ad ogni bancata venivano applicate, a due a due, ad uno stesso bottone di manovella. In tal modo l’albero a gomiti era costituito da soli 3 gomiti a 120° l’uno dall’altro ( vedi fig.2 )


Figura 2 le tre coppie di cilindri a V
con angolo di 120°

L’albero a gomiti risultava più corto perché costituito da sole 3 manovelle, di conseguenza anche il motore risultava più corto. Anche il rendimento totale del ciclo Otto veniva massimizzato grazie all’ordine di scoppio che avveniva ogni 120° di rotazione dell’albero motore.

Questa soluzione produceva tuttavia vibrazioni molto pericolose per la resistenza del materiale, le cosiddette forze d’inerzia alternate del 1° ordine prodotte dalle masse degli elementi in moto alternativo (nel capitolo tecnico dedicato vedremo in dettaglio la genesi delle forze d’inerzia alternate e come vengono equilibrate).

A causa di questi fenomeni l’albero a gomiti del motore turbo 126C fu equipaggiato con contralberi di equilibratura per evitare rotture, ma con un relativo aumento di peso.

Per l’impianto di sovralimentazione, poiché si era capito che la potenza erogata
era legata quasi unicamente alla pressione di sovralimentazione, la Ferrari decise di sperimentare l’utilizzo dei 2 turbo compressori e in alternativa l’utilizzo di un compressore volumetrico (detto Comprex e progettato dalla Brown Boveri).a


era legata quasi unicamente alla pressione di sovralimentazione, la Ferrari decise di sperimentare l’utilizzo dei 2 turbo compressori e in alternativa l’utilizzo di un compressore volumetrico (detto Comprex e progettato dalla Brown Boveri).

Come vedremo nei prossimi capitoli la differenza tra i due sistemi di sovralimentazione è sostanziale.

Il turbocompressore era, ed è tutt’oggi, costituto dalla girante del compressore calettata sull’alberino della turbina azionata dai gas di scarico,gas che comunque sarebbero andati persi. Il compressore volumetrico sviluppato dalla Brown Boveri si basava sulle onde di propagazione dei gas di scarico e il loro salto di temperatura. Il compressore, per comprimere l’aria da inviare alla camera di combustione, veniva fatto girare da una cinghia di trasmissione collegata all’albero motore generando così una dissipazione di potenza del motore stesso. Quest’ultimo sistema fornì al banco prova delle officine di Maranello risultati superiori in termini di potenza (arrivò oltre i 600 CV) rispetto al sistema con turbocompressore, ma alla prima vera uscita, il Gran Premio di Long Beach del 1981, si dimostrò inaffidabile a causa dei continui cedimenti della cinghia che lo azionava nonostante un regime di soli 13.500 giri/minuto,(quindi di poco superiore a quello dell’albero motore) contro i 140.000 giri/minuto delle giranti del turbo. Dopo questa esperienza negativa negli USA non è stato mai più montato un Comprex sulla Ferrari. Venne scelto definitivamente di dotare il motore di 2 turbocompressori (uno per ogni bancata) che sebbene avessero un’inerzia più elevata e creassero problemi di turbo-lag (ritardo nella risposta) garantivano 2 cose importanti:

  • una potenza molto elevata distribuita in un arco di giri molto più ampio
  • un’affidabilità maggiore

Da un punto di vista architettonico, la soluzione con angolo di bancata di 120° permise il posizionamento dei collettori di scarico e le turbine KKK all’interno delle bancate, mentre i collettori di aspirazione risultavano all’esterno. Con gli scarichi all’interno del V e la posizione rialzata e ben esposta al flusso d’aria delle 2 turbine KKK, e con la valvola di sovralimentazione “waste-gate” sullo stesso asse, l’alimentazione fu realizzata mediante pompa ad iniezione indiretta Lucas e l’accensione mediante una sofisticata apparecchiatura elettronica della Marelli. La Ferrari iniziò, per prima fra tutto il circus della F1, su questo motore turbo la sperimentazione del controllo elettronico dell’alimentazione. Il controllo dell’iniezione, sempre costituito da una pompa Lucas-Ferrari, permise dosaggi di carburanti molto precisi e regolati da 4 parametri quali:

  1. pressione di sovralimentazione
  2. regime di rotazione
  3. posizione della valvola a farfalla
  4. temperatura

La Ferrari alla ricerca di potenze sempre maggiori, per contrastare il motore BMW M12/13 della Brabham (visto precedentemente), rischiava spesso la rottura dei propri motori. Riuscì a portare su questo  motore 3 innovazioni molto importanti:

  1. Iniezione d’acqua nella benzina, praticata mediante un sistema di emulsione (detta emulsystem) brevettato dall’Agip (che forniva alla Ferrari carburanti e lubrificanti) con lo scopo di abbassare le temperature al termine della fase di combustione riducendo il fenomeno di battito in testa e per migliorare il rendimento termodinamico del ciclo Otto.
  2. Sistema di iniezione di carburante anche in turbina nelle fasi inattive del motore. Tale sistema riusciva a tenere elevato il regime di rotazione delle 2 giranti e ridurre l’effetto turbo-lag.
  3. Il passaggio, nel 1984, dall’iniezione indiretta tramite pompa meccanica, al sistema con centralina elettronica ed elettroiniettori (2 per cilindro) per il controllo elettronico dell’alimentazione. Questo progetto della Weber e Magneti Marelli permetteva una regolazione più fine del rapporto stechiometrico a tutto vantaggio della potenza erogata e soprattutto dei consumi.

Ci furono vari aggiornamenti di questo motore turbo a partire dal 1981 fino al 1987 (dal 1989 la FIA decise il ritorno ai motori aspirati), con ridisegnazione delle sue parti  meccaniche con l’obiettivo di:

  • Ridurre ulteriormente le dimensioni del basamento conservando le dimensioni dell’alesaggio e della corsa
  • Rivedere l’angolo delle valvole e la geometria della camera di combustione e conseguente il rapporto di compressione
  • Abbassare il baricentro del motore di 25 mm
  • Rivedere, con l’obbiettivo di ridurre il peso, la geometria e relativa distribuzione della massa del manovellismo biella-manovella.

Alla fine di tale percorso La Ferrari  ottenne :

  1. Una riduzione di peso del motore di 12 ÷ 14 Kg
  2. Coppia massima passata da 40,1 Kgmt a 9000 giri/minuto al nuovo valore di 45 Kgmt a 7500 giri/minuto
  3. Potenza massima passata da 580 Cv a 11.000 giri/minuto al valore massimo di 660 Cv a 11.000 giri/minuto con 2 atm. di pressione del turbo.

Concludendo il motore turbo Ferrari 126 C (e le sue release)consegui’ 9 vittorie nei Gran Premi disputati.

Il pilota più famoso fu Gilles Villeneuve . Ricordiamo le sue storiche vittorie a Montecarlo e a Jarama (Spagna) nel 1981.

L’8 maggio del 1982 durante le prove a Zolder (Olanda) purtroppo Gilles Villeneuve perse la vita dopo un pauroso impatto con la March di Jochen Mass.

Ferrari 158 F1
La Ferrari 158 è stata la monoposto con cui la Scuderia Ferrari ha corso nel Campionato mondiale di Formula 1 tra il 1964 e il 1965.
 Con il pilota britannico John Surtees vinse il campionato del 1964 piloti e costruttori.

La Ferrari 158 nella livrea rosso Ferrari

Il difficile biennio 1962-1963 fu un argomento sufficiente per convincere la Ferrari a mettere da parte il motore Dino V6 e cimentarsi in una vettura completamente nuova. La scuderia di Maranello però non si limitò a progettare ex novo un solo motore, ma si mise all'opera sia su un V8 a 90° che su un 12 cilindri a 180°; poi, sulla base dei risultati ottenuti, si sarebbe dovuta operare una scelta definitiva su quale motore utilizzare. La decisione di progettare non uno, ma ben due motori completamente nuovi, fu alquanto coraggiosa in quanto la scuderia di Maranello ben sapeva che avrebbe potuto utilizzare questi motori per due stagioni soltanto in quanto, a partire dal 1966, la cilindrata in F1 sarebbe stata portata a 3 litri per regolamento.

Entrambi i motori rappresentavano una scelta alquanto inedita. Infatti il V8 su una Ferrari di Formula 1 lo si era visto solo sulla 801 ma non era nient'altro che il V8 Lancia che equipaggiava la D50 leggermente modificato. Anche il 12 cilindri a 180° era una scelta singolare in quanto non lo si era mai visto su un'auto da corsa prima di allora se si fa eccezione per un paio di prototipi Alfa Romeo e Cisitalia. Quest'ultimo motore servì comunque da base per tutte le Ferrari F1 che seguirono, almeno fino all'avvento dei motori turbo.

158 F1

Per la progettazione della 158 F1, la Ferrari prese la rivoluzionaria Lotus "25" come modello. Ne replicò infatti la struttura monoscocca a traliccio in tubi d'acciaio, su cui vennero rivettati dei pannelli d'alluminio da entrambi i lati che aumentavano la rigidità complessiva della vettura contenendone allo stesso tempo il peso. La collocazione dei serbatoi lateralmente e davanti al posto guida permise di ridurre la sezione frontale, solo 1 cm in più della Lotus, e migliorare la ripartizione dei pesi così come le sospensioni montate all'interno della scocca e i freni posteriori collocati all'uscita del differenziale. Altra innovazione furono i cerchioni da 15" a cinque razze in lega di magnesio.

Il motore aveva anche funzione portante e nella sua prima versione (1963) era alimentato da 4 carburatori Weber per una cilindrata totale di 1487 cm³. La potenza era di 190 CV a 10 700 giri/min. Nel 1964, per aumentare il regime di rotazione, venne diminuita la corsa e aumentato l'alesaggio per una cilindrata totale di 1489 cm³ e l'adozione della nuova iniezione diretta, fornita dalla Bosch e progettata da Michael May, portò la potenza a 210 CV a 11 000 giri/min.

512 F1



 
Due meccanici al lavoro sul motore della Ferrari 512 F1
prima di una sessione di test a Monza
Contemporaneamente allo sviluppo del V8, l'ing. Mauro Forghieri intraprese la strada del 12 cilindri a 180° per realizzare una vettura da affiancare alla 158 F1 ed eventualmente sostituirla. Tecnicamente 158 e 512 F1 sono praticamente identiche fatta eccezione per il motore, il passo di 2 cm superiore e un lieve aumento del peso. Anche esteticamente si fa molta fatica a distinguerle perché l'unica differenza tra le due è il numero dei collettori d'aspirazione (8 per la 158 e 12 per la 512).
La gestazione di questo nuovo motore fu piuttosto lunga ragion per cui la 512 venne impiegata per la prima volta nelle ultime due gare della stagione 1964 contribuendo così alla conquista del titolo costruttori.

Il 12 cilindri era stato concepito nell'inedita configurazione a 180° per renderlo il più compatto possibile collocando l'alternatore, la pompa della benzina e l'alimentazione alla sua sommità e abbassare di conseguenza il baricentro della vettura. Realizzato inizialmente con l'iniezione indiretta Lucas, venne ben presto equipaggiato con l'iniezione diretta della Bosch contemporaneamente all'adozione delle due candele per cilindro. Nella sua versione definitiva questo motore poteva erogare 225 Cv a 11 500 giri/min



BRM Type 25

Come propulsore venne impiegato un 4 cilindri twin-cam 2.5 progettato da Stuart Tressillian ed abbinato a due carburatori Weber in grado di generare la potenza di 280 cv con coppia di 278 Nm. Il cambio he lo gestiva era a quattro rapporti. Il telaio era del tipo spaceframe in acciaio avvolto da una carrozzeria in alluminio. Come sospensioni erano presenti degli ammortizzatori con molle elicoidali nella sezione anteriore mentre nella posteriore era presente un ponte DeDion con ammortizzatori a tamburo. L'impianto frenante era costituito da freni a disco Lockheed, mentre i cerchi, per risparmiare peso, erano in lega.

Nel 1958 la vettura subì una modifica al telaio e vennero introdotti ammortizzatori elicoidali su tutte le sezioni del mezzo, mentre nel 1959 fu montato un nuovo sistema di raffreddamento e i freni Lockheed furono cambiati con degli esemplari costruiti dalla Dunlop.

Nel 1959 venne realizzata la versione P48. Rispetto alla Type 25, aveva il propulsore in posizione centrale per ottenere migliori prestazioni.



McLaren MP4/2 TAG-Porsche

Niki Lauda su McLaren MP4/2 a Dallas nel 1984

A metà stagione 1983 era ormai chiaro che i motori aspirati non avrebbero retto a lungo la competitività dei motori sovralimentati. Infatti i piloti che lottavano per il titolo guidavano tutti Brabham, Ferrari e Renault, ossia vetture turbo. La decisione della Cosworth di continuare a sviluppare un propulsore aspirato indusse Ron Dennis ad interessarsi della ricerca di un produttore che realizzasse propulsori sovralimentati per la sua scuderia. Tuttavia, non vi erano case disposte a fornire motori al team inglese, poiché già tutti impegnati con altre scuderie.

La soluzione fu trovata in casa: da circa un anno, era entrato in società con Mansur Ojjeh, titolare della TAG. Questi si offrì allora di finanziare il progetto di un motore, costruito partendo totalmente da zero. Per far ciò si rivolse alla Porsche, la quale non era intenzionata a tornare in Formula 1, ma disponibile come fornitore di Engineering regolarmente pagata.

La progettazione risultò essere abbastanza travagliata, in quanto le richieste di John Barnard, che puntava ad una vettura assai innovativa, non erano molto gradite ai motoristi, che denunciavano di non poter organizzare liberamente il loro lavoro[senza fonte]. S'innescò un circolo vizioso, dove i telaisti pretendevano che il motore venisse concepito in funzione della scocca, mentre i motoristi pretendevano il contrario. Poiché però l McLaren era la committente, che pagava per vedere realizzato il progetto, la Porsche decise di sottostare alle richieste del suo cliente.

I primi test, effettuati nel 1983 da Niki Lauda, fecero trasparire una potenza di 550 CV a 10.500 giri/min, una differenza non così esagerata rispetto al vecchio Cosworth DFV, mentre la coppia era decisamente superiore, anche se il propulsore soffriva di turbo-lag, ossia un ritardo di risposta tra il momento in cui il pilota accelerava e il momento in cui il motore incrementava il suo regime di rotazione.

Tutti problemi vennero risolti in tempo record. Infatti nel 1984, la McLaren dominò decisamente il campionato, vincendo quello piloti con Lauda, seguito a mezzo punto, dal compagno Prost. Ovviamente vinse anche quello costruttori. Tuttavia il motore non era il più prestante del gruppo, per quanto erogasse 715 CV in gara e 800 CV in qualifica (al regime di 11.200 giri/min). I punti di forza della vettura era invece la perfetta integrazione tra telaio e propulsore, che rendeva semplice sia la guida che la messa a punto della macchina, ma soprattutto l'esperienza in tema di consumi e di controllo elettronico del motore, maturata dalla Porsche e dalla Bosch nelle gare di durata con il motore della Porsche 956. In quell'anno infatti entrò in vigore la limitazione a 220 litri della quantità di benzina utilizzabile in gara,



Ferrari 212 F1
La 212 F1 è un'autovettura monoposto da competizione prodotta dalla Ferrari nel 1951 in due esemplari.
Il modello debuttò nelle competizioni l'11 marzo 1951 al Gran Premio di Siracusa. In questa gara si classificò al secondo posto con Dorino Serafini, preceduto da Gigi Villoresi su una 375 F1 e seguito da Rudolf Fischer sull'altro esemplare della 212 F1, che correva per la scuderia Ecurie Espadon.

Il motore era un V12 a 60° anteriore e longitudinale. L'alesaggio e la corsa erano rispettivamente di 68 mm e 58,8 mm, che portavano la cilindrata totale a 2562,5 cm³. Il rapporto di compressione era di 12:1. La testata ed il monoblocco erano in lega leggera[. La potenza massima erogata dal propulsore era di 200 CV a 7500 giri al minuto.
La distribuzione era formata da un singolo albero a camme in testa che comandava due valvole per cilindro. L'alimentazione era assicurata da tre carburatori di marca Weber e modello 32 DCF. L'accensione era singola ed il relativo impianto comprendeva due magneti. La lubrificazione era a carter secco, mentre la frizione era monodisc.
manualeLe sospensioni anteriori erano indipendenti, con quadrilateri trasversali e balestra inferiore montata allo stesso modo, mentre quelle posteriori erano formate da una balestra trasversale e da semiassi oscillanti o da un ponte De Dion. Entrambe erano indipendenti ed avevano montato ammortizzatori idraulici. I freni erano a tamburo sulle quattro ruote, mentre la trasmissione era formata da un cambio a cinque rapporti più la retromarcia. Lo sterzo era a vite senza fine e settore dentato. La trazione era posteriore.
Il telaio era tubolare in acciaio, mentre la carrozzeria era monoposto da Formula 1.



ATS D7 BMW


Winkelhock su ATS D7 a Dallas

L'ATS D7 fu una monoposto di Formula 1 che corse nella stagione 1984. Fu pilotata da Manfred Winkelhock e da Gerhard Berger.
Spinta da un motore turbo BMW, fu concepita da Gustav Brunner, come evoluzione della precedente D6. Il telaio monoscocca fu realizzato in fibra di carbonio e grazie alla potenza del propulsore tedesco ottenne sempre discreti risultati in qualifica. Quest'ultimo era un BMW M12 gestito da un cambio ATS-Hewland a cinque rapporti che erogava una potenza di 750 cv e 480 Nm di coppia. L'impianto frenante era costituito da freni a disco.
Proprio il cambio inadatto alle notevoli potenze del turbo ,unito a problemi interni alla squadra (Brunner se ne andò dopo l'ennesimo litigio con il titolare del team, Gunther Schmidt durante i test in Brasile ad inizio stagione per passare all'Alfa Romeo)

La stagione non andò per il meglio e la squadra non ottenne nemmeno un punto in classifica, nonostante un sesto posto di Berger al GP d'Italia che però non fu conteggiato in quanto ottenuto dalla seconda vettura non iscritta al campionato. Litigi interni alla squadra e la prossima cessione della società di cui la scuderia era emanazione penalizzarono il progetto D7 ed al termine della stagione 1984 la ATS si ritirò della Formula 1, anche per il rifiuto di BMW di continuare la fornitura di motori.



La Matra MS120, chiamata anche Matra-Simca MS 120, è una monoposto di Formula 1, costruita dalla scuderia francese Matra per partecipare al Campionato mondiale di Formula 1 1970.

L'MS120 è stata successivamente sviluppata in varie evoluzione, chiamate Matra MS120B, Matra MS120C e Matra MS120D. La vettura fu costruita a Vélizy-Villacoublay, nella periferia sud-occidentale di Parigi, progettata sotto la direzione di Gérard Ducarouge e Bernard Boyer.


 Elettronica

  Il ruolo dell'elettronica in una monoposto di F1

Tutte le 22 monoposto sono dotate di apparecchi elettronici che hanno una grande importanza nell'andamento della vettura. In ogni auto ci sono più due km di cavi che sono collegati a oltre 100 sensori e attuatori che esaminano molte parti del mezzo. Raramente una gara finisce senza che nessuna auto si sia ritirata per problemi elettronici.

Tecnica Moderna

Uno dei motivi per cui i motori della F1 riescono ad avere potenza pari a 860 hp è perchè esiste un dispositivo elettronico di controllo del motore che ne incrementa di circa 120~140 hp la potenza. L'elettronica non serve solo al motore. Permetta infatti di utilizzare o controllare al meglio dispositivi che hanno una grande utilità per le monoposto. Ad esempio dalla Stagione 2000 la FIA ha autorizzato le scuderie che partecipano al Campionato del Mondo di Formula 1 a utilizzare il controllo della trazione(vietato nuovamente dal 2003). Questo dispositivo impedisce che gli oltre 850cv di potenza dei motori vengano scaricati bruscamente sull'asfalto, impedendo alle ruote di "fumare" alle partenze. Questo apparecchio certamente ha diminuito l'importanza che le partenze hanno spesso avuto in alcuni Gp, come quello di Monaco, dove quasi il 70% del gran premio si giocava proprio alla partenza, visto che una volta iniziata la gara era davvero difficile poter effettuare sorpassi. Il controllo di trazione ha un sistema di sicurezza che evita lo spegnimento accidentale del motore, ma quando il pilota manomette il C.T. può inserirsi il sistema di protezione che non solo fa il suo lavoro al contrario spegnendo il motore ma lo blocca in prima marcia.

Funzioni

Una centralina non solo controlla la trazione, ma ha anche compiti più ardui. Infatti controlla l'iniezione del combustibile, il numero di giri del motore. Anche questo è un compito difficile, perchè il motore deve mantenersi tra i 15000 rpm e 18.500 rpm e la centralina ha il compito di evitare che il regime di rotazione salga più del limite massimo. Inoltre controlla il differenziale elettronico, e i rapporti. Infatti se il motore ha un alto numero di giri e si tenta di inserire una marcia più bassa di quella in uso, la centralina interviene impedendo ciò.


Brawn GP BGP001 Mercedes

Jenson Button a bordo della BGP 001 - Gran Premio di Spagna 2009

Il controverso diffusore della BGP 001
La vettura, inizialmente sviluppata dalla Honda, è stata successivamente ceduta alla Brawn GP, stante il ritiro della casa nipponica dalla Formula 1. Nei mesi intercorsi tra l'annuncio dei giapponesi e l'esordio in pista, la vettura ha continuato a essere migliorata, pur in presenza di difficoltà finanziarie e incertezze in merito alla nascita della nuova scuderia. Al momento dell'esordio, la vettura era del tutto priva di sponsor, sfoggiando una livrea bianca con inserti gialloneri.

Il primo test, svolto a Barcellona, mostra subito la potenzialità della vettura che segna tempi molto interessanti.Nel secondo giorno l'altro pilota, Rubens Barrichello completa ben 111 giri col terzo miglior tempo fra tutte le vetture impegnate in Spagna. Il giorno seguente Button torna in vetta ai tempi con oltre un secondo di vantaggio su Felipe Massa e la sua Ferrari, completando 130 giri. Massa afferma come la BGP 001 sia la vettura più competitiva nei test invernali e di come la Ferrari sia indietro rispetto alla monosposto della Brawn GP. Nell'ultimo giorno di test è ancora Barrichello a far segnare il miglior tempo di giornata con un vantaggio di 8 decimi su Nico Rosberg della Williams, compiendo 110 giri.

Anche nei test svolti sul Circuito di Jerez la vettura continua a impressionare, distanziando di 6 decimi la Renault di Fernando Alonso, e girando per 107 tornate. Alonso fa segnare il tempo miglior il secondo giorno, con Barrichello secondo e Button terzo. Nell'ultima giornata Button torna a far segnare il miglior tempo, con un vantaggio di due secondi su Rosberg, e con Nelson Piquet Jr. e Lewis Hamilton ancor più staccati.

Le soluzioni tecniche adottate nella zona del diffusore posteriore portano a un reclamo ufficiale di Renault, Red Bull e Ferrari. Tale reclamo coinvolge anche la Williams FW31 e la Toyota TF109. I commissari sportivi in Australia rigettano il ricorso: la BGP 001 è al via del primo gran premio stagionale senza modifiche.



Lancia D50

Il modellino in legno scala 1:10 della D50 utilizzato nel 1953 per le prove di aerodinamica effettuate
nella "galleria del vento" del Politecnico di Torino

Nell'estate del 1953 Gianni Lancia decide di tentare l'avventura della Formula Uno. Il celebre progettista di casa Lancia, Vittorio Jano, termina la progettazione esecutiva nel settembre 1953. Il problema piloti è presto risolto, dal momento che Gianni Lancia riesce a convincere della bontà del progetto due nomi altisonanti: Alberto Ascari e Luigi Villoresi, che il 21 gennaio 1954 firmano il contratto con la Lancia, snobbando le offerte di Enzo Ferrari. Naturalmente il fatto desta perplessità ed anche qualche polemica: si favoleggia di ingaggi super milionari, ma probabilmente Ascari decide di passare alla Lancia per via dei frequenti contatti avuti negli ultimi periodi, sembra anche per motivi mondani, con Gianni Lancia in persona. In ogni caso, il compenso minimo garantito ad Alberto Ascari per il biennio 1954/55, 25 milioni di Lire annui, non è affatto disprezzabile. Quanto a Villoresi, la sua decisione non meraviglia poiché è ben noto il legame di profonda amicizia che lo lega ad Alberto. Della squadra Lancia fa parte anche Eugenio Castellotti, pupillo di Ascari (che in un certo senso vede in lui il suo successore): Castellotti tuttavia nel 54 corre con le vetture Sport e debutta in Formula Uno soltanto nel '55.

La monoposto della casa torinese, denominata con la sigla D50, fa la sua prima uscita il 20 febbraio 1954 e, come del resto la stampa specializzata ha anticipato, la caratteristica più saliente del nuovo bolide risiede nella sistemazione dei serbatoi del carburante, collocati, uno per lato, a sbalzo del corpo della vettura, tra le ruote anteriori e quelle posteriori. Il motore, ad alimentazione atmosferica, è un 8 cilindri a V di 90° da 2,5 litri di cilindrata, limite fissato dal regolamento della Formula Uno in vigore dal 1º gennaio 1954. Le sospensioni sono a ruote indipendenti all'avantreno, a ponte De Dion al retrotreno. Il gruppo frizione/cambio/differenziale è al retrotreno. Il cambio, disposto trasversalmente, è a 5 rapporti.

La vettura si distingue per le impeccabili finiture (inusuali in una monoposto da competizione) e per un peso piuttosto contenuto, inferiore a quello delle Formula Uno dirette concorrenti: al debutto, la D50 pesa a vuoto circa 620 kg, contro i 690 delle nuovissime Mercedes W196 in versione “normale” (720 kg è invece il peso della versione “carenata”), i 670 delle Maserati 250F ed i 650 delle Ferrari 4 cilindri tipo 625.

La gestazione della D50 è però lunga e travagliata: il debutto, inizialmente previsto per il 20 giugno (Gran Premio di Francia), viene via via rimandato ed avverrà con quattro mesi di ritardo, il 24 ottobre, a Barcellona (Gran Premio di Spagna). Nel frattempo, Ascari e Villoresi, pur proseguendo nei test, sono lasciati liberi di correre con monoposto di altri costruttori.

Con la denominazione Lancia-Ferrari, le D50 vengono portate dalla Ferrari a Monza per il Gran Premio d'Italia di settembre ma non corrono per motivi legati alla marca di pneumatici da utilizzare e chiudono la carriera ad Oulton Park (ottobre 1955) dove ottengono una buona prestazione alla Gold Cup, con Mike Hawthorn secondo alle spalle di Stirling Moss.

Il bilancio finale della D50, in circa un anno di Gran Premi, è soltanto poco più che discreto, dal momento che dalla partecipazione ad 8 corse sono scaturiti i seguenti migliori risultati: due vittorie (Torino e Napoli) e tre piazze d'onore (Pau, Monaco e Oulton Park), mentre nelle rimanenti 3 occasioni (Spagna, Argentina e Belgio) nessuna D50 ha visto il traguardo.

L'anno successivo (1956) le D50, che ormai vengono identificate come Ferrari-Lancia, subiscono modifiche non solo marginali e si aggiudicano il Campionato mondiale di Formula Uno 1956, grazie anche all'apporto dell'argentino Juan Manuel Fangio.




La Lancia D50 è un'automobile monoposto da competizione di Formula Uno realizzata dalla casa torinese Lancia che corse nel biennio 1954/55 e nel 1956 donata alla Scuderia Ferrari. Si tratta dell'unica vettura costruita dalla casa per questo tipo di competizioni.

La caratteristica saliente del progetto risiede nella sistemazione dei serbatoi del carburante, l'idea è sicuramente apprezzabile in quanto si hanno vantaggi di tipo aerodinamico con miglioramento del valore del CX lo avrebbero dimostrato una serie di prove effettuate nella galleria del vento del Politecnico di Torino con un modellino della monoposto in scala 1:10. L'altra faccia della medaglia, invece sembra derivare dalla estrema variabilità del centraggio della vettura a seguito del continuo calo del livello del carburante dovuto ovviamente al consumo in gara. La D50 sembra infatti godere di una stabilità che è eccezionale nella marcia a serbatoi pieni ma cala mano a mano che i serbatoi si svuotano.

Il regolamento per la Formula Uno che entra in vigore col 1º gennaio 1954 prevede una cilindrata massima del motore di 2500cm³ (se alimentato atmosfericamente) oppure di 750 cm³ nel caso di motore sovralimentato (con compressore) e non pone limiti di peso né restrizioni di sorta circa le caratteristiche del carburante da utilizzare. Considerati i precedenti di Jano, che ha sempre prediletto i motori sovralimentati, sorprende che non sia stata neppure presa in considerazione la progettazione di un motore con tale sistema di alimentazione, ma probabilmente a frenare gli eventuali entusiasmi è stato il troppo penalizzante limite di cilindrata (coefficiente 3,333:1 rispetto ai motori “aspirati”).

Inizialmente, forse anche per ragioni di economicità, viene messo in cantiere un motore direttamente derivato da quello di tre litri adottato sulla D20 sport, quindi un 6 cilindri a V di 60° opportunamente ridimensionato nella cilindrata (alesaggio mm 82 e corsa mm 78, per una cilindrata totale di cm³ 2471,52) che, al banco, eroga 235 hp a 7200 giri. Ma Vittorio Jano, convinto che questo motore non avrebbe consentito adeguate possibilità di sviluppo, preme per la realizzazione di un 8 cilindri a V di 90°. Il progetto viene affidato al “motorista” per eccellenza di casa Lancia, Ettore Zaccone Mina, che realizza una unità motrice da 2485,99 cm³ di cilindrata (alesaggio mm 76, corsa mm 68,5). Una delle caratteristiche peculiari di questo motore, che si distingue per le leghe leggere utilizzate (per il monoblocco e per i due blocchi dei cilindri), è data dal fatto che il basamento del motore è parte integrante della struttura stessa della macchina, essendo rigidamente connesso con elementi del telaio tubolare. Quanto alla distribuzione, che è con quattro alberi a camme in testa (due per ciascuna bancata) mossi da ingranaggi, la singolarità è data dalla particolare attenzione riservata al raffreddamento delle valvole di scarico, che sono posizionate (“annegate”) nel condotto dell'acqua di raffreddamento delle testate. Il comando delle valvole avviene con molle a spillo, mentre i bilancieri (tra le camme e gli steli delle valvole) sono del tipo “a dito”. Qualche discussione tra i tecnici di casa Lancia, ed in particolare tra Vittorio Jano ed Ettore Zaccone Mina, riguarda il sistema di alimentazione: il primo è decisamente a favore dell'alimentazione di tipo tradizionale, mentre il secondo (e spalleggiato, sembra, da Gianni Lancia) sembra propendere per l'alimentazione “ad iniezione diretta” (che la Mercedes sta a sua volta per adottare sulle Formula Uno che avrebbero debuttato a breve). Pare che venga addirittura costruito un motore monocilindrico sperimentale di poco più di 310 cm³ (esattamente 1/8 della cilindrata del motore previsto per la D50) alimentato ad iniezione. Ma alla fine, a prevalere è l'idea di Vittorio Jano e la D50 nasce con un sistema di alimentazione del tutto tradizionale, tramite quattro carburatori invertiti doppio corpo Solex 40 PIJ. Nella versione iniziale i due serbatoi laterali contengono circa 90 litri cadauno (secondo alcune fonti, la capacità sarebbe di 80 litri). L'accensione è a doppia candela per ciascun cilindro. Il motore viene montato con una inclinazione di 12° circa rispetto all'asse longitudinale della vettura, onde far sì che il passaggio dell'albero di trasmissione avvenga alla sinistra del sedile di guida e consenta l'abbassamento del sedile stesso con la conseguente riduzione della sezione dell'abitacolo a tutto vantaggio dell'aerodinamica.

Come nelle Aurelia di serie e nelle D20/D23/D24 “sport” il gruppo frizione/cambio/differenziale è posto al retrotreno: nella D50 però il cambio è a 5 rapporti più retromarcia e, soprattutto, è disposto trasversalmente. Le sospensioni sono a ruote indipendenti all'avantreno e semi-indipendenti con ponte De Dion al retrotreno.

Il 20 febbraio 1954 la nuova monoposto compie i primi passi (o meglio i primi giri di ruota) all'aeroporto di Torino-Caselle: alla guida della D50, dopo che il capo-collaudatore Giuseppe Gillio ha avviato il motore ed ha percorso poche centinaia di metri, siede il bi-Campione del Mondo (1952 e 1953) Alberto Ascari. Poiché l'intenzione di Gianni Lancia è quella di far debuttare la D50 nel Gran Premio di Francia, in calendario per il 4 luglio 1954, i collaudi procedono a ritmo sostenuto: nell'inverno e all'inizio della primavera del 1954 la vettura, anche per fattori meteorologici, viene spedita spesso sulla riviera ligure, sul circuito di Ospedaletti, poi, a maggio, a Monza, Alberto Ascari è addirittura vittima di un incidente che però non ha conseguenze.

I collaudi proseguono per opera di Giuseppe Navone, già in forza con quel ruolo alla Ferrari. Viene anche montato un motore quasi “quadro” con misure di alesaggio e corsa diverse da quelle originarie (alesaggio mm 73 e corsa mm 74, cilindrata totale cmc 2477,75) che viene accreditato di una potenza superiore ai 250 HP e che pare possa ruotare fino a 9.000 giri al minuto. Luigi Villoresi ed Alberto Ascari, alla fine di aprile 1954, sottoscrivono un accordo in base al quale la Lancia consente loro di partecipare a GP con macchine di altra marca fino al momento in cui la D50 sarà a punto e potrà correre. I due peraltro proseguono nei collaudi. Il previsto debutto in Francia salta: la macchina non è ancora ritenuta in grado di poter correre. Gianni Lancia è profondamente amareggiato, anche perché al Gran Premio dell'Automobile Club di Francia debutta invece la Mercedes W196: ed è un debutto “col botto”, visto che Juan Manuel Fangio conduce l'argentea macchina tedesca alla vittoria.

Finalmente, dopo una serie di convincenti prove effettuate all'inizio di ottobre in quel di Caselle e ad Ospedaletti e dopo che in un test a Monza, Alberto Ascari segna 1'56” (quasi 3 secondi meglio della “pole” della Mercedes W196 carenata di Juan Manuel Fangio alle prove ufficiali del Gran Premio d'Italia del 5 settembre 1954) due D50 vengono spedite a Barcellona per il Gran Premio di Spagna in calendario per il 24 ottobre 1954. Il debutto viene deciso malgrado persistano problemi di frenata imputati al complicato impianto a tre ganasce messo a punto da Vittorio Jano. A Barcellona le D50, rapidissime in prova, sperimentano motori con dimensioni diverse, tra cui un D50A avente mm 74,00 di alesaggio e mm 72,20 di corsa (in totale cmc 2484,17).

Dopo il GP di Spagna dell’ottobre 1954, nel 1955 le D50 disputano, con alterna fortuna, altri 5 Gran Premi (Argentina, Torino, Pau, Napoli, Monaco) poi, dopo la morte del pilota di punta Ascari (avvenuta con una Ferrari nel corso di una occasionale prova a Monza), la Lancia annuncia la sospensione dell'attività agonistica, evento che avviene pressoché in contemporanea con l'abdicazione di Gianni Lancia. Tuttavia, prima di abbandonare l'Italia per il Sud America, l'ingegner Lancia ha il tempo di concedere una vettura ad Eugenio Castellotti per correre il Gran Premio del Belgio a Spa in giugno.

Subito dopo la disputa del Gran Premio del Belgio e l'abdicazione forzata di Gianni Lancia, in seno alla fabbrica si profilano due fazioni: da una parte c'è chi vorrebbe evitare di disperdere le esperienze fatte in ambito agonistico, migliorare il materiale esistente e proseguire l'attività sportiva interrotta, e dall'altra chi invece non vede l'ora di disfarsi di tutto il “materiale da corsa” nel più breve tempo possibile, magari svendendolo. I sostenitori della seconda tesi hanno ben presto la meglio.

Trapelata la notizia, molti si fanno avanti per rilevare a buon prezzo tutto il materiale: tra i potenziali acquirenti, in prima fila, pare ci sia addirittura la Mercedes Benz. Per evitare che preziose esperienze italiche finiscano all'estero, il principe Filippo Caracciolo (suocero di Gianni Agnelli e Presidente dell'Automobile Club d'Italia) si attiva presso la Fiat fino ad ottenere un accordo a tre, in base al quale la Lancia dona alla Ferrari il suo materiale da corsa e la Fiat si impegna ad erogare alla casa modenese, per cinque anni, un contributo finanziario non indifferente (50 milioni di lire all'anno).

La cerimonia del “passaggio” avviene il 26 luglio 1955 nel cortile della Lancia in Via Caraglio a Torino: gli onori di casa sono fatti dall'avv. Domenico Jappelli e dal sig. Attilio Pasquarelli, mentre per la Ferrari sono presenti l'ing. Mino Amorotti ed il cav. Luigi Bazzi. La Fiat è rappresentata dal dr. Pestelli, mentre per l'Automobile Club d'Italia c'è il Vicepresidente ing. Arnaldo Trevisan. Tra gli altri intervenuti, oltre a Vittorio Jano, il Conte Carlo Biscaretti di Ruffia (Vice Presidente dell'Automobile Club di Torino) ed il Dr. Giovannetti dell'A.N.F.I.A.A. (Associazione Nazionale Fra Industrie Automobilistiche ed Affini). Per la cronaca, le D50 di Formula Uno donate alla casa modenese sono sei: ad esse vanno aggiunte due scocche di F1, una normale e l'altra carenata (la prima è forse munita di qualche organo meccanico, mentre la seconda ne è probabilmente priva) oltre naturalmente a molti ricambi ed parti meccaniche in genere. Con l'occasione, anche il celebre progettista Vittorio Jano passa dalla Lancia alla Ferrari.

Tra l'ottobre 1954 (debutto in Spagna) ed il giugno 1955 (Gran Premio del Belgio), la D50 subisce, come del resto è normale accada in una monoposto di Formula Uno, una serie di modifiche tese ad incrementare prestazioni ed affidabilità: la capacità dei serbatoi del carburante viene portata a 200 litri (capacità ritenuta necessaria per evitare rifornimenti in gara), le prese d'aria sul cofano e sui “pontoni” laterali vengono spesso modificate (ampliate e/o ridotte), il circuito di lubrificazione subisce parecchie migliorie, l'impianto frenante (uno dei punti deboli della vettura) è oggetto di continue attenzioni, le sospensioni vengono talvolta rese più morbide od irrigidite, il parabrezza viene rimpicciolito e munito di inclinazione regolabile. Altri valori che subiscono spesso variazioni, anche se di minima entità, sono quelli del passo e delle carreggiate: il primo spazia da cm 220 a cm 230, le seconde da cm 125 a cm 129,4 (la carreggiata posteriore arriva a misurare cm 133). Nel periodo, la D50 assume anche la denominazione D50A.

Quanto al motore, è difficile (anzi, impossibile) definire esattamente dati, potenze e dimensioni dei propulsori utilizzati di volta in volta: comunque, secondo stime attendibili, la potenza erogata varia da un minimo di 250-255 HP ad un massimo di 265 HP, i regimi di rotazione si collocano tra gli 8.000 ed i 9.000 giri/minuto, il rapporto di compressione tra 10,5:1 e 12:1. I diversi motori impiegati (tutti 8 cilindri a V di 90°) hanno le seguenti dimensioni: 1.) 2485,99 cm³ di cilindrata (alesaggio mm 76,00 e corsa mm 68,50); 2.) 2488,02 cm³ (alesaggio mm 73,60 e corsa mm 73,10); 3.) motore definito D50A da 2477,29 cm³ (alesaggio mm 74,00 e corsa mm 72,00). La velocità massima raggiungibile dalla D50, nella sua versione più potente e con il rapporto di demoltiplicazione più “lungo” è dell'ordine dei 300 km all'ora.



Lotus 12 Climax

Il motore era sito anteriormente in posizione longitudinale, e trasferiva il moto alle ruote posteriori. In principio venne usato un motore Coventry Climax V8 di 1100 cc, ma successivamente fece spazio a un 4 cilindri in linea 2000 cc sempre Coventry Climax. Quest'ultimo è quello impiegato in Formula 1. Ambedue erano motori aspirati.

Fino a qui però, nessuna innovazione. I salti in avanti riguardarono le sospensioni posteriori, il cambio e l'impiego di materiali di nuova concezione, diversi dagli acciai.

Chapman era sempre alla continua ricerca di soluzioni che permettessero di ridurre il peso del mezzo, ed abbassarne il baricentro.

Per far ciò, costruì dei particolari cerchioni in lega di magnesio, che permettevano di ridurre il peso e mantenere invariata la resistenza.

Inizialmente la Lotus 12, avrebbe dovuto adottare il ponte De Dion, come soluzione per le sospensioni posteriori, ma Chapman decise di utilizzare una sorta di configurazione MacPherson, meglio nota come Chapman strut. Questa configurazione ben si sposa col principio del telaio monoscocca, che lui stesso svilupperà.

In ultima analisi si può parlare del cambio, il quale era studiato in modo da poter eliminare il tunnel di trasmissione, e poter dunque fa sedere il pilota il più in basso possibile, migliorando notevolmente il punto ove si trovava il centro di gravità e dunque la tenuta di strada della macchina. Questo congegno però non venne architettato da Chapman, ma dai tecnici Richard Ansdale e Harry Mundy, i quali tuttavia, non riuscirono ad eliminare il problema della lubrificazione degli ingranaggi.


Williams FW12C Renault
La Williams FW12C, è la monoposto con la quale il team Williams F1 corse nel campionato mondiale di Formula Uno 1989.

La Williams FW12C di Riccardo Patrese col nuovo motore Renault.

La FW12C, guidata da Riccardo Patrese e Thierry Boutsen, consentì alla squadra di risollevarsi dopo un anno di totale crisi; tuttavia non prese parte a tutte le gare del campionato, in quanto nel Gran Premio del Portogallo venne sostituita dalla Williams FW13, che però non si rivelò ancora particolarmente affidabile. Perciò, nella gara seguente, Patrese guidò la FW12C mentre Boutsen la FW13: la FW12 venne definitivamente rimpiazzata dalla FW13 solamente nelle ultime due gare in Giappone e Australia.

Le prestazioni della vettura si rivelarono sufficientemente buone da permettera alla Williams di diventare vicecampione del Mondo costruttori, dietro solo alla McLaren che vinse la maggior parte delle gare, mentre Patrese ottenne il terzo posto nel mondiale piloti, alle spalle di Alain Prost e Ayrton Senna, i due alfieri della McLaren-Honda. I passi avanti vennero fatti anche in qualifica, infatti Patrese ottenne una pole position, e le due vetture si qualificavano spesso tra la seconda e quarta posizione. Boutsen si piazzò invece quinto, ma a differenza del compagno vinse anche dei gran premi (in Canada con la FW12C e in Australia con la FW13).

Nonostante la ritrovata competitività la Williams peccò in affidabilità, subendo numerosi ritiri anche se in minore misura rispetto al 1988: senza questi inconvenienti la scuderia britannica avrebbe potuto incrementare i suoi punti, ma difficilmente avrebbe potuto lottare contro le McLaren, che dimostrarono un'ampia superiorità sul resto dello schieramento.


Nuovo motore, auto vecchia

La FW12C non era molto diversa dalla FW12 da cui derivava, dato che quest'ultima possedeva una configurazione aerodinamica abbastanza valida.

Nel 1988 la Williams era stata privata dei motori turbo dalla Honda, malgrado un contratto valido per tutto il 1988. Scaduto questo contratto con la Honda, che al termine del 1987 aveva lasciato la Williams e pagato i motori Judd, derivati da un progetto Honda del 1980, per rispettare il contratto.

Per il nuovo campionato la Williams trovò un accordo con la Renault, la quale aveva già partecipato al Campionato mondiale di Formula 1 come pioniera dei motori turbo prima con vetture proprie e poi come fornitrice dei propulsori ad altre squadre, tra il 1976 e il 1986, quando l'azienda francese decise di ritirarsi con il profilarsi all'orizzonte del ritorno dei motori aspirati e con problemi di bilancio, superati i quali si convinse a tornare nel mondo delle corse con una nuova tecnologia e nel 1989 fece esordire sulle Williams un nuovo potente ed affidabile motore V10.

Il motore Renault a pari cilindrata del Judd V8 era ovviamente più lungo. Per questo motivo la FW12 venne modificata neltelaio e nelle dimensioni delle prese d'aria, in modo da migliorare lo smaltimento termico.

La configurazione V10 adottata dalla Renault e dalla Honda sarà adottata da tutte le altre squadre e successivamente imposta dalla FIA dal 2001 al 2005. Per il resto la vettura era praticamente identica alla FW12, dato che il cambio era il solito Hewland trasversale a 6 marce e le sospensioni quelle dell'anno prima.



Williams FW14

Nel 1992 la vettura, aggiornata e rinominata FW14B, ha vinto sia il Campionato mondiale costruttori di Formula 1 sia il Campionato mondiale piloti di Formula 1, grazie a Nigel Mansell. In entrambe le stagioni in cui ha corso i piloti sono stati Mansell e Riccardo Patrese.

È una delle più vincenti e sofisticate vetture nella storia della Formula 1 e viene tuttora ricordata con un nomignolo (l'auto venuta da un altro pianeta) affibbiatole nel 1992, grazie alla sua superiorità sulle vetture avversarie. È inoltre ricordata positivamente dagli appassionati per la sua estetica morbida e proporzionata.

La vettura nacque dalla necessità, avvertita in egual misura dalla Williams e dal suo partner Renault, di effettuare un ulteriore salto di qualità dopo due stagioni, il 1989 ed il 1990, caratterizzate da buone prestazioni ma non pienamente soddisfacenti. Adrian Newey, proveniente dalla March a metà della stagione 1990, iniziò immediatamente a lavorare sul progetto riguardante la vettura per il 1991. Nella sua sino ad allora breve carriera in Formula 1 il progettista inglese aveva disegnato vetture decisamente innovative dal punto di vista aerodinamico, tanto da risultare fin troppo estreme e molto difficili da mettere a punto. Le scarse risorse economiche della March non permisero mai un adeguato sviluppo, rivelandosi uno dei motivi degli scarsi risultati ottenuti dalla March (e poi Leyton House) tra il 1989 e il 1990, ma il budget messo a disposizione dalla Williams e la collaborazione con uno dei migliori direttori tecnici di sempre quale Patrick Head permisero ad Adrian Newey di sviluppare concretamente e sino in fondo le proprie idee, realizzando allo stesso tempo una vettura avveniristica ma comunque facile da regolare e da guidare.

Il progetto, mostrato a Nigel Mansell, era talmente valido da convincere il pilota inglese ad accantonare i suoi progetti di ritiro dalle corse facendo così ritorno alla corte di Frank Williams dopo il controverso biennio passato in Ferrari. La vettura, spinta dal nuovo motore Renault RS3 V10 da 3500 cm³, molto più leggero e compatto del propulsore dell'anno prima e dotato di distribuzione a valvole con richiamo pneumatico e, in un secondo momento, anche di tromboncini di aspirazione ad altezza variabile, era la monoposto più sofisticata in griglia già nella versione originale nel 1991, ma fu soprattutto la FW14B del 1992, equipaggiata di cambio semiautomatico, sospensioni attive, controllo della trazione e, per un breve periodo, ABS, a risultare talmente avveniristica da non poter essere assolutamente paragonata alle vetture concorrenti come la McLaren MP4/6, la Ferrari F92 A oppure la Lotus 107. La FW14B ebbe un successo talmente grande che la sua erede, la FW15C, pronta a debuttare a metà stagione, non fu mai utilizzata nel 1992 ma fu riservata alla stagione 1993.

La FW14 debuttò al Gran Premio degli Stati Uniti del 1991 e si dimostrò subito velocissima anche se poco affidabile. Nelle prime cinque gare, infatti, nonostante le brillanti prestazioni in prova, i piloti della Williams riuscirono ad ottenere soltanto due secondi posti, in Brasile con Patrese e poi a Monaco con Mansell ed un terzo posto in Canada con l'italiano. I problemi, che afflissero soprattutto Mansell, erano dovuti alla fragilità del nuovo cambio semiautomatico. A partire dal Gran Premio del Messico e per tutta la parte centrale della stagione la Williams FW14 dominò la scena, permettendo ai suoi piloti di vincere sette Gran Premi (cinque vittorie per Mansell e due per Patrese) e soltanto l'affidabilità della McLaren, uno straordinario Ayrton Senna, oltre ad una certa dose di sfortuna (in Canada Mansell fu costretto a fermarsi all'ultimo giro per un problema elettrico mentre era in testa ed in Portogallo l'inglese dopo aver dominato tutta la prima parte di gara viene squalificato per aver sostituito una gomma fuori dalla zona deputata per rimediare ad un pasticcio combinato dai suoi meccanici) impedirono a Mansell di conquistare il suo primo titolo mondiale ed al team di primeggiare tra i costruttori. La stagione della Williams si concluse con il secondo posto nella classifica costruttori, fra i piloti Mansell si classificò al secondo posto e Patrese al terzo. Nonostante l'affermazione dei rivali, la superiorità della vettura di Grove era evidente e in tanti, Ayrton Senna in primis, avevano capito che la McLaren l'anno successivo avrebbe difeso il titolo mondiale con moltissime difficoltà.
1992 - In vista della successiva stagione vennero migliorati il cambio e le sospensioni attive, tanto che la vettura si rivelò così nettamente superiore alle altre da essere soprannominata la vettura venuta da un altro pianeta. La Williams instaurò definitivamente il dominio tecnico già manifestato nel 1991 e che durerà fino al 1997. Mansell conquistò il titolo piloti ottenendo nove vittorie e tre secondi posti, Patrese il secondo posto titolo mondiale piloti, mentre la Williams vinse il quinto titolo costruttori con 10 vittorie e 164 punti, 65 in più della McLaren-Honda.


Connaught A-Series
Connaught Engineering fece il suo debutto nelle corse durante la stagione 1952. Tra le altre vetture di Formula 2 che gareggiano nel Campionato del Mondo, il loro telaio A-Type si dimostrerebbe competitivo e capace, ma soprattutto nelle gare che si svolgono da qualche parte sulle isole britanniche.


Benetton B195 Renault
La Benetton fu la prima auto che innalzò il muso anteriore della vettura

La Benetton B195 fu l'undicesima monoposto prodotta dalla Benetton Formula per prendere parte al campionato mondiale di Formula 1. Impiegata nella stagione 1995, fu guidata da Michael Schumacher e Johnny Herbert.

Fu la vettura più vincente mai prodotta dal team, giacché riuscì a conquistare il secondo titolo piloti consecutivo e il primo (e unico) titolo costruttori della storia della Benetton. Fu inoltre l'ultima monoposto ad essere omologata con licenza britannica: la vettura dell'anno seguente, la B196, venne infatti dotata di licenza italiana.


Johnny Herbert, Montreal, 1995

Progettata dall'ingegnere Rory Byrne e sotto la supervisione del direttore tecnico Ross Brawn, la B195 riprendeva ed aggiornava l'antesignana B194, adattandosi al contempo ai nuovi regolamenti di sicurezza varati sulla scia dei tragici avvenimenti del Gran Premio di San Marino 1994. Si provvide pertanto a creare uno scalino nel fondo della vettura che la rialzasse di almeno 5 cm dal suolo.

I più evidenti cambiamenti rispetto alla monoposto del 1994 consistettero in un ulteriore aumento della dimensione delle pance laterali e un affinamento dell'aerodinamica dell'alettone posteriore e del retrotreno in generale. Vennero inoltre introdotte delle alette davanti alle ruote posteriori per aumentare il carico aerodinamico.

La principale innovazione era comunque rappresentata dal motore: per espressa volontà di Flavio Briatore, il V8 Ford ZR venne sostituito dal nuovo V10Renault da 3000 cm³, che rispetto alla versione del 1994, pur avendo dovuto subire ai sensi del nuovo regolamento una decurtazione di 500 cm³ di cilindrata, era più leggero, consumava meno e garantiva un regime di rotazione di 800 giri al minuto in più.

La Telemetria

Ogni aspetto della vettura, la velocità di rotazione del motore, la velocità, la temperatura del motore, i movimenti della sospensione, i movimenti del pedale, la forza g laterale, i tempi sul giro, gli intermedi e tantissimi altri parametri ancora sono controllati da sensori posizionati su tutta la vettura che trasmettono tutto alla centrale (scuderia). In media ogni scuderia porta ad un GP quasi 30 kg di apparecchiature che controllano tutti questi parametri che possono essere di grande aiuto sia ai meccanici sia al pilota quando avrà terminato le prove.Ogni auto di F1 ha due tipi di telemetria:

  • il primo è costituito da una serie di impulsi che vengono inviati via etere dall'auto ogni qual volta essa passa dal traguardo. Questi segnali sono di circa 4 Mb di informazioni e dati, che danno un'idea delle condizioni della monoposto. Altri 40 Mb vengono scaricati dall'auto ai computer quando esse vanno ai loro box in modo da dare in maniera particolareggiata tutte le minime informazioni che prima non potevano dare. Queste informazioni si ottengono collegando un computer alla vettura con un cavo.
  • il secondo tipo di telemetria è costituito da un sistema che trasmette in tempo reale piccole informazioni. Queste informazioni sono trasmesse dall'antenna che si trova sul musetto del veicolo o si trova integrata sugli specchietti retrovisori.

Telemetria bidirezionale

La vera rivoluzione nel campionato di F1 del 2002 è la telemetria bidirezionale o a due vie. La rivoluzione consiste nel nuovo modo di gestire la vettura durante un GP, la gestione delle risorse della monoposto. Ma cosa è questo tipo di telemetria e quali sono i suoi vantaggi? Detto in due parole è la possibilità di intervenire sulla vettura in corsa, dai box senza possibilità di errore. Infatti lo svantaggio della "vecchia" telemetria era dovuto al fatto che i vari settaggi della vettura potevano solo essere effettuati dal pilota, attraverso il computer-volante, ed erano anche molto pochi (solo cinque opzioni). Queste variazioni di settaggi come la diversa ripartizione di frenata, o la diversa combustione del motore potevano essere effettuate mediante delle leve presenti sul volante: ciò poteva anche essere fonte di distrazione per il pilota, che oltre ad essere concentrato per la gara, doveva azionare le leve giuste al punto giusto. Ora invece mediante le telemetria a due vie tutte quelle leve presenti sul volante spariranno poichè quelle "ridicole" cinque opzioni saranno modificate via radio dai box in aggiunta ad altre 600 parametri, senza ovviamente distrarre minimamente il pilota e senza sbagliare un colpo! Facciamo un esempio pratico. Mentre un pilota sta gareggiando, i tecnici si accorgono che a causa di problemi X (per esempio una notevole usura della ruota anteriore destra) in alcune curve l'aderenza è minore che, naturalmente, costringe il pilota a ridurre la velocità con cui esegue quella curva. I tecnici, dai box, inviano immediatamente un segnale alla monoposto regolando, ad esempio, la sospensione di quella ruota ripristinando le condizioni iniziali della monoposto. Il tutto senza che il pilota influisca minimamente sui comandi. Voi direte perchè non applicare le telemetria bidirezionale anche alla partenza per ottimizzarla ancora di più? Ebbene la Fia ha già pensato a questo problema impedendo alle scuderie di intervenire sulla telemetria a due vie. Ciò che sarà più difficile è invece rendere pratico ciò che è sulla carta. Infatti la Fia, benchè dotata di apparecchiature sofisticate, non sempre sarà, a mio avviso, capace di controllare tutte le telemetrie della varie scuderie. Un altro fenomeno che pian piano emergerà sarà la lotta a come disturbare meglio i segnali delle altre società di F1. Viene quasi da ridere, ma non di rado accadrà di vedere una monoposto fermarsi senza un'apparente causa. Infatti una scuderia, se riesce a trovare il segnale di trasmissione (che ovviamente è criptato) di un'altra squadra, può inviare segnali errati alle monoposto avversarie e far spegnere, ad esempio, il motore!Insomma ci sarà una lotta non solo tra le scuderie, ma anche tra le società che producono i software delle telemetrie.

Software

I team usano solitamente i software dei loro patners che sono Hewlett Packard, Compaq, TAG Electronics. La McLaren usa un sistema avanzato di telemetria denominato "ATLAS" (Advanced Telemetry Linked Acquisition System) e si ritiene che sia uno dei più sviluppati sistemi di telemetria che esiste in F1 tanto che molte scuderie hanno un sistema analogo a questo, ma che non arriva alle sue prestazioni.


Ferrari F2002
È stata presentata il 6 febbraio 2002 a Maranello. Ha vinto il titolo piloti e costruttori di F1 ed è ha ottenuto la 150esima vittoria, in Canada, con Schumacher
La vettura presenta la classica colorazione rossa con inserti bianchi, dovuti agli sponsor Marlboro e Vodafone. .


La F2002 conservata al Museo Ferrari
La F2002 si configura come una vettura decisamente diversa dalle precedenti monoposto realizzate dalla scuderia di Maranello: se la F2001 rappresentava l'estrema evoluzione delle soluzioni adottate dai tre modelli precedenti (Ferrari F300, Ferrari F399 e Ferrari F1-2000) la nuova monoposto, pur mantenendo una linea non dissimile dalla progenitrice, è foriera di numerose modifiche e migliorie.
La F2002 presenta vistose novità soprattutto al retrotreno: alla base di tali modifiche si individua la necessità di ridurre gli ingombri della trasmissione ottimizzando al tempo stesso, ai fini di ottenere un'aerodinamica posteriore ancora più sofisticata, lo schema delle sospensioni. Le fiancate, rispetto alla F2001, risultano più lunghe in quanto l'abitacolo, per poter avere un serbatoio della benzina più grande, è stato spostato in avanti. Le pance risultano pertanto più voluminose nella parte iniziale e più basse e strette nella zona posteriore. I tecnici della Ferrari hanno poi unito lo sfogo dell'aria calda allo sfiato degli scarichi, che ora indirizzano l'aria calda uscente dagli scarichi in orizzontale e non più verso l'alto. A protezione delle sospensioni posteriori vi sono poi delle piccole paratie orizzontali. I deviatori di flusso, posti davanti alle prese d'aria delle fiancate, risultano molto più grandi rispetto a quelli della F2001 e presentano una forte svergolatura. Il muso della F2002 è stato ulteriormente alzato, in quanto il flusso aerodinamico è stato ottimizzato grazie all'effetto estrattore dei gas di scarico, ma non presenta differenze sostanziali rispetto a quello della vettura precedente.

Vista laterale della F2002 di Schumacher al GP di Francia 2002
La sospensione posteriore è stata modificata in modo da renderla più compatta: i bracci superiori ed inferiori, per non ostacolare il flusso d'aria in uscita dal fondo, sono stati distanziati di pochi centimetri mentre i punti di ancoraggio alla scocca sono stati ravvicinati determinando, in combinazione con l'aderenza consentita dagli pneumatici e dai carichi aerodinamici, un aumento della capacità di sforzo dell'intero sistema sospensivo. A protezione delle sospensioni posteriori vi sono poi delle piccole paratie orizzontali.
Per ciò che concerne il motore, la zona degli scarichi è stata angolata di 90° potendo così integrarla con gli sfoghi dell'aria sfruttando così un effetto estrattore dovuto alla depressione determinata dalla velocità e temperatura dei gas di scarico e consentendo di presentare fiancate totalmente lisce: tali modifiche hanno avuto la conseguenza di ottenere più deportanza a parità di incidenza.


Lotus 97T Renault
La Lotus 96T, vettura pensata per il campionato Indycar.
L'innovazione principale è rappresentata dall'introduzione di una prima forma di paratie nella parte delle prese d'aria laterali.

La vettura si dimostra molto competitiva soprattutto in prova e nella prima parte di stagione . Tra la seconda gara (Gran Premio del Portogallo) e la sesta (Gran Premio del Canada) conquista cinque pole consecutive (4 con Senna e 1 con De Angelis), e la vittoria in Portogallo (con Senna - la prima in carriera per il brasiliano) e a Imola (con De Angelis). La scarsa affidabilità e gli elevati consumi del motore Renault, penalizzano Senna che per ben sette gare dopo la vittoria in Portogallo non conquista punti. Senna rimase senza benzina (all'epoca limitata a 220 litri) a pochissimi giri dalla fine in due gran premi (San Marino, Gran Bretagna, ed in almeno altrettanti fu costretto a rallentare per terminare la gara, rinunciando alla vittoria.

Nella parte centrale della stagione la vettura conquista però ancora dei podi, per poi chiudere con altre tre pole di Senna, e la vittoria del brasiliano in Belgio.

In totale la vettura conquista 71 punti (frutto di 3 vittorie, 2 secondi posti, 4 terzi, 1 quarto, 6 quinti e 1 sesto), facendo chiudere la scuderia al quarto posto nella classifica costruttori, a pari punti con la Williams, terza. La vettura coglie anche 3 giri veloci. 

Ayrton Senna Elio De Angelis nel gran Premio di Germania 1985

Ferrari 555 Super Squalo
La Ferrari 553/555 F1, soprannominata supersqualo
per via delle sue forme,
è la vettura con cui la Scuderia Ferrari corse parte del Campionato mondiale di Formula 1 1955.


Nino Farina prova la nuova Ferrari 555 F1 all'aerautodromo di Modena (1955)
. In fondo, con gli occhiali scuri, si riconosce Enzo Ferrari.

Alla fine del 1954, la 553 F1 fu sottoposta a radicali modifiche mirate a migliorarne le prestazioni che si erano rivelate alquanto deludenti. Il risultato di queste modifiche fu la 555 F1 che per il 1955 avrebbe dovuto rappresentare la vettura di punta della Scuderia Ferrari, quella su cui la casa di Maranello avrebbe concentrato tutti gli sforzi per contrastare Mercedes e Lancia.

Nel complesso la 555 F1 venne rivista nel telaio, che ora inglobava la sospensione posteriore, e adottava le nuove sospensioni anteriori che erano già state provate a partire dal GP di Spagna 1954
Venne inoltre adottato un nuovo radiatore più piccolo che permise di migliorare l'aerodinamica del muso, che ora si presentava più rastremato, accentuando così la caratteristica formale della vettura. Il motore rimase invece invariato.

Come per la 553 F1 il nome, contrariamente alla tradizione del marchio, si riferiva alla cilindrata unitaria (499 cm³ approssimata per eccesso a 500 cm³) solo nella prima cifra seguita dall'anno di produzione della vettura, in questo caso il 1955.

Tuttavia la 555 F1 non ebbe particolare successo e le sue prestazioni, anche a causa delle potenti Mercedes W196, risultarono alquanto deludenti tanto che in alcune gare della stagione 1955 le venne preferita la vecchia 625 F1 che si dimostrò più competitiva e affidabile. A nulla valsero gli sforzi della Ferrari che costrinsero i tecnici di Maranello a un lavoro frenetico per cercare e, possibilmente, recuperare lo svantaggio tecnico nei confronti della Mercedes che disponeva di un ben superiore potenziale tecnico ed economico
A partire dal 1956 venne sostituita dalla più competitiva Lancia-Ferrari D50.

Complessivamente i risultati della 555 F1, nelle poche gare a cui prese parte, furono piuttosto altalenanti e senza soluzione di continuità. L'esordio in F1 avvenne al GP di Monaco 1955, ma, mentre la 625 F1 di Maurice Trintignant conquistava il gradino più alto del podio nonché l'unica vittoria stagionale della Scuderia Ferrari, le due 555 F1 arrancarono non poco con Taruffi che arrivò solo ottavo mentre Harry Schell fu costretto al ritiro per problemi al motore. La gara successiva, il GP del Belgio, fu più fortunata con Farina 3º al traguardo seguito da Paul Frère 4°.

A partire dal GP d’Olanda si unirono alla squadra Eugenio Castellotti, orfano della Lancia dopo che quest'ultima aveva deciso di rinunciare alle corse a causa della tragica morte di Alberto Ascari, e Mike Hawthorn, reduce da una poco felice esperienza con la Vanwall. Nel GP olandese la 555 F1 condusse un'altra gara anonima con Castellotti 5°, Hawthorn 7° e Trintignant ritirato per la rottura del cambio. L'ultima gara in carriera della 555 F1 fu il Gran Premio d'Italia dove ben figurò grazie a Castellotti che conquistò un onorevole 3º posto.

In seguito la poco fortunata monoposto di Maranello, sostituita dalla Lancia- Ferrari D50, continuò a figurare in qualche gara di formula libera anche se con un diverso motore.


BRM P126


La BRM P126 è una monoposto di Formula 1, costruita dalla scuderia inglese BRM per partecipare
 al Campionato mondiale di Formula 1 1968 e Campionato mondiale di Formula 1 1969.


Dopo due stagioni passate concentrandosi sullo sviluppo di un nuovo propulsore V16, la direzione tecnica del team inglese, visti gli scarsi risultati ottenuti, decise di dedicarsi alla progettazione di una nuova unità V12, più semplice da gestire e realizzare.

La vettura progettata da Len Terry era equipaggiata con un propulsore V12 dalla potenza di 370 cv gestito da un cambio Hewland manuale a cinque rapporti. Il telaio era in configurazione monoscocca realizzato in alluminio, mentre l'impianto frenante era costituito da quattro freni a disco ventilati. Le sospensioni, in tutte le sezioni, erano composte da doppi bracci trasversali, molle elicoidali e ammortizzatori..
La P126, durante la stagione 1968 del campionato di Formula 1, ottenne diversi secondi posti che le permisero di arrivare quinta nel mondiale costruttori.

A metà della stagione 1968 la P126 venne sviluppata e il nuovo modello venne denominato P133, nonostante quest'ultimo mostrasse delle modifiche estremamente lievi.



Motore Renault-Gordini EF1 1.5 V6 (Turbo) in prova al banco prova-1979 
Il Renault EF1 nella versione a due turbine e doppio collettore di aspirazione
sulla Renault RE20 di Jean-Pierre Jabouille del 1980

   Gomme


1940-1952: Nasce il moderno Pneumatico Radiale

Tra il 1940 ed il 1948 la società cambia denominazione sociale divenendo Manifattura della Gomma Michelin e lo stabilimento di Cataroux, distrutto dai bombardamenti del 1944 viene completamente ricostruito e modernizzato.

 Nel 1946 la casa francese brevetta la sua (forse) più importante scoperta tecnologica, il Pneumatico Radiale (il padre dei pneumatici moderni). Brevettato il 4 giugno, il radiale viene commercializzato con il nome di Michelin X. Sempre in questi anni la metropolitana parigina corre per la prima volta su pneumatici e Lancia equipaggia le proprie auto con gomme Michelin X come 1° equipaggiamento. 

I pneumatici Michelin sono ormai amati e rispettati in tutto il mondo; tutte le più gradi case automobilistiche fanno a gara per montare le gomme del Bibendum come primo equipaggiamento. Anche nelle competizioni, i pneumatici Michelin X sono molto ambiti e riescono ad affermarsi. Durante infatti la 24 Ore di Le Mans, una Lancia B20 gommata Michelin X e una Renault 4 CV equipaggiata con gomme Michelin convenzionali vincono nelle rispettive categorie.


1955-1967: Nasce il 1° pneumatico asimmetrico: il Michelin XAS

In questi anni la maggior parte dei costruttori europei adottano la soluzione del pneumatico radiale, pneumatico che, per la sua tecnologia viene sviluppato anche in versioni speciali pensate per le macchine del Genio Civile.

Michelin impiega ormai 81.000 persone in tutto il mondo di cui 37.400 solo in Francia. Proprio in questi anni la casa apre il proprio Centro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico di Ladoux e  presenta al suo pubblico il 1° pneumatico asimmetrico, il Michelin XAS, una gomma pensata appositamente per auto potenti e veloci.

1981-1990: Michelin X Air. Il primo pneumatico radiale per aerei

Tra il 1981 e i primi anni ’90 Michelin brevetta il 1° pneumatico radiale per aerei e dopo essere diventata azionista di maggioranza di Kleber – Colombes (Francia) apre uno stabilimento a Columbia (Carolina del Sud, USA). Sempre in questi anni la casa presenta un ulteriore brevetto di importanza mondiale: il 1° pneumatico radiale per moto, pneumatico che sarà commercializzato nel 1987. Venfono aperte inoltre fabbrice in Asia, Thailandia e Giappone.


   

Le gomme per le monoposto da formula 1 devono resistere a temperature elevate (pari a 125°C) e a giri di rotazione pari a 3000 rpm alla massima velocità.Le gomme sono riempite con speciale azoto e aria compressa che fanno sì che la sua pressione interna rimanga inalterata per tutto il suo utilizzo. Le gomme sono realizzate con tre essenziali composti: carbonio, polimeri e oli speciali. Per ogni gran premio è possibile utilizzare due tipi di mescole per le ruote da asciutto: o dure o morbide. Purtroppo se il sabato si usano o le gomme morbide o quelle dure, per regolamento, occorre utilizzare le stesse anche la domenica. Ciò potrà essere un vantaggio il sabato perchè ad esempio potrebbe rendere più veloce la macchina, ma la domenica potrebbe essere penalizzante nei risultati. Ciò è avvenuto nel gran premio di Spagna alle McLaren che il sabato hanno avuto scarsi risultati ma la domenica i risultati furono positivi. Le gomme più morbide danno molto grip ma si usurano molto rapidamente, mentre le gomme dure danno meno grip ma si usurano in più giri.

 Qui accanto sono stati disegnati i tre tipi di battistrada che possono essere utilizzati in un gran premio. A sinistra c'è il battistrada da asciutto con le scanalature per diminuire la velocità dei veicoli. Invece alcuni anni fa le ruote erano totalmente lisce come accade ora per la formula 3000 e per LeMans. In mezzo vi è la gomma "intermedia" che si usa quando l'asfalto è leggermente bagnato a causa di un lieve temporale o quando solo alcune parti della pista sono bagnate. Quando invece la pista è dichiarata ufficialmente bagnata dai commissari di percorso occorre usare la gomma da bagnato. Essa deve avere le seguenti caratteristiche: deve avere almeno il 75% di contatto con l'asfalto. Il resto (25%) deve essere la zona del battistrada che rimuove l'acqua attraverso le scanalature. Se si dovesse usare la gomma da bagnato su asfalto che si sta asciugando, essa potrebbe surriscaldarsi fino a perdere grip. Proprio per questo motivo a volte si vede Schumacher che "va a cercare la parte bagnata" dell'asfalto per raffreddare i copertoni.

Pressione delle gomme

 Anche la pressione delle gomme influenza le prestazioni di una vettura da F1. Infatti ci sono due parametri che variano al variare della pressione. Il primo riguarda la reattività del pneumatico. Quanto maggiore è la pressione di gonfiaggio del pneumatico, tanto minore sarà la sua deformazione in curva e la zona di contatto con il suolo varierà solo leggermente, offrendoti un potenziale di aderenza, più veloce e più reattivo. Al contrario, quanto minore sarà la pressione di gonfiaggio del pneumatico, tanto più occorrerà ottenere il suo massimo potenziale di aderenza anche se si usurerà prima del tempo e sarà meno reattivo in accelerazione.Il secondo parametro riguarda il potenziale di aderenza del pneumatico al suolo (grip). Quanto maggiore sarà la pressione di gonfiaggio, tanto minore sarà la sua zona di contatto con il suolo. Invece la riduzione di pressione porterà alla comparsa di infossature nel centro del battistrada, riducendo notevolmente la zona di contatto e conseguentemente aumentando la perdita di aderenza. (Attenzione: la stessa cosa accade per le vostre auto e quindi le gomme devono avere la pressione giusta che è sempre indicata sul libretto d'istruzione).Infine la variazione della pressione delle gomme produce effetti sotto/sovrasterzanti.

Quanto incidono i pneumatici anteriori sull'aerodinamica?
Effetto suolo anteriore Effetto suolo posteriore % effetto di suolo Resistenza avanzamento Efficienza aerodinamica Sensibilità all'altezza da terra Raffreddamento
- - - 16% - - -

Quanto incidono i pneumatici posteriori sull'aerodinamica?
Effetto suolo anteriore Effetto suolo posteriore % effetto di suolo Resistenza avanzamento Efficienza aerodinamica Sensibilità all'altezza da terra Raffreddamento
- - - 17% -




Ferrari, Renault, McLaren, Williams, Tyrrell, Sauber, Arrows,

sono questi i nomi dei team che hanno sviluppato negli anni il concetto di “mono chiglia”, “doppia chiglia” e “attacco a V”, arrivando
 a soluzioni anche estreme e spesso copiate da molte altre squadre. Ma cosa si intende con questi tre termini?

Quali sono i vantaggi che derivano dall’utilizzo di una o dell’altra soluzione?
Per rispondere bisogna iniziare il discorso partendo dalle vetture degli anni ottanta, quando tutte le vetture di Formula 1 avevano un muso basso e largo ai lati del quale erano attaccati i bracci della sospensione anteriore. Sia il triangolo superiore che quello inferiore erano sdoppiati, cioè il componente destro non aveva contatto con quello sinistro, l’aria che passava sotto la vettura non aveva nessun passaggio di incalanamento e quello che gli ingegneri cercavano di sfruttare era la pressione generata dall’aria
 sulla parte superiore del muso stesso.




La Tyrrell 019 con il muso alto ad ala di gabbiano

Agli inizi degli anni novanta, però, la Tyrrell, con la sua 019, introdusse per la prima volta il musetto alto su una monoposto di Formula 1. Fin dall’inizio gli ingegneri della Tyrrell avevano capito che lo sfruttamento del flusso d’aria che scorre sotto la vettura poteva dare enormi vantaggi per quanto riguarda il carico deportante che schiaccia la vettura a terra. Con l’introduzione del musetto rialzato, però, non si potevano più ancorare i braccetti inferiori direttamente ai lati del muso, questo perché la carrozzeria era troppo rialzata e attaccare tutto ad essa non avrebbe lasciato abbastanza spazio tra il triangolo superiore e quello inferiore pregiudicando il funzionamento della sospensione stessa; allora i progettisti introdussero il concetto di “mono chiglia”.






La monochiglia della Ferrari

Questa soluzione consiste nel creare sotto il musetto una sorta di pinna molto spessa dove ancorare i braccetti inferiori della sospensione.
Si viene a creare un puntone sotto al musetto dove da un unico punto partono i braccetti sinistri e destri della sospensione anteriore. Questa soluzione consente di avere sia il musetto alto, che uno schema delle sospensioni valido (triangolo superiore ed inferiore sono ben distaccati) e rigido nel suo insieme. Ma per sfruttare al meglio il flusso d’aria che si incanala sotto il musetto bisognava eliminare lo “scoglio” dell’attacco delle sospensioni, troppo ingombrante al punto da interrompere il flusso d’aria e quindi annullare il vantaggio del muso alto. Il problema fu risolto dalla Jordan nel ’92, quando il suo ingegnere, Gary Anderson, introdusse un attacco dei braccetti inferiori della sospensione anteriore sdoppiato. Questa soluzione, denominata “doppia chiglia” consisteva nel creare due piccole alette laterali che si allungassero verso il basso partendo dai lati del musetto, in modo da ricreare una superficie laterale simile a quella delle vetture anni ottanta, ma che al contempo lasciasse libera la parte centrale del musetto formando così una sorta di tunnel dove l’aria potesse incanalarsi per finire sotto il fondo piatto senza incontrare ostacoli all’altezza delle sospensioni.





La doppiachiglia della Sauber

L’idea era nel contempo semplice e geniale ed infatti fu copiata da molte altre squadre, tra le quali: Sauber, McLaren, Wlliams, Arrows e Jaguar. Naturalmente ogni team ha personalizzato l’idea iniziale con cambiamenti spesso molto estremi; ad esempio l’Arrows ha introdotto le due paratie laterali molto lunghe e dritte, che fanno parte di un raffinato pacchetto aerodinamico per l’anteriore della vettura.




Il raffinato complesso a doppiachiglia dell’Arrows

L’idea era nel contempo semplice e geniale ed infatti fu copiata da molte altre squadre, tra le quali: Sauber, McLaren, Wlliams, Arrows e Jaguar. Naturalmente ogni team ha personalizzato l’idea iniziale con cambiamenti spesso molto estremi; ad esempio l’Arrows ha introdotto le due paratie laterali molto lunghe e dritte, che fanno parte di un raffinato pacchetto aerodinamico per l’anteriore della vettura.






Un’altra soluzione estrema è quella della Williams, che nel 2004 ha presentato un muso altissimo e corto, dove le pinne di attacco delle sospensioni si protraevano, oltre che verso il basso, anche verso la parte anteriore del muso, divenendo i sostegni per l’ala anteriore.




Il cortissimo musetto a "tricheco" della Williams

Questa soluzione, difficoltosa da realizzare per via delle dimensioni del musetto molto corto e quindi difficilmente adattabile a resistere ai crash test imposti dalla FIA, consentiva, però, una portata d’aria enorme verso il fondo della vettura, creando così idealmente un effetto di deportanza.






I doppi attacchi larghissimi della William nella versione "tricheco"

Purtroppo i calcoli teorici non furono confermati dai risultati in pista: la struttura del musetto, infatti, non aveva abbastanza rigidità per sostenere al meglio sia l’ala anteriore che i bracci delle sospensioni rendendo difficoltoso il set-up della vettura; inoltre l’aria che fluiva sotto la vettura era troppa e una volta schiacciata sotto il fondo piatto della vettura creava un effetto di “pompaggio” destabilizzando la monoposto, che in pratica risultava inguidabile alle alte velocità.

In pratica la soluzione Williams aveva amplificato sia i vantaggi che gli svantaggi della soluzione a “doppia chiglia”: da un lato la possibilità di sfruttare un flusso pulito di aria sotto la vettura per creare deportanza, dall’altro lato lo scotto di avere una struttura non del tutto rigida, la quale rendeva spesso difficile settare la vettura.

In alcuni casi questo problema è stato risolto unendo le due ali laterali con un elemento trasversale che irrigidiva la struttura, ma sporcava il flusso d’aria riducendo i vantaggi del muso alto. Con il passare degli anni, sia la “mono chiglia” cha la “doppia chiglia” si sono evolute, ma è stato nel 2006 che finalmente due team sono giunti a quella che pare la soluzione migliore, quella soluzione che abbina la rigidezza della prima soluzione con i vantaggi aerodinamici della seconda; Renault e McLaren, questi sono i due team, hanno creato una sorta di mini struttura sotto il musetto a forma di V.






Il mini telaio della Renault che ancora i bracci inferiori della sospensione

A questa struttura vengono ancorati i bracci inferiori della sospensione anteriore come la “mono chiglia”, ma lascia lo spazio libero per il flusso d’aria come la “doppia chiglia”. Così come accade ogni volta che qualche mente brillante escogita una soluzione vincente, anche questa volta tutti gli altri team si sono adeguati copiando l’idea adattandola alle proprie vetture, tanto che nel 2007 praticamente tutti i team presentano questa soluzione.






Misurare la velocità in F1

Vi siete mai chiesti che cos'è quell'antennina che le F1 hanno all'altezza delle sospensioni anteriori, a forma di L rovesciata ?
Quella che a prima vista sembra una comune antennina per comunicare con i box, in realtà nasconde un geniale quanto raffinato metodo per misurare la velocità della vettura.Un tachimetro un pò più preciso di quello che abbiamo normalmente sulle nostre vetture stradali, ma che si basa su un concetto fisico molto semplice. Questo rilevatore di velocità è costituito da 2 tubicini concentrici (vedi zona 3), cioè uno dentro l'altro, che viene posto sul cofano delle f1.La parte utile dello strumento è la punta e il tratto orizzontale , mentre la parte verticale serve solo per sostenere la precedente Ho disegnato questo schemettino al Cad dal quale credo sia facile capire il funzionamento e al quale farò riferimento in questa spiegazione. Il tratto superiore di questo strumento deve essere orizzontale perchè deve essere coincidente con il flusso dell'aria che io ho disegnato con le frecce azzurre . La posizione dello strumento non è casuale. Quello è l'unico punto in cui l'aria arriva di moto laminare cioè non ha subito le perturbazioni degli alettoni , ne delle ruote o di altri componenti della macchina. In più la sua lontanza dal cofano dovuta al collo molto alto, fa si che non si crei una depressione come in vicinanza delle superfici della vettura.Questi accorgimenti e un 'oppurtuna taratura permettono di avere misurazioni precise e sempre attendibili.

- L'aria arriva nella zona 1 che è l'imboccatura del tubo più piccolo , quello Rosso.Il tubo rosso in fondo è chiuso e in 1 il flusso d'aria trova un blocco , un ostacolo e comprime l'aria all'interno del tubino rosso, facendone aumentare la pressione.

- L'aria che non rimane bloccata in zona 1 scorre aderendo alle pareti del tubo Blu, e passa sopra le aperture che ho indicato col numero 2 . Nella zona tra il tubo Blue quello Rosso la pressione si mantiene uguale a quella dell'aria che arriva come se non ci fossero ostacoli, cioè alla pressione dell'aria davanti alla vettura. Sotto il cofano dove entra il collo del pitot , c'è uno strumento che registra la pressione del tubo rosso e quella della zona tra tubo blu e rosso.La differenza tra queste 2 pressioni è proporzionale alla velocità.Questo avviene ovviamente perchè all'aumentare della velocità relativa tra la vettura e l'aria , la pressione all'interno del tubo rosso aumenta , mentre l'atra nel tubo blu rimane praticamente invariata.

Semplice e efficace !


Vi siete mai chiesti che cos'è quell'antennina che le F1 hanno all'altezza delle sospensioni anteriori, a forma di L rovesciata ?
Quella che a prima vista sembra una comune antennina per comunicare con i box, in realtà nasconde un geniale quanto raffinato metodo per misurare la velocità della vettura.Un tachimetro un pò più preciso di quello che abbiamo normalmente sulle nostre vetture stradali, ma che si basa su un concetto fisico molto semplice. Questo rilevatore di velocità è costituito da 2 tubicini concentrici (vedi zona 3), cioè uno dentro l'altro, che viene posto sul cofano delle f1.La parte utile dello strumento è la punta e il tratto orizzontale , mentre la parte verticale serve solo per sostenere la precedente Ho disegnato questo schemettino al Cad dal quale credo sia facile capire il funzionamento e al quale farò riferimento in questa spiegazione. Il tratto superiore di questo strumento deve essere orizzontale perchè deve essere coincidente con il flusso dell'aria che io ho disegnato con le frecce azzurre . La posizione dello strumento non è casuale. Quello è l'unico punto in cui l'aria arriva di moto laminare cioè non ha subito le perturbazioni degli alettoni , ne delle ruote o di altri componenti della macchina. In più la sua lontanza dal cofano dovuta al collo molto alto, fa si che non si crei una depressione come in vicinanza delle superfici della vettura.Questi accorgimenti e un 'oppurtuna taratura permettono di avere misurazioni precise e sempre attendibili.

- L'aria arriva nella zona 1 che è l'imboccatura del tubo più piccolo , quello Rosso.Il tubo rosso in fondo è chiuso e in 1 il flusso d'aria trova un blocco , un ostacolo e comprime l'aria all'interno del tubino rosso, facendone aumentare la pressione.

- L'aria che non rimane bloccata in zona 1 scorre aderendo alle pareti del tubo Blu, e passa sopra le aperture che ho indicato col numero 2 . Nella zona tra il tubo Blue quello Rosso la pressione si mantiene uguale a quella dell'aria che arriva come se non ci fossero ostacoli, cioè alla pressione dell'aria davanti alla vettura. Sotto il cofano dove entra il collo del pitot , c'è uno strumento che registra la pressione del tubo rosso e quella della zona tra tubo blu e rosso.La differenza tra queste 2 pressioni è proporzionale alla velocità.Questo avviene ovviamente perchè all'aumentare della velocità relativa tra la vettura e l'aria , la pressione all'interno del tubo rosso aumenta , mentre l'atra nel tubo blu rimane praticamente invariata.

Semplice e efficace !

GLOSSARIO
ACCELLERATORE ELETTRONICO
Nella "F1" attuale, il comando "drive-bywire" è generalizzato. Infatti sul pedale c'è un potenziometro che serve a informare la centralina
di regolare l'apertura del gas (tramite un servomotore).

AQUAPLANING
Deriva dal verbo inglese “to aquaplane” che significa scivolare con l’acquaplano. Nel mondo dei motori indica la perdita dell’aderenza dei pneumatici sull’asfalto bagnato dovuto a uno strato d’acqua, quando si superano determinate velocità. Tutto ciò ha come risultato la perdita
del controllo della vettura da parte del pilota.

ADERENZA
Consiste nell’attrito tra la ruota motrice dell’auto e il piano viabile, quando il primo non striscia sul secondo e dunque impedisce alla ruota stessa di slittare. Si possono verificare “perdite di aderenza” in tre casi: per eccesso di potenza del motore ( le ruote girano più velocemente della effettiva velocità dell’auto), per eccesso di frenata (l’auto è più veloce delle ruote) e per eccesso di velocità in curva (a quel punto il pilota perde il controllo della vettura).

AERODINAMICA
Quando si parla di aerodinamica di una vettura ci si riferisce al suo "Cx", cioè a quel numero che indica la resistenza all'aria.
Quando viene moltiplicato per la sezione trasversale, definisce la resistenza che si oppone al movimento e dunque la potenza che il motore deve fornire per vincerla.

AIRBOX
E' la presa d'aria sopra al roll-bar che serve per portare aria fresca al motore.

ALLINEAMENTO RUOTE
Si tratta dell'angolo delle ruote di un asse, in relazione all'asse longitudinale della vettura.

AMMORTIZZATORE:
Assorbono urti, dissipando l'energia accumulatasi nelle molle delle sospensioni, impedendo alle ruote di deflettersi per un tempo eccessivo.

ANGOLO DELLA V
Definisce l'angolo che si viene a formare tra le due bancate dei pistoni. Infatti i motori di F1 non sono lineari o Boxer ma hanno una configurazione a V. Per risolvere i problemi di vibrazione i motori era a V di 72°. Ma molte scuderie usano anche i V di 90° o addirittura
a 110° senza però avere problemi relativi alle vibrazioni date dal motore.

ANGOLO D'INCIDENZA DELLO SPOILER
Si tratta dell'angolo dello spoiler in relazione all'attrito dell'aria. Quanto maggiore sarà l'angolo, tanto maggiore sarà la spinta negativa
e, di conseguenza, anche la resistenza aerodinamica.

ANTISPIN
In caso di forte accelerazione l’antispin (detto anche “antipattinamento”) è un dispositivo in grado di evitare lo slittamento delle ruote. Funziona attraverso l’utilizzo di sensori, che, attraverso impulsi alla centralina elettronica, tolgono tanta potenza al motore
quanto basta affinché le ruote ritrovino

BARRA ANTIROLLIO O STABILIZZATRICE
Elemento della sospensione che serve a limitare il rollio (v.).

BARRA DI TORSIONE
Ha sostituito la vecchia molla elicoidale nelle sospensioni, con grandi vantaggi d'ingombro e di praticità nella messa a punto.

BANDIERA A SCACCHI
Viene sventolata quando il vincitore taglia il traguardo. La caratteristica forma a scacchi bianco-nera è stata introdotta nel GP del Principato di Monaco, circuito cittadino caratterizzato da un fascino unico e mondano, in quanto più visibile della bandiera a piccoli rombi bianco-rossi del principato.

BECCHEGGIO
Angolazione della carrozzeria in rapporto all'asse laterale.

BORDO DI ATTACO DEL FONDO
Il fondo piatto deportante inizia nella parte anteriore con una sporgenza laminare (sperone) sottostante il muso della monoposto e da esso separata. Il bordo d'attacco così configurato ha il compito di "tagliare") orizzontalmente il flusso aerodinamico avviandone la parte più ricca sotto il fondo e quella superiore

C.A.D.
"computer-aided design" programmi che servono per realizzare progetti sul computer e vuol dire "disegno aiutato dal computer".

CAMBIO
In tutte le monoposto è elettroidraulico (con leve di comando al volante), sequenziale a 6 o 7 marce. La scatola del cambio è in magnesio, mentre si va ormai affermando la tecnologia più progredita della microfusione in titanio che per la prima volta è stata usata dalla Minardi e seguita quest'anno dalla Ferrari. Questo tipo di cambio ha pareti sottili che assicura un notevole risparmio di peso (4-5 kg rispetto al magnesio) e, insieme, un guadagno di rigidezza del 50%.

CAMPANATURA DELLE RUOTE
E'il numero di gradi, in base ai quali la parte superiore della ruota può inclinarsi verso l'interno o l'esterno, rispetto al piano verticale.

CARICO VERTICALE
Rappresenta la somma di tutte le forze a cui è soggetto il veicolo: il peso della vettura, e le forze dovute all'aerodinamica e all'inerzia
nella fase di accelerazione o di frenatura.

CONDOTTO DEL FRENO
Componente in fibra di carbonio che dirige aria nel sistema frenante per aumentare il suo raffreddamento.

CONTROLLO DI TRAZIONE
Sistema elettronico che permette alle ruote della monoposto di non pattinare al via e ogni qual volta si accelera al massimo.

CRASH TEST
Test che si effettuano prima di disputare il mondiale e servono per verificare che l'abitacolo sia resistente

DIFFERENZIALE
Sistema disposto tra la scatola del cambio e le ruote motrici che permette alle due ruote di ruotare a velocità diverse in curva per evitare
di slittare e perdere aderenza.

DIFFUSORE
Struttura aerodinamica che permette di avere aderenza nel posteriore e dare più spinta negativa

ECU
Unità di controllo elettronica. Controlla tutti i sistemi elettronici della macchina e del motore e li trasferisce al box.

FEA
Metodo computerizzato e complesso per determinare lo stress e le forze a cui i componenti sono sottoposti.


FIA
Federation Internationale de l'Automobile. E' la federazione che si occupa di organizzare il campionato mondiale di automobilismo.

GALLERIA DEL VENTO
Grande edificio in cui si esamina l'aerodinamica della macchina. L'aria è accelerata su un modello statico per ricreare la vera macchina che viaggia attraverso l'aria.

GRIGLIA
Ordine in cui si posizionano i piloti alla partenza, secondo i tempi fatti segnare nelle prove. Prima dell’introduzione delle qualifiche, l’ordine di partenza era determinato da un’estrazione.

GRIP
Indica il grado dell'aderenza delle gomme con l'asfalto. Diminuisce se le ruote non sono in temperatura ideale.

LECCA LECCA
Il lecca-lecca non è nient’altro che l'asta utilizzata dal meccanico messo davanti alla monoposto durante i pit-stop. Deve essere abbassata al momento della fermata della vettura ai box e alzata velocemente a fine rifornimento
NOMEX
Materiale ignifugo.
PITCH
Viene usato anche per indicare le oscillazioni di un aereo o di una imbarcazione. Tuttavia il pitch, ovvero il beccheggio, è sostanzialmente il movimento della carrozzeria della monoposto rispetto a un asse trasversale. Ha luogo sia in accelerazione che in frenata, ma provoca due effetti diversi. Ovvero l’abbassamento della coda e l’innalzamento del muso della monoposto (accelerazione) e viceversa (frenata).

RESISTENZA AERODINAMICA
Come avviene per tutti i corpi che devono penetrare l'aria, la scocca della vettura e i suoi componenti la rallentano: questa caratteristica è nota come resistenza aerodinamica. Questa forza è proporzionata al quadrato della velocità.

ROLL-BAR
Consiste in un resistente arco metallico che si trova alle spalle del pilota, in posizione trasversale e sopraelevata, con la funzione di proteggerlo dagli incidenti in cui la vettura dovesse cappottarsi mettendo a rischio l’incolumità del pilota.

ROLLIO
Angolazione della carrozzeria del veicolo in rapporto all'asse longitudinale. Questa angolazione dipende dalla forza centrifuga in curva, ma anche dal passaggio della ruota sopra ad un ostacolo, oppure su una strada in pendenza.

SENSORI LAMBDA
Apparecchiature piccole localizzate negli scappamenti misurano il rapporto dell'aria/benzina.

SHAKEDOWN
Ha differenti significati il temine nello slang americano (da “estorsione” a “letto di fortuna”), ma nel pianeta motori vuol dire una cosa sola: il primo collaudo al quale viene sottoposta una vettura che sia stata appena assemblata.

SOSPENSIONI ATTIVE
Sospensioni proibite dal lontano '93 perché usufruiscono di un sofisticato computer che fa adattare le ruote a qualsiasi terreno rendendo la guida più facile. Spesso sono montate su autovetture di serie.

SPINTA NEGATIVA O DOWNFORCE
E' una forza verso il basso che aumenta il carico verticale (v.), spingendo il veicolo al suolo. La spinta negativa dipende dal quadrato della velocità. La forza esercitata sarà di 3 o 4 superiore al peso della vettura.

TAMPONI IN GOMMA
Elemento in gomma dura montato sugli ammortizzatori. Esso viene utilizzato per irrigidire le molle dopo un certo spostamento quando la ruota si sposta verso il basso in relazione alla carrozzeria.

TELEMETRIA
Si tratta di una strumentazione complessa, di estrema importanza per ogni pilota, che desidera mettere a punto la vettura. Attraverso la telemetria si può calcolare la velocità in un determinato punto della pista.

TIRANTE
Parte del motore che connette il pistone all'albero a gomiti.

TRECCE DI BERENICE
In astronomia la “chioma della Berenice” è una costellazione scoperta nel 1551 e si trova vicino a quella del Leone, tanto che originariamente era vista come la sua coda. Per tornare con i piedi per terra, nella Formula 1 le trecce di Berenice sono i vortici che si generano ai lati degli alettoni posteriori (a causa dell’umidità dell’aria) e che appaiono come strisce bianche.

TUBO DI PITOT
Tubicino posizionato sull'avantreno e serve a calcolare la velocità dell'aria.

ZAVORRA
Si usa se il peso della monoposto è sotto i limiti imposti dal regolamento e per equilibrare il centro di gravità.

ZONA DI CONTATTO
Area della gomma che sta toccando davvero la superficie della strada.


VETTURE A 6 RUOTE



 Prescot 1939 Jean-Pierre Wimille Bugatti 59/50 B

Molte sono state le vetture a 6 ruote in Formula 1: sicuramente la più famosa non può non essere la Tyrrell P34, la prima. Non è stata certo l’unica visto i tentativi di Lotus, March e Williams con la FW08B, di cui parleremo più avanti. Tornando alla P34, questa fu un progetto molto ambizioso e al quanto rivoluzionario, ideato da Derek Gardner. Presentato ad inizio 1976 (una delle annate più belle, almeno personalmente, della storia della F1) destando meraviglia e scetticismo generale. la P34 fu la risposta della Tyrrell ad una annata, quella 75, molto difficile che la vide conquistare solamente 25 punti a dispetto dei 72,5 della coppia Lauda-Ferrari. La vettura, teoricamente, doveva essere sensazionale: il muso a “martello” e i 4 piccoli pneumatici anteriori, progettati appositamente in collaborazione con Goodyear, dovevano ridurre drasticamente la resistenza all’avanzamento, migliorando l’efficienza aerodinamica della monoposto. La lunghezza complessiva degli pneumatici anteriori della P34 era paragonabile a quella di uno pneumatico standard cosa che, sempre teoricamente, non avrebbe dovuto comportare problemi, garantendo prestazione di una normale monoposto. 6 ruote.


La Tyrrell Project 34 è sicuramente una della automobili da competizione più famose e riconoscibili in assoluto.


Ma l’unica monoposto a sei ruote ad aver partecipato al Campionato del Mondo di Formula Uno non è il solo tentativo di sfruttare due ruote in più delle canoniche quattro nel mondo delle competizioni automobilistiche.


 La P34 fa il suo debutto ufficiale alla quarta gara dell’anno, sul circuito spagnolo di Jarama, Madrid. Depailler ottenne il terzo posto in qualifica, ritirandosi poi in gara per un incidente. Anche il compagno di team, Jody Scheckter, vide concludere la sua gara anticipatamente, a causa di un problema al motore. La gara successiva, sul circuito belga di Spa, segnò il primo risultato importante per la nuova vettura: il 4° posto di Scheckter (anche se a oltre 1’30″ dal vincitore, Niki Lauda).La prima soddisfazione di una monoposto che a quel punto sembrava davvero poter puntare al podio. Infatti nella gara successiva di Monaco, la coppia Scheckter-Depailler ottiene il secondo e il terzo posto, con il sudafricano a soli 10 secondi dal vincitore, guarda caso sempre Lauda .Ancor meglio in Svezia: la musica cambia. Pole di Scheckter al sabato e doppietta la domenica! La stagione fu coronata da altri podi e piazzamenti.  Complessivamente, la P34 fu una buona vettura, soprautto nelle mani di Scheckter, anche se non al livello di Ferrari e McLaren che si diedero battaglia fino all’ultima gara del campionato.Il progetto, però, fu abbandonato l’anno successivo: Goodyear cominciò a disinteressarsi e bloccò lo sviluppo delle piccole coperture anteriori.
Fu un grosso problema perché proprio le stesse coperture iniziarono a patire un grosso surriscaldamento. Fu questo uno dei motivi che spinsero il deluso
 Gardner a lasciare il team. Per risolvere il problema del surriscaldamento il nuovo progettista, Maurice Philippe, fu costretto ad allargare le carreggiate
e far quindi fuoriuscire le piccole ruote dalla carenatura, vanificando di conseguenza lo scopo iniziale del progetto che fu definitivamente abbandonato. 



March 2-4-0 Silverstone Classic 2012


Visti gli iniziali successi della Tyrrell P34, March Engeneering realizzò nel tardo 1976 la March 2-4-0,
 una versione modificata della March 761 con quattro ruote motrici posteriori aventi le stesse dimensioni di quelle anteriori.

 Purtroppo la casa stava attraversando un difficile periodo economico e abbandonò il progetto anche se i collaudatori, una volta provato
 il prototipo parlarono di una “trazione posteriore incredibile”. Il concetto delle 6 ruote fu ripreso anche dalla Lotus (con la 56B).

Anche la Scuderia Ferrari diede il suo effimero apporto al filone delle monoposto a sei ruote: nel 1977 sperimentò una versione della 312T2 (312T6) con ruote posteriori gemellate, delle stesse dimensioni delle anteriori.

Lo scopo del progettista Mauro Forghieri era, anche in questo caso, quello di ridurre il freno aerodinamico generato dalle enormi coperture posteriori standard, ma probabilmente anche quello di evitare la notevole deformazione cui questi pneumatici erano soggetti in curva. Niki Lauda e Carlos Reutemann collaudarono la monoposto sui circuiti di Fiorano e Nardò.

L’austriaco si disse favorevole, mentre l’argentino bocciò la vettura dopo aver avuto un incidente e successivamente una rottura della sospensione.
Lo sviluppo fu fermato ad uno stadio in cui la monoposto superava la larghezza massima consentita dal regolamento della Formula Uno.


312t26-1312t26-2
Lauda prova la Ferrari a sei ruote

Ferrari 312T2 1977

Forghieri non fu tuttavia il primo a pensare alle ruote gemellate. Già prima della Seconda Guerra Mondiale alcuni costruttori avevano pensato a questa soluzione per permettere ai loro bolidi di mettere a terra tutta la potenza possibile, sui terreni più difficili, attraverso la limitata impronta a terra degli pneumatici dell’epoca.


 Le gomme posteriori non erano posizionate una dietro l’altra, bensì erano affiancate! La vettura, però, non scese mai in pista a livello
 ufficiale in quanto bocciata, ma solo per qualche test, visto anche il brutto incidente occorso a Reutmann a Fiorano durante
 il collaudo della vettura. La leggenda narra (perché non si hanno fonti certissime) che la Ferrari stesse testando anche la 312 T8,
una vettura con 8 ruote: 4 all’anteriore e 4 al posteriore, ma come abbiamo detto sembrerebbe più fantascienza che realtà anche
 se ci sono alcune foto (non del tutto attendibili).

Williams FW08B 1982


Altra vettura a sei ruote è la FW08B, forse una delle vetture più innovative della storia della Formula 1. Anche se fu solamente un prototipo (in qunato bandita dalla FIA), la Williams FW08B del 1982 si dimostrò subito velocissima nei test. Il progetto di Adrian Newey e Patrick Head presenta un punto di partenza, ma allo stesso tempo di arrivo visto l’esasperazione aerodinamica, ovvero dell’effetto suolo, a cui puntava la vettura. Vettura intelligente perché dilatava l’impronta a terra delle ruote motrici, 4, posizionate al posteriore, quindi differenti dalla Tyrrell P34, che le presentava all’anteriore. Inoltre le misure degli pneumatici erano diverse: se sulla P34 erano piccoli e creati appositamente, sulla FW08B erano standard, come le ruote anteriori. Con l’introduzione delle due gomme aggiuntive al posteriore, questa vettura si presentava 25cm più lunga rispetto alla sua versione “standard”, ovvero quella che parteciperà al campionato. Il progetto puntava molto sull’effetto suolo: l’aumento della deportanza dovuta alla sua configurazione fa si che la tecnologia a 6 ruote venga immediatamente bandita dal regolamento. Questo perché i flussi canalizzati nella parte inferiore della monoposto, trovano una conformazione del fondo nettamente più efficace: la maggior lunghezza della parte terminale, dovuta sia alla trasmissione “allungata” e alla presenza delle due ruote aggiuntive, è convertita ad estensione dei condotti. Conseguentemente l’aera di depressione diventa maggiore e viene massimizzato il carico.
 Da ciò ne deriva un’aderenza impressionante che aiuterebbe la vettura ad avere una maggior velocità in curva.
Troppo rischiose? Troppo costose? Sta di fatto che la Federazione, con il progetto FW08B, impone l’obbligo di adottare solo vetture a 4 ruote, facendo irrimediabilmente svanire ogni tentativo di sviluppo delle vetture a sei (o più) ruote.

http://www.formula1neltempo.it/TECNICA.html

http://www.formula1neltempo.it/TECNICA.html
Il posteriore e il vano motore della Auto Union  Type C

 L'Auto Union Type C del 1936 (V16 6 litri con compressore volumetrico da oltre 500 cv) che poteva essere equipaggiata con ruote gemellate per limitare il sovrasterzo nelle curve lente delle gare in salita. Un’altra variante al concetto della monoposto a sei ruote è l’utilizzo di quattro ruote motrici posteriori su due assi. In questo caso lo scopo è l’incremento di trazione rispetto alle due ruote motrici con conseguente miglior sfruttamento della potenza del motore. Il primo esempio in questo senso è la Kurtis Kraft-Offenhauser 500G “Pat Clancy Special” che prese parte alla 500 Miglia di Indianapolis nel 1948 e 1949.


A Indyanapolis nel 1948 la Kurtis Kraft esordi' con 6 ruote su 3 assi,
di cui 2 al posteriore
Soluzione questa ripresa anche dall'Alfa Romeo
per uno studio sulla sua 33




COME SI PREPARA LA CORSA
Le squadre di F1, per guadagnare millesimi di secondo, utilizzano computers, porticolari controlli, banchi di prova per simulare in fabbrica le prestazioni in pista. I test possono ridurre la frenata, la reazione della macchina in curva, nonche i sobbalzi su ogni tipo di pista.

POSTAZIONE DI CONTROLLO IDRAULICO

AVANTRENO
Le ruote vengono appoggiate sulle postazioni idrauliche. Appositi sensori posti vicino al musetto rilevano le frenate e l'aerodinamica.
RETROTRENO
Due postazioni idrauliche, collegate sui lati del motore, simulano le vibrazioni l'accellerazione e le forze aerodinamiche.

LA FORZA DELL'ARIA IN F1
PNEUMATICI
La riduzione della pressione dell'aria aumenta notevolmente l'aderenza.

ALETTONE ANTERIORE
Genera una spinta verso il basso per migliorare la traiettoria in curva.

LA SICUREZZA DEL PILOTA
LA CELLULA DI SOPRAVVIVENZA

Il pilota siede in un guscio di sicurezza realizzato in fibra di carbonio.
Gli alettoni anteriori sono stati alzati di 50 cm per ridurre la velocità in curva. Struttura per assorbire gli urti. Pannelli per gli impatti laterali. Spazio libero 70mm sopra la testa. Se il pilota riporta una lesione alla spalla, può essere estratto dell'abitacolo, rimuovendo solo due viti. Cinture di sicurezza a sei punti. Estintore. Il serbatoio è in Kevlar flessibile antiperforazione.

PIT STOP - IL CONTROLLO DELLA VELOCITA'
Ogni scuderia e ogni pilota cerca di guadagnare frazioni di secondo durante il pit-stop, che spesso si traducono in vantaggi significativi in pista.
Gli ufficiali di gara garantiscono che non vengono superati i limiti di velocità

Chi viola il limite viene punito con 10 secondi di attesa ai box. In termini reali si possono perdere più di 25 secondi, per l'ingresso e l'uscita dai box.

ELETTRONICA IN F1
Al Gran Premio di Spagna, dopo un assenza di sette anni torna il controllo elettronico della trazione attraverso la gestione totale del motore: il pilota accellera ed il computer stabilisce come dosare il gas in base al numero dei giri e al pattinamento delle ruote. In questo modo è più facile uscire dalla curva e utilizzare tutta la potenza dei motori.
1 - SENSORI DELLE RUOTE
Rilevano la velocità di rotazione delle quattroruote.
2 - COMPUTER DI BORDO
Confronta la velocità delle ruote.

I SEGRETI DEL CASCO
Il casco è fonte inesauribile di ricerche che investono la parte aereodinamica, quella legata all'uso dei materiali e ovviamente all'aspetto delle comunicazioni.
A fronte di una grande resistenza strutturale agli urti, un moderno casco di Formula 1 pesa soltanto 1,300 grammi.

I PNEUMATICI DA CORSA
PNEUMATICO FORMULA 1
Garantisce la massima aderenza (grip) a temperatura definita (90°-100°c) su certi tipi di superficie. (Meno è liscia meglio è).
PILOTARE AL LIMITE
Il cerchio della trazione è il punto in cui si ha la massima aderenza. L'abilità del pilota sta nel trasformare frenata, curva e accellerazione in un unica manovra al limite della capacità del pneumatico.


 Le regole d'oro per guidare in sicurezza

Mai le braccia troppo distese

Altrimenti in curva saremmo costretti a sollevare le spalle dal sedile e quindi assumeremmo una posizione scorretta, scomoda ma soprattutto vi sarà una diminuzione della sensibilità di guida.

Occhio al poggiatesta!

Il poggiatesta se non regolato in maniera corretta può provocare gravi lesioni in caso di urto, pertanto regolatelo sempre portandolo qualche centimetro sopra il capo, 2-3 cm almeno.


Cintura di sicurezza sempre e comunque!

Nudo, è così che mi sento quando non indosso la cintura. Anche voi dovreste cominciare a provare questa sensazione. Una volta abituati non la sentirete più. Senza la cintura si rischia grosso ed indossarla non costa nulla pertanto usatela... inoltre è obbligatorio!


Sulla neve frenare il meno possibile

Poiché essendo già scarsa l'aderenza "chiederne" dell'altra ai pneumatici significherebbe portarli al bloccaggio. Cercate quindi di percorrere le discese in seconda marcia e sterzate in maniera più graduale possibile. Usate il freno motore, ma occhio alle scalate troppo repentine! Se invece la vostra auto è dotata di  pneumatici invernali allora potrete usare il freno con un po' più di decisione.


In autostrada meglio andar piano o...

mantenere una velocità adeguata alle condizioni del traffico? Spesso guidare troppo piano in autostrada può provocare incidenti allo stesso modo di quanto non avvenga a velocità sostenute. Se il traffico è scorrevole meglio tenere un'andatura sostenuta (sempre entro il limiti) anziché tenere la destra a 60-70 km/h! Perché così facendo costringeremmo TUTTI gli altri guidatori a sorpassarci (magari anche i camion), ed è proprio nel momento del sorpasso che avvengono il maggior numero degli incidenti. Per chi viaggia in autostrade a tre corsie si ricordi che la corsia di destra NON è riservata ai camion e ma solo a chi viaggia più lentamente! Pertanto se non ve la sentite di andare oltre un certo limite allora mettetevi sulla destra anziché occupare la corsia centrale!


Mi imbatto in un aquaplaning, che fare?

A questo punto il pedale del freno si trasforma da nostro migliore amico nel nostro peggiore nemico. Frenare non serve a nulla (stiamo galleggiando...anche se a forte velocità lo stiamo facendo) ma non appena riprenderemo aderenza se stessimo frenando l'auto scarterebbe improvvisamente facendoci perdere del tutto il controllo. Pertanto impugnando fermamente, ma senza eccedere, il volante dobbiamo prepararci al "riacquisto d'aderenza" mantenendo la direzione del manubrio e gas costante per tutta la durata del fenomeno

A questo punto il pedale del freno si trasforma da nostro migliore amico nel nostro peggiore nemico. Frenare non solo non serve a nulla (stiamo galleggiando... anche se a forte velocità lo stiamo facendo) ma si rivelerebbe molto dannoso con alta probabilità di perdere del tutto il controllo del mezzo. Pertanto impugnando fermamente, ma senza eccedere, il volante dobbiamo prepararci al "riacquisto d'aderenza" mantenendo direzione e gas costante per tutta la durata del fenomeno (ricordate la posizione delle mani alle 9,15? Ecco... non limitatevi a ricordarla!).

Due è sempre meglio di una!

Sempre le mani sul volante questa è la prima regola che ci viene insegnata ma spesso è la prima che si ci dimentica. La mano fissa sul cambio è da evitare sempre!


Entro in curva e l'auto sbanda

In caso di sovrasterzo è bene evitare di frenare altrimenti si "scaricherebbe" l'asse posteriore che così perderebbe ulteriore aderenza, accentuando al massimo la sbandata. Poi c'è il caso del sovrasterzo di potenza. Cosa bisogna fare in questa situazione? Ricordare, intanto, che per controllare una qualsiasi situazione d'emergenza bisogna eliminare la causa che l'ha generata. Nel caso del sovrasterzo di potenza (quello generato da eccessiva accelerazione su auto a trazione posteriore) dovete quindi rilasciare l'acceleratore ma non in maniera troppo brusca. Evitate inoltre di frenare altrimenti si "scaricherebbe" l'asse posteriore che perderebbe così ulteriore aderenza, accentuando al massimo la sbandata. 
Ricordate di mantenere ben saldo il volante e di effettuare un veloce controsterzo.



E se incappo in un sottosterzo?




 Sottosterzo: 

cosa si tratta e come agire in caso di emergenza

Con il termine sottosterzo in particolare si intende lo sbandamento dell’asse anteriore del veicolo rispetto a quello posteriore. Più concretamente, nel caso del sottosterzo l’automobile avrà una maggior rischio di procedere diritto e di prendere la curva esternamente.
In queste situazioni, l’auto una volta giunta alla curva tenderà ad allargare la traiettoria con un verso opposto a quello che noi stiamo dando: se stiamo percorrendo una curva che va verso destra, in caso di sottosterzo la traiettoria del veicolo si dirigerà verso sinistra.
Per poter agire è necessario per prima cosa mantenere calma e freddezza, evitando di poter peggiorare la situazione. Successivamente, sarà necessario alzare il piede dal pedale dell’acceleratore e facendo ciò si restituisce carico alle ruote anteriore in modo tale che queste possano recuperare l’aderenza necessaria per poter mantenere la giusta traiettoria.
Nonostante ciò è bene sapere che un eccessivo recupero da parte delle ruote anteriore può talvolta innescare il meccanismo opposto del sovrasterzo.
Situazione diversa, ma non per questo poco comune, è quando stiamo viaggiando su una strada bagnata e sdrucciolevole con bassa e scarsa aderenza. In questo caso sarà sufficiente girare lo sterzo nella direzione che sta prendendo l’auto in corso di sbandamento, per poter recuperare l’aderenza delle ruote anteriori.

  

 Sovrasterzo:

 cause e strategie di correzione del fenomeno

Con il termine sovrasterzo si intende ovviamente la condizione opposta, ossia quella secondo la quale l’auto mostra uno sbandamento (o deriva) dell’asse posteriore rispetto a quello anteriore. In questo modo l’auto tende ad accentuare la traiettoria della curva che il conducente ha stabilito ed è come se il veicolo tendesse a curvare di più, andando a stringere troppo la curva.

Nei casi in cui abbiamo sia il fenomeno del sovrasterzo appena descritto che la perdita di aderenza delle ruote posteriori, si verificherà quello che da molti viene definito come testacoda.

Nonostante il rischio che si incorre ogni volta che si presenta questo genere di problema, è possibile comunque correggere il fenomeno del sovrasterzo con un’azione nota come controsterzo.

Per fare ciò sarà sufficiente girare lo sterzo in direzione opposta a quella della curva, regolando la velocità del veicolo in base al tipo di trazione che esso monta (con un veicolo a trazione anteriore sarà necessario accelerare, mentre nel caso della trazione posteriore dovremo andare a sollevare il piede dall’acceleratore diminuendo la velocità).



Piove? Lontani dal ciglio della strada..

ma non troppo!

 In caso di forti piogge i canali di scolo non fanno in tempo a smaltire tutta l'acqua provocando un allagamento, spesso solo parziale, della carreggiata. Siccome tali canali si trovano di norma vicini al bordo della strada, è qui che si ha maggiore probabilità di incappare in un aquaplaning!

In autostrada meglio una vista "lunga"

Concentrare la nostra vista solo sull'auto che ci precede è sbagliato poiché la distrazione del conducente che ci sta davanti potrebbe essere fatale anche per noi. Difatti se il conducente dovesse frenare di colpo noi reagiremmo solo all'accendersi dei suoi stop e quindi già in ritardo. Mentre se noi avessimo visto prima di lui l'ostacolo, perché maggiormente attenti, saremmo in grado di reagire in un tempo di certo minore scongiurando al massimo una quasi certa collisione. Questo consiglio vale anche nella guida di tutti giorni, ma ovviamente commisurato alle condizioni del traffico.

Non funzionano i freni... aiutoo!

E' una situazione abbastanza inusuale con le auto di oggi ma non si sa mai! Se il calo di efficienza dell'impianto è dovuto al surriscaldamento (fenomeno conosciuto come fading) meglio aiutarci con le marce e "pompare" con il pedale cercando di togliere le eventuali bolle formatesi. Se i freni non dovessero funzionare del tutto cercare di scalare le marce frenando con il freno motore e nel peggiore dei casi buttarsi da un lato cercando di arrestare la vettura mandandola in testa coda, aiutandosi con il freno di emergenza (freno a mano). Un ultimo consiglio, gli attuali circuiti frenanti, poiché servoassistiti, non funzionano a motore spento quindi che non vi venga in mente di scendere da una discesa a motore spento!!


Conoscere le reazioni del veicolo spinto al limite della tenuta si differenziano nettamente da quelle del normale utilizzo, in genere si manifestano per la prima volta in caso di emergenza, cogliendo impreparato il conducente.
Le tecniche di guida insegnano a individuare, a percepire e a fronteggiare le perdite di aderenza anche nella guida di tutti i giorni.
Individuare e interpretare i segnali che l'auto trasmette mentre guidi, è l'unico modo per imparare a dominare correttamente le reazioni dinamiche del veicolo.
In Italia ci sono scuole di pilotaggio che si avvalgono di piloti - istruttori professionisti che organizzano corsi di guida sicura e sportiva per mettere gli allievi nelle migliori condizioni di affinare e sviluppare la conoscenza delle tecniche necessarie per la totale padronanza della propria vettura.






Questo è un sito-blog personale non a scopo di lucro.

Si propone di rivivere alcuni frammenti storici della F1:
 quella dove la guida delle monoposto apparteneva ai piloti,
su piste che oggi giudicheremmo assurde, circuiti disegnati
 dal computer piuttosto che dal cuore.
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