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Nel corso di oltre Sessant’anni di Storia della Formula 1, l’Automobilismo
Sportivo è stato oggetto
di grandi cambiamenti a livello sportivo e tecnologico
che hanno determinato la sua crescita e il suo sviluppo.
Oggi, il termine
Formula 1 è spesso assoggettato alla parola “progresso tecnologico e umano”.
In
Formula 1, dal 1950 ad oggi, l’evoluzione tecnologica delle monoposto da
competizione è stata inarrestabile.
La tecnologia si è sofisticata di anno in
anno, compiendo grandi innovazioni
in special modo a livello motoristico e aerodinamico. Molte monoposto
Ferrari hanno rappresentato un passo avanti
rispetto
alla concorrenza stabilendo un taglio verso il passato per
l’impiego di particolari innovazioni tecnologiche
che si sono
rivelate vincenti e in seguito copiate dai diretti avversari.
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La Società Anonima Scuderia Ferrari Modena fu
fondata il 16 novembre del 1929 a Bologna; i soci erano Augusto e
Alfredo Caniato, Mario Tadini, Ferruccio Testa e Enzo Ferrari,
all'epoca rappresentante regionale dell'ALFA Romeo.
Dal 1934, dopo i primi clienti, arriva la gestione delle ALFA
Romeo da GP dopo il ritiro della casa madre; le sue auto erano contraddistinte
da uno scudo in campo giallo con una striscia
tricolore superiore e un cavallino rampante, simbolo di Francesco
Baracca e donato a Ferrari nel 1923 dalla madre dell'aviatore.
Alla fine degli anni '30, dopo che era ritornato come direttore
sportivo all'ALFA se ne staccò completamente; Ferrari. sorpreso dal
trattamento dell'ALFA Romeo dopo questa risoluzione, pensò di diventare
costruttore ma una clausola del contratto precisava il divieto
per i successivi 5 anni di realizzare automobili che portassero il suo
nome per cui la prima auto si
chiamò Auto Avio Costruzioni 815. Nel 1947 debutta la 125S Sport
che conquista la prima vittoria del costruttore a Roma il 25
maggio dello stesso anno; l'anno successivo debutta il 5
settembre a Torino nel GP Italia la prima F.1 di Maranello, la
125 che arriva terza con Sommer dietro a Wimille con l'ALFA Romeo
e Villoresi con la Maserati. Nel 1950, quando parte il mondiale
conduttori, la Scuderia (come è chiamata in Francia) è pronta
alla sfida e rimane l'unica a non avere saltato una sola edizione,
sempre con una propria vettura e con un proprio motore, anche con
risultati fallimentari; sempre vero costruttore e non semplice
"assemblatore", un'icona dell'Italia che ha fatto la
storia della nostra nazione nel mondo ed ha alimentato con le
proprie vittorie il successo anche della produzione in serie.
Un rifugio sicuro e caldo per gli amici, un'ombra sempre
incombente per i nemici, è "la" automobile per
definizione, la divinità; il suo santuario si trova in una terra
di lavoro e "mutur", l'Emilia. E' la "Rossa",
l'unica ad avere mantenuto il colore stabilito un secolo fa per
la vetture da corsa italiane, anche in un periodo di estrema
commercalizzazione delle corse, vanto di tradizione e storia in
un ambiente di frenetico affanno e rimozione.
Una vera leggenda vivente che non vedrà mai l'oscurità. Nessuno
potrà oscurare il suo splendore, la sua tirannia. O forse ...
Forse, sì. Ma chi?
Forse un uomo. Che, a 10 anni, vedendo correre Nazzaro e Lancia
al Circuito di Bologna, non rimase affascinato dal rumore o dagli
odori della gara ma dalle condizioni del manto stradale o dal
giro più veloce. Che sarebbe diventato pilota da GP senza l'insistenza
della moglie. Che preferiva non definirsi esperto di tecnica ma
che era capace di mantenere le proprie convinzioni con una base
di conoscenza. Che rimaneva sempre in un studio, con il diario e
la penna, invece di seguire le corse sul campo, anche a
Ferragosto, senza nessun altro nella fabbrica. Che pur senza
studi di livello era dotato di intelligenza fine, era capace di
fornire sempre spunti interessanti, mai banali, mai uguali, frasi
e concetti teatralmente perfetti da cristallizzarsi per diventare
aforismi marmorei. Che arrivò alla fama in un età in cui
solitamente si continua a combattere con fierezza preparando la
resa, l'età in cui si dorme meno e si smette di sognare. Che ha
sempre centellinato la sua presenza pubblica. Che ha nascosto
dietro gli occhiali neri decenni di angoscie, di paure, di gioie,
di emozioni, linfa vitale necessaria alla sua esistenza. Che era
capace anche al telefono, pure a migliaia di chilometri di
distanza, di esercitare la sua pressione sulla squadra più di
una presenza sul posto, un pugnolo costante in ogni condizione.
Maranello
Non c'è campionato o gara prestigiosa in
cui la Ferrari non
abbia corso, vinto o perso: F.1, F.2, Europeo della Montagna,
Mondiale Marche, Le Mans, Daytona, Sebring, Mille Miglia, Targa
Florio, Giro di Sicilia, IMSA, Carrera Panamericana. Mentre tutti
gli altri costruttori sono arrivati, hanno dominato e si sono
ritirate soddisfatte, la marca di Maranello è sempre stata
attiva ogni stagione dal 1930. Aquisita nel 1969 dalla FIAT dopo che la
Ford fu scottata dalla reazione di Ferrari che "vuole vendere e
comandare" nel 1966. Dopo il trionfo della
stagione 1972 nel Mondiale Marche e i pessimi risultati in F.1,
il "Drake" decise di concentrare tutte le sue forze sui
GP lasciando comunque delle possibiltà ai privati che portassero
le loro vetture in gara.
Dal 1994, voluto dal figlio Piero Lardi, arriva l'impegno con i
privati nel campionato IMSA con la vettura 333SP che porta ad un
titolo piloti ed uno marche (Fermin Velez, 1995) ed almeno altri
quattro sfiorati (due marche e due piloti con Papis e Montermini);
la Scuderia ha costruito il motore Dino (dedicato al primo figlio
morto per distrofia muscolare) dell' "animale da vittoria"
nei rallies degli anni '70, la Lancia Stratos, e utilizzato anche
nella F.2, come pure il propulsore delle Lancia Lc2 Endurance dal
1983 in poi. Conta un palmarés di successi semplicemente
inavvicinabile. Anche Enzo fu un buon pilota: avrebbe dovuto
partecipare con l'ALFA Romeo ufficiale al GP Francia a Lyon nel
1924, ma la sua P2 n. 19 non si schierò in partenza,
ufficialmente per motivi di salute, più facilmente per l'interessamento
della moglie. Conta comunque il 2° posto alla Targa Florio 1919 |
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Enzo Ferrari ancora scosso dalla perdita del figlio
Dino avvenuta il 30 giugno 1956, decise di ricordarlo nella maniera a
lui più congeniale, dando il suo nome ad un motore che fino
agli ultimi giorni di vita Dino Ferrari aveva voluto e partecipato
alla progettazione
con grande passione, iniziata da Aurelio Lampredi e
terminata da Vittorio Jano, coadiuvati da Bellantan ed all’Ing.Fraschetti.
Nacque così un sei cilindri a
V di 65° di 1489,35 cc, che sviluppava 180 CV a 9000
giri/minuto, destinato alla F2 del 1957, che richiedeva una cilindrata
massima di 1500 cc. e che getta le basi per la futura Dino 246 F1.
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Modelli
Ferrari
F1:
11
246
F1
Dino
1958 |
Ultima
monoposto
Ferrari
a
motore
anteriore
(con
la
successiva
variante
256
F1
del
1959-60)
Non
potendo
più
competere
con
le
leggerissime
vetture
a
motore
posteriore
degli
assemblatori
inglesi,
Enzo
Ferrari
fu
costretto
a
rivedere
il
suo
credo
"Mai
i
buoi
dietro
al
carro"
e
a
dare l’
incarico
all’
Ing.
Carlo
Chiti
di
progettare
la
prima
monoposto
Ferrari
a
motore
posteriore.
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Jim
Clark era stato a Maranello nel 1966. In gran segreto, in punta di piedi.
"Vorrei farle visitare la mia bottega" - aveva detto Enzo Ferrari al
telefono e un amico
gli aveva tradotto "Mr Ferrari vuol farti visitare la sua fabbrica".
Ma Ferrari aveva detto "bottega", non "fabbrica" perché
Raffaello e Michelangelo
non avevano una "fabbrica", ma una "bottega"
La visita era avvenuta in un tardo pomeriggio, quando gli uffici erano
deserti, quando nessuno avrebbe potuto raccontare che si erano parlati,
che si erano incontrati. Si erano scambiati poche parole, nell'ufficio arredato senza sfarzo,
con la foto di un ragazzo, che somigliava a quell'uomo con i pesanti
occhiali scuri, appesa al muro.
Quell'uomo parlava con voce profonda, tenendo le mani giunte sulla
scrivania, completamente sgombra. Parlava italiano ed un suo
collaboratore, altrimenti silenzioso e trasparente, traduceva in un
inglese scolastico. La traduzione era inutile, si capiva benissimo quello che diceva. "Vorrei convincerla a correre per me"- aveva detto senza troppi
preamboli.
"Sarebbe un onore" - aveva risposto Clark - "ma ho già un
posto." Avevano cambiato subito discorso e non se n'era fatto di nulla.
Enzo Ferrari, accompagnato da due collaboratori fidati lo aveva portato
a fare un giro, lontano dalla squadra corse. Voleva fargli vedere
cos'era capace di fare. Lo aveva fatto sedere al volante di uno dei
gioielli che lui costruiva per i potenti di tutto il mondo.
Quando, dopo essersi salutati formalmente, era uscito dal cancello al
volante di una macchina, volutamente anonima, presa a noleggio, si
erano scambiati un ultimo gesto della mano, come si usa fra piloti. Gli era sembrato di essere stato a colloquio con Dio.
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Giulio Borsari al Gran Premio di Francia del 1965, con il pilota della Ferrari John Surtees
Giulio Borsari - Il meccanico che fece grande la Ferrari
Giulio Borsari era il capomeccanico della squadra quando John Surtees conquistò il titolo iridato
nel Campionato del Mondo di Formula 1 del 1964, al volante della 158 F1
Ferrari 412 T2
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Mugello - La Ferrari 412T2,
l’ultima a 12 cilindri, l’ultima con muso a formichiere, l’ultima a
portare i numeri 27 e 28,
l’ultima che usava benzine Agip… e l’elenco
potrebbe continuare.
Comunque, forse, è quella che ha traghettato la
Ferrari
nell’era Schumacher e del V10, il periodo d’oro più luccicante
della storia di Maranello. In tutti questi elenchi di “ultima”,
però,
c’è anche una “prima”: si tratta, infatti, della prima monoposto
su cui
viene sperimentata la frizione al volante,
per così dire inventata dalla
McLaren l’anno precedente. |
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