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 - Ayrton Senna
















La grandezza di un pilota è misurata anche dal livello dei suoi avversari.

Alcuni piloti nel corso della loro  lunga carriera hanno gareggiato contro alcuni tra i piu' grandi campioni
di tutti i tempi e, assieme a loro, hanno scritto le pagine più belle e incredibili della storia delle competizioni.
 E' importante sottolineare che molti piloti  si sono confrontati con generazioni di piloti diverse
e su mezzi diversi: nei lunghi anni di attività hanno "battagliato" con campioni al termine o agli inizi
 della carriera, e con altri che hanno vissuto con loro  l'intero periodo agonistico.



GP San Remo 1937: Achille Varzi alla partenza
su Maserati 4CM
 








1937: Il primo Circuito di San Remo vede vincitore Achille Varzi su Maserati


STORIE DALLA STORIA

26 maggio il giorno nero degli Ascari

Padre e figlio, due grandi campioni, stessa età, morti nello stesso giorno a trenta anni di differenza


Antonio Ascari aveva solo 36 anni quando perde la vita sul tracciato di Montlery, mentre era al comando della gara, il Gran Premio di Francia, 
il più importante della stagione. La prima affermazione arrivò nel GP d’Italia del 1924, vinse anche nel 1925 a Spa
ed era considerato uno dei più forti piloti della sua epoca.

Alberto Ascari nasce nel 1918, in luglio, il 26 maggio del 1955 ha 36 anni, come suo padre Antonio, è cinque volte campione d’Italia, 
due del Mondo e ha già corso al volante di Alfa Romeo, Maserati, Ferrari e Lancia. Ha vinto anche numerosi trofei, 
tra cui la Coppa Trofeo Nuvolari della Mille Miglia del 1954, la Coppa vinta al Nurburgring il 29 luglio 1951 su Ferrari 375 F1 
e la Coppa conquistata a Silverstone il 20 agosto 1949 su Ferrari 125 F1.


AVUS




LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~

F1 - 1959 Avus GP - Hans Hermann accident

Hans Herrmann - BRM P25 Hans Herrmann: la foto è stata scattata
durante il Solitude Revival del 2011

Il primo Gran Premio di Germania si tenne sul circuito dell'AVUS l'11 luglio 1926, sotto una forte pioggia, e fu vinto da Rudolf Caracciola su Mercedes-Benz; la corsa fu funestata da vari incidenti con morti e feriti: il più grave coinvolse il pilota Adolf Rosenberger, la cui automobile piombò sulla struttura in legno dei segnalatori di gara, uccidendo tre dei cinque occupanti.

Il Gran Premio si disputò una seconda volta sul circuito tedesco nel 1959, per la prima volta dopo la nascita della Formula 1, e in quell'occasione il podio fu monopolizzato dalla Ferrari, con la vittoria di Tony Brooks e i piazzamenti d'onore di Dan Gurney e Phil Hill.

Il pilota francese Jean Behra morì in una gara di contorno al volante di una Porsche RSK uscendo di pista alla curva sopraelevata
.


 La rivalità tra Tazio Nuvolari e Achille Varzi
Nuvolari e Varzi. Centinaia di episodi sono stati scritti e narrati per raccontare le gesta
 di questi due amici-rivali dell'automobilismo ante guerra .
Migliaia di persone si sono letteralmente spellate le mani per applaudirli al loro passaggio in corsa.

La rivalità tra i due ha il suo apice nel 1933, a Monaco. Per tutto il Gran Premio Nuvolari, su Alfa Romeo, e Varzi,
su Bugatti, si alternano alla testa della corsa. I due percorrono addirittura fianco a fianco l’intero penultimo giro finché,
 nell’ultima tornata, Achille riesce finalmente a prevalere.

Il 29 giugno 1936 la «Gazzetta» organizza il circuito di Milano. Cinquantamila persone, giunte da ogni parte con i «treni popolari», affollano il parco milanese, dove è stata tracciata una spettacolare pista. Nuvolari è al volante della fedele Alfa Romeo, Varzi guida una tedesca Auto Union. Alla partenza (foto) Varzi balza al comando della corsa, ma alla fine vincono il coraggio e l'irruenza tradizionali del mantovano. Nuvolari ha già 43 anni e i polmoni minati dai gas di scarico che è costretto a respirare. E un crudele destino attende «Nivola»: i suoi figli Alberto e Giorgio moriranno di malattia a soli 18 anni di età.




La convivenza dei piloti nei team

La storia insegna che Jean Todt decise una Dakar con una monetina. è il sogno di tutti i direttori sportivi quello di avere il controllo totale del team decidendone bello e cattivo tempo. Tuttavia, se in squadra vi sono due grandi campioni, allora non esistono più gli ordini di squadra, e se ci sono, o i driver, generalmente per calcolo, scelgono di obbedire, oppure potranno ignorarli, in virtù del proprio talento.

Lo dimostra la storia. Per primo, pensiamo al periodo in cui nell'Alfa convivevano Nuvolari e Caracciola. La casa italiana, desiderosa di premiare Caracciola per la sua disciplina e per mostrare al mondo che l'Alfa poteva vincere indipendentemente da Nuvolari, decise che doveva essere il fuoriclasse tedesco ad aggiudicarsi il gp di Monza del '32. Ma il mantovano volante se ne infischiò dell'ordine di squadra.
Di recente abbiamo avuto la vicenda Alonso-Hamilton con due Paesi, Spagna e Inghilterra, pronti a schierarsi dalla parte dei rispettivi campioni. In pochi sanno che quella storia ebbe tra le varie antesignane di lusso, la grande rivalità tra Moll e Varzi, guardacaso due piloti opposti tra loro, come lo erano lo spagnolo e l'inglese che hanno coabitato in McLaren nel 2007. L'uno, Guy Moll veloce e spregiudicato. La cui assenza di limite derivava dall'immensa bravura. L'altro, Varzi, uno stilista dalla guida pulita.
Moll contro Varzi, ossia Francia (Moll era algerino, all'epoca colonia francese) contro Italia. Luogo della contesa: la squadra Alfa con direttore sportivo un certo E. Ferrari. Anno, 1934. è noto che la polemica esplose feroce a seguito del Gp di Tripoli di quell'anno, quando Moll accusò Varzi di scorrettezza: da lì una polemica che ebbe protagonisti i giornali specializzati di Francia e Italia. Ferrari ebbe la possibilità di intervenire sulla polemica punendo Moll ed estromettendolo da diverse corse. Ma la situazione era più subita che gestita e la cosa non fu poi un male, se pensiamo ai duelli entusiasmanti che ne vennero fuori.
Un'altra storia che val la pena di ricordare è quella di Fangio e della Ferrari. Il Maestro arrivò a Maranello (nel '56) pretendendo, e ottenendo, lo status assoluto di prima guida. Ciò gli fu concesso da Ferrari controvoglia e unicamente perchè il campione argentino gli serviva per tornare a vincere. Il resto del team fu quindi messo al servizio di Fangio. Ma Collins, che a Monza lasciò l'auto all'argentino non fu forzato da nessuno a far quel che fece. Lo decise Lui. Gli inglesi dicono lo fece per cavalleria. Vero, ma verso chi? Verso Fangio? Forse, ma era più che altro deferenza. Probabilmente, il vero gesto di rispetto fu verso Ferrari. Eh sì, perchè se Fangio non fosse uscito vincente da quel mondiale si sarebbe scritto che la Ferrari non era stata all'altezza del grande campione. Ci fu anche un calcolo di Collins? Sapeva che Ferrari, dopo quel gesto sarebbe stato legato da una sorta di "debito" nei suoi confronti? Forse, ma non lo credo. Fu vera cavalleria, ma più che verso Fangio, verso Ferrari. Ma fu anche deferenza, probabilmente verso entrambi i citati. Tutto questo per dire che più che l'ordine possono la personalità e il carisma. E se dietro al volante della Ferrari non ci fosse stato un professionista britannico col senso dell'onore, ma un pilota con personalità di fuoco, questi non si sarebbe fermato cedendo l'auto al rivale. E altrettanto, se dall'altra parte non ci fossero stati la personalità e il carisma di Ferrari e Fangio .. penso che Collins non avrebbe ceduto il mezzo, forse nemmeno sotto minaccia.
La legittima aspirazione di due grandi piloti,in coabitazione in un team, di vincere è stata limitata solo dal senso dell'onore, dal rispetto o dalla deferenza dell'uno verso l'altro, quasi mai da un ordine. Fu il caso di Stewart e Cevert o di Villeneuve e Scheckter. La prima la storia di un maestro e di un allievo. Una storia che sembra raccontare di un senso di inferiorità del secondo verso il primo, ma che invece nasconde solo un grande rispetto e una grande intelligenza, ma anche un'ambizione: battere con merito il grande campione ma senza scordare che il momento per competere non può sovrapporsi al momento per imparare.
Racconta Jo Ramirez, che fu meccanico alla Tyrrell negli anni d'oro, di un'occasione in cui Stewart aveva sbagliato all'ultima curva ma Cevert, che lo tallonava, non era passato al comando. Fu allora che il pilota scozzese scese dall'auto infuriato con Cevert: "perchè non mi hai passato?! Era la tua grande occasione ..."
Il maestro pensava che l'allievo non avesse voluto superarlo per deferenza e, giustamente, non sentiva di aver vinto ma di aver ricevuto un regalo. Ma si sbagliava perchè Cevert gli rispose "voglio batterti perchè sono più forte, non per un tuo errore..."
La seconda storia, cui facevamo riferimento prima, è quella di un'amicizia. Villeneuve in quel genere di cose, l'amicizia, la parola, credeva molto, tanto che anni dopo il tradimento di Pironi lo avrebbe distrutto. Hanno accusato Ferrari di non aver preso con sufficiente forza posizione in favore di Gilles. Ma Ferrari sapeva bene cos'è l'automobilismo e sapeva che in quel genere di cose non può entrare un direttore sportivo. L'inerzia di una squadra, se i piloti sono veloci e hanno classe, la fanno i piloti stessi. Del proprio onore rispondono solo loro.
Gli anni '80 sono stati il periodo delle rivalità interne più spettacolari: Mansell VS Piquet e Senna VS Prost. La prima fu una rivalità lacerante perchè vide una contrapposizione in seno al team. La seconda, invece, era semplicemente il corollario della superiorità schiacciante dei protagonisti rispetto agli altri.


La rivalità Prost - Senna

Ron Denniis - Alain Prost - Ayrton Senna



Prost - Senna 1993
Senna arriva in McLaren nel 1988 dalla Lotus e con lui arrivano anche i motori Honda. Ron Dennis ha voluto il brasiliano ritenendolo il miglior talento in circolazione e lo affanca al francese Prost, pilota storico della McLaren.
Prost riteneva che Senna avesse un vantaggio dall'aver lavorato lungamente con la Honda negli anni precedenti. Senna si rendeva conto che Prost non era una persona qualsiasi in McLaren
e non solo per i tanti successi.
A proposito di Prost, è molto interessante l'articolo che la rivista inglese Motorsport che dedica al pilota francese incentrando l'articolo sulle opinioni di Cheever, allora compagno di Prost alla Renault. Cheever ci spiega che Prost era un pilota maniaco del dettaglio, aveva un talento 9 su 10 e soprattutto era un gran "politico", nel senso che Alain sapeva sfruttare molto bene la propria posizione nel team, sapeva imporsi.
Ai tempi in cui Lui e Prost correvano alla Renault non esisteva la telemetria e quindi non poteva cercare di studiare Prost, come invece fece Hill nel '93, quando da debuttante ebbe un grande vantaggio da poter studiare la telemetria del Campione francese. Così, ciò che riusciva a fare Prost con la Renault rimaneva un mistero per Cheever che infatti dice letteralmente "He Prost was a magician".
Se Ayrton non era nella condizione di Hill, di dover imparare a guidare una F1, comunque il brasiliano ebbe modo di avvantaggiarsi della capacità di Prost di sistemare l'auto. Ovviamente lo strumento era lo studio della telemetria. La situazione tra Prost e Senna era potenzialmente esplosiva perchè tutti e due erano dei corridori affamati, entrambi sapevano come essere leader del team. Prost aveva dalla sua molti anni in McLaren ma ben presto capì che Ron Dennis stava dalla parte di Senna.



 Dopo l'incidente a Monaco, quando Senna sbattè al Portier, Dennis al galà del team si preoccupò unicamente di rincuorare Senna, forse colpito dalla reazione del brasiliano dopo l'incidente. Senna, infatti, dopo aver sbattuto con l'auto, perdendo un gp che stava dominando, si ritirò nel suo appartamento e cinque ore dopo, quando finalmente Ramirez riuscì a parlare con Senna, Ayrton era ancora disperato per quanto accaduto. Senna dirà di quell'incidente che lo ha reso più forte, gli ha insegnato a mantenere più alta la concentrazione.
Prost, comunque, aveva nel team un punto di riferimento importante, Jo Ramirez. Jo era molto amico di entrambi i piloti e Alain si fidava di lui, considerandolo leale verso entrambi.

In generale, la lealtà è un tratto del carattere di Jo Ramirez, una persona fantastica proprio perchè non volta mai le spalle ai suoi amici senza però essere mai falso ma mettendo sempre la verità prima di tutto.
Quando la McLaren si presentò al via della stagione 1988 fu chiaro che avrebbe dominato. Oltre ai due migliori piloti, schierava la miglior auto, con il miglior motore. Già da tempo a Ron Dennis si era unito Mansour Ojjeh che aveva apportato capitali e reso possibile il lancio della McLaren verso un'era di successi. Inoltre, il team vantava anche un'organizzazione efficiente, grazie a Jo Ramirez, già direttore sportivo della Fittipaldi, della Shadow e di altri team.
Ciò che non era chiaro era con chi la McLaren avrebbe vinto. Ron Dennis disse che non ci sarebbero stati ordini di scuderia ma che ci sarebbe stata piena fiducia nei piloti. Un pò lo stesso che dicevano alla Williams ai tempi di Piquet e Mansell. "Non si possono mettere due tori in un cortile", è una famosa frase di Sir Frank Williams. La stagione 1988 termina con Senna campione del mondo ... nonostante calcolando tutti i punti Senna avesse meno punti di Prost, ma all'epoca esistevano gli scarti. Va detto, comunque, che Senna aveva vinto più gare di Prost in quella stagione.
L'anno dopo, l'89, vide un ulteriore deteriorarsi dei rapporti tra Prost e Senna e tra Prost e Ron Dennis. Un giorno, Prost spiega a Ramirez che lascerà la McLaren per via non della rivalità con Senna ma del clima creatosi. L'addio di Prost si consuma tra polemiche interne al team, con il famoso contatto a Suzuka, la ripartenza di Senna e la successiva assurda squalifica per taglio di chicane, con il titolo a Prost.



Juan Manuel Fangio (Balcarce, 24 giugno 1911 – Buenos Aires, 17 luglio 1995) è stato un pilota automobilistico argentino, campione del mondo di Formula 1 nel 1951, 1954, 1955, 1956 e 1957. Nella massima serie automobilistica disputò un totale di 52 Gran Premi, vincendone 24 e salendo per 35 volte sul podio. Ottenne inoltre 29 pole-position e un totale di 48 partenze dalla prima fila. Il suo record di 5 titoli mondiali resistette per 48 anni e fu eguagliato e superato solamente nel 2002 e 2003, da Michael Schumacher. Detiene a tutt'oggi la più alta percentuale di pole position realizzate in carriera, il pilota italo-argentino è infatti partito in prima posizione nel 55,8% dei Gran Premi disputati; a 46 anni e 41 giorni è inoltre il corridore più anziano ad avere conquistato un titolo mondiale.



Ayrton Senna e Gerhard Berger compagni di squadra

Gerhard Berger nel 1989 lasciò la Ferrari passando alla McLaren, scambiando il suo sedile con Prost ed affiancando Senna. Col campione brasiliano nacque una grande amicizia, anche al di là delle corse, una sintonia che ricordò molto quella di Jody Scheckter e Gilles Villeneuve.

Con la McLaren trascorse tre anni, dal 1990 al 1992, ottenendo 3 vittorie, tra cui una al Gp del Giappone 1991, quando Senna gli regalò la vittoria all'ultima curva come premio per avergli coperto le spalle in tutto il 1991.



 
Francia 1992 Cina 2016
Sebastian Vettel come Ayrton Senna?


I duellanti: le grandi rivalità della Formula 1

“Oggi è il giorno più felice della mia vita”
Questa è la sintesi delle dichiarazioni di Alan Jones,  dopo aver visto il suo compagno di scuderia Carlos Reutemann, perdere il Mondiale piloti nel 1981 contro Nelson Piquet per un solo punto.

Oggi i piloti sono molto più formali e difficilmente sentiremo Hamilton o Rosberg, a fine anno, pronunciare una simile frase. Sicuramente lo stato d’animo di uno dei due sarà però molto simile a quello espresso all’epoca dal pilota britannico.
Che il compagno di squadra sia il primo avversario è una verità accettata nel mondo della Formula 1 e quest’anno possiamo assistere a una vaga rappresentazione di celebri duelli che in passato hanno caratterizzato interi campionati mondiali.

La concorrenza interna è sovente un’ulteriore benzina per un pilota, teso a superare il limite per dimostrare prima di tutto alla sua scuderia di essere degno di indossare i galloni da capitano. A volte , però, come  il caso Reutemann-Jones dimostra pienamente, si è trasformata in una clamorosa faida interna che ha finito per nuocere in primo luogo proprio alla casa costruttrice.
Negli occhi di tutti gli appassionati sono ancora vivide le immagini del finale di campionato a Suzuka nel 1989, quando avvenne un controverso contatto fra Ayrton Senna e Alain Prost, grazie al quale il francese si laureò campione del Mondo.

La McLaren vinse il Mondiale, ma perse Prost che, complice l’impossibile convivenza con il brasiliano, decise di migrare in Ferrari. L’anno dopo, sempre a Suzuka, fu Senna a “vendicarsi” di Prost, con una manovra ai limiti del regolamento che eliminò il ferrarista dalla gara e dalla lotta al titolo. Nel 1991, dopo il terzo titolo mondiale, il campione di Sao Paulo ammise di averlo fatto deliberatamente. La contesa proseguì oltre i cordoli e le tribune: come rivelato da Cesare Fiorio, anni dopo, la Ferrari ottenne l’assenso di Ayrton Senna per un clamoroso passaggio alla scuderia di Maranello, vanificato però dal veto assoluto posto proprio da Alain Prost.

Il finale di una contesa tanto epica non poteva che essere struggente e poetico. Dopo la pace ad Adelaide nel 1993,  giorno del ritiro di Prost, durante un giro di prova nel Gran Premio di Imola del 1994, Senna, in collegamento con una TV francese, a sorpresa si rivolse al suo rivale, presente come telecronista con un toccante “We all miss you, Alain” (ci manchi, Alain). Pochi giorni dopo, fra i piloti che condussero la bara del brasiliano fuori dalla Chiesa, figurava anche Alain Prost.

Il campione francese in carriera non ebbe mai idilliaci rapporti con i compagni di squadra. A inizio anni ’80 diede vita in Renault a una contesa tutta transalpina con René Arnoux; culminata nel Gran Premio di Francia del 1982 in cui Arnoux arrivò primo al traguardo e ignorò, secondo quanto sostenuto da Prost arrivato secondo, gli ordini di scuderia.
In Ferrari invece si trovò a battagliare con Nigel Mansell che, nel già ricordato Mondiale del 1990, non si prestò al ruolo di gregario per aiutarlo a ottenere l’alloro Mondiale come molti tifosi avrebbero voluto. La gara in Portogallo, con la manovra dell’inglese che in partenza lo strinse contro il muretto, gli fece perdere punti preziosissimi per il cammino mondiale.

Queste lotte trasversali palesano spesso il loro lato paradossale. Nel 1986, infatti, fu anche grazie ai contrasti fra un giovane Mansell e un esperto Piquet in seno alla Williams se Prost, come il “terzo incomodo” del proverbio, potè godere i frutti dei loro litigi vincendo il secondo Mondiale di fila.

Uno sport come la Formula 1, in cui l’individualismo del pilota è costretto a convivere e a collidere con quello del compagno di squadra, è destinato a fornire sempre esempi di contese e rivalità dentro e fuori dalle piste.
Il compendio di ciò che esse dovrebbero essere si trova nella risposta che David Purley, dopo aver tentato invano di salvare dalle fiamme il suo compagno di squadra Roger Williamson davanti ai commissari impietriti dal terrore, diede a una domanda relativa al suo “amico” Williamson:
“Non era mio amico: la veritá era che Roger lo conoscevo appena, altro che amico. Ma in quel momento, tentare di salvarlo era il mio dovere”



10 agosto 1986, GP Ungheria, è uno di quei giorni storici per la F1.

Il sorpasso capolavoro di Piquet su Senna

 I protagonisti sono un certo Ayrton Senna e Nelson Piquet: e proprio quest'ultimo fa forse
il sorpasso più bello di sempre della Formula1!



        Negli anni '70 nasce la stella di Lauda



LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~

 STORIA DI UN MITO


Nurburgring


Il circuito attuale non è lo stesso sul quale si gareggiava negli anni cord-occidentale, a poche decine di chilometri da Spa sede storica del Gran Premio del Belgio, era lungo in origine 22,810 km. Costellato da una quantità incredibile di curve e controcurve (ben 174 ad ogni giro!), salite ripidissime alternate a discese mozzafiato, tornantini da prima in porfido (come l'imitatissimo Karussell), il lunghissimo rettilineo d'arrivo di quasi 4 km. a fianco del vecchio castello del Nürburg spezzato dal 1966 da una chicane che portò la lunghezza della pista a 22,835 km., perfino punti dove le vetture spiccavano letteralmente il volo (come il Flugplatz che non a caso in tedesco significa aeroporto), il circuito Nord, come viene chiamato per distinguerlo da quello odierno, è stata una vetrina unica al mondo nella quale soltanto i campioni con la "C" maiuscola hanno saputo mettersi in mostra.

Fino al 1969 fu la sede permanente del Gran Premio di Germania, fatta eccezione per l'edizione del '59 disputata sul lungo ovale dell'Avus, poi nel 1970 i responsabili della Formula 1 trasferirono temporaneamente la gara tedesca ad Hockenheim per permettere ai gestori del Ring di effettuare lavori di miglioramento della sicurezza dei piloti, come ad esempio mitigare le rampe di lancio e aumentare le vie di fuga in curva. Nel 1971 la corsa tornò nella sua sede storica ma si capì subito che le misure di sicurezza adottate erano insufficienti; tuttavia si dovette attendere fino al 1976, quando Niki Lauda ebbe il terribile incidente che tutti ricordano, per decretare la definitiva morte (per quanto riguarda la Formula 1) del vecchio Nürburgring e lo spostamento definitivo del GP tedesco ad Hockenheim.
Nel frattempo gli organizzatori si diedero da fare per costruire un nuovo tracciato lungo poco più di 4,5 km., posto più a sud di quello classico, che possedesse caratteristiche tali da permettergli di ospitare una gara di Formula 1 moderna: ampie vie di fuga, chicane che limitassero la velocità (ma anche le possibilità di sorpasso), posti a sedere concepiti più come tribune da stadio calcistico piuttosto che da autodromo; malgrado tutto, il fascino paesaggistico del vecchio Ring, anche se ovviamente in misura minore, continua a rimanere anche in quello attuale. Il Circus debuttò sul nuovo circuito in occasione del Gran Premio d'Europa del 1984; l'anno successivo, ma solamente per quell'anno, fu sede del Gran Premio di Germania, poi un'attesa lunga 10 anni, infine nel 1995 la Formula 1 ha trovato nel piccolo Ring una sede stabile del proprio calendario: da allora vi si sono disputate le uniche due edizioni del Gran Premio del Lussemburgo nel '97 e '98 e tre Gran Premi d'Europa. Qualche cifra per concludere. Sul circuito Nord si è corso 22 volte; solamente due piloti sono stati capaci di trionfare tre volte su questa mitica pista: Juan Manuel Fangio e Jackie Stewart; mentre Alberto Ascari, John Surtees e Jacky Ickx si sono imposti in due occasioni; sul circuito di oggi si sono svolte sette gare e l'unico a fare il bis, nel '96 e '97, è stato Jacques Villeneuve. Complessivamente la marca che ha vinto più gare sui circuiti del Nürburgring è la Ferrari.


Niki Lauda il vero eroe
della Formula 1




Merzario, il pilota che salvò la vita
 a Lauda al Nurburgring





GP di Germania dell’agosto 1976: Niki Lauda a sette gare dalla fine del campionato ha 61 punti e ben 31 di vantaggio sul secondo, il titolo di Campione del Mondo sembra vicinissimo, ma il dramma è in agguato.

Sul difficilissimo e lunghissimo circuito del Nurburgring Lauda  parte in prima fila al fianco di Hunt, grazie al secondo tempo ottenuto nelle prove. Niki non effettua una buona partenza: fa pattinare troppo le ruote sulla pista bagnata, e si ritrova al nono posto. 

A quel punto, poiché la pista si sta progressivamente asciugando, decide di fermarsi ai box per cambiare le gomme. Al rientro in pista è scivolato agli ultimi posti per cui si lancia a testa bassa, deciso a recuperare il terreno perduto. Nel corso del terzo giro,il dramma.

L’austriaco perde il controllo in una veloce curva a sinistra, più o meno a metà pista, compie un testa coda e sbatte violentemente contro una roccia con la fiancata sinistra e rimbalza al centro della pista, prendendo immediatamente fuoco. Dopo Guy Edwards che riesce ad evitare la carcassa infiammata della Ferrari arriva la Surtees di Brett Lunger che non riesce ad evitarla e la urta violentemente. I piloti giunti sul posto scendono dalle loro macchine e si prodigano a soccorrere lo sfortunato pilota. In particolare è da ammirare il coraggioso Merzario,

che non esita, rischiando la propria vita, a gettarsi in mezzo alle fiamme riuscendo ad estrarre Lauda dall’abitacolo, salvandogli così la vita.

Niki Lauda con la moglie Birgit Wetzinger





29 maggio 2019 - Luca Cordero di Montezemolo ex presidente della Ferrari, partecipa alla cerimonia funebre
del campione  di Formula 1 Niki Lauda al Stephandsdom  (cattedrale di Santo Stefano a Vienna)








Arturo Merzario, il pilota che ha tirato fuori  Niki Lauda dalla macchina in fiamme  al Nurburgring,
 al funerale di Niki .


Andreas Nikolaus Lauda, detto Niki (Vienna, 22 febbraio 1949 – Zurigo, 20 maggio 2019),
è stato un pilota automobilistico, imprenditore e dirigente sportivo austriaco.

Tre volte campione del mondo di Formula 1 (nel 1975 e 1977 con la Ferrari, nel 1984 con la McLaren), come imprenditore ha fondato e diretto tre compagnie aeree, la Lauda Air, la Niki e la Laudamotion; come dirigente sportivo, dopo essere stato consulente per Ferrari e avere diretto per due stagioni la Jaguar Racing, dal 2012 fino alla sua morte ha ricoperto la carica di presidente non esecutivo della Mercedes AMG F1.
Ha disputato 171 Gran Premi, vincendone 25, segnando 24 pole position e altrettanti giri veloci. Ha avuto una carriera sportiva di grande livello guidando per March, BRM, Ferrari, Brabham e, infine, McLaren.
Considerato uno dei migliori piloti della storia, era soprannominato Il computer per via della sua freddezza al volante.
Nel 1976, sul circuito del Nürburgring, ebbe un grave incidente che lo lasciò parzialmente sfigurato in viso; da ciò l'abitudine di indossare un berretto rosso, un accessorio presto divenuto iconico nella sua immagine pubblica.

 1975: Lauda dopo 11 anni.

Il GP d'Italia del 1975 potrebbe entrare nella storia: il ferrarista Niki Lauda, in testa alla classifica, cerca gli ultimi punti per conquistare matematicamente il titolo mondiale.
L'austriaco, scattato dalla pole arriva terzo alle spalle del compagno Regazzoni e di Fittipaldi e conquista l'alloro a undici anni dall'ultimo trionfo in rosso di John Surtees. Una stagione da primattore per Niki, vincitore di ben cinque
Il suo antagonista, Emerson Fittipaldi, alla fine della stagione viene staccato di quasi venti punti (64,5 a 45) e si accontenterà della seconda piazza.
Lauda dominò anche la stagione 1976 ma il terribile incidente del Nuerburgring, lo privò del meritato bis.La causa non fu, come tutti ricordano, la rinuncia dell'austriaco di correre l'ultima gara ma, soprattutto, la remissività del suo compagno di squadra, Clay Regazzoni, che si fece superare, nel corso dell'ultimo giro, da James Hunt che conquista così il titolo.
corse (Montecarlo, Belgio, Svezia, Francia, Stati Uniti) e altri tre piazzamenti sul podio.

1977: Lauda di nuovo re.

Niki Lauda nel 1977 conquista il suo secondo titolo mondiale al volante della Ferrari.Il pilota austriaco fece il bis iridato ma a fine stagione divorziò dalla casa di Maranello che non gli aveva perdonato il suo abbandono nel Gran Premio del Giappone del 1976 a causa della pioggia battente, regalando il titolo alla McLaren di James Hunt.
Dopo un ritiro nella prima gara dell’anno in Argentina, Niki arriva terzo in Brasile, primo in Sudafrica e secondo a Long Beach. In Spagna nuova decisione clamorosa dell’austriaco che dopo il warm-up dichiara forfait a causa di un dolore alle costole. Altre due piazze d’onore a Montecarlo e in Belgio, ritiro in Svezia e quinto posto in Francia. Con quest’ultimo piazzamento Lauda scavalca Scheckter in vetta alla classifica mondiale; siamo metà campionato e Niki non mollerà più il comando fino alla fine.
Nelle cinque gare successive l’austriaco arriva sempre sul podio: è secondo in Gran Bretagna, primo in Germania (ad Hockenheim, non al Nürburgring), secondo in Austria, primo in Olanda e secondo a Monza. Nel Gran Premio degli Stati Uniti si piazza quarto e conquista matematicamente il titolo iridato. Quella però è l’ultima gara di Lauda al volante di una Ferrari: infatti Niki se ne va sbattendo la porta e firmando un accordo con la Brabham-Alfa Romeo: nelle ultime due gare, in Canada e in Giappone, il suo posto verrà preso da un giovanissimo canadese, Gilles Villeneuve.




Monaco, 1955.
È l'edizione passata alla storia per il volo in acqua di Ascari
.
Dopo una partenza bruciante, Fangio, scattato dalla pole position, è costretto al ritiro, mentre si trova in testa, per la rottura di un ponte. La prima piazza è ceduta al compagno di squadra, Stirling Moss, sempre su Mercedes, passato alla storia come l'"eterno secondo": pilota dal talento straordinario, mai in grado di portare a casa un alloro iridato.
Anche la Mercedes dell'inglese, tuttavia, è costretta al ritiro per un problema al motore. Ascari, su Lancia, si trova, così, in testa alla gara. È a questo punto che una delle immagini più vivide, fra i ricordi degli appassionati, prende forma: il milanese, alla chicane del porto, perde il controllo della vettura - forse per un problema al freno anteriore destro, forse per la presenza di olio perso proprio dalla vettura di Moss - e finisce clamorosamente in mare. 
   Monza - 26 maggio 1955
Il giovedì successivo non ascoltando né pareri medici, né tanto meno la moglie Mietta, si presenta all'Autodromo di Monza dove sta provando l'amico e allievo Castellotti. Eugenio è al volante di una Sport della Casa di Maranello e tra un giro e l'altro, Alberto gli chiede di potere effettuare alcuni giri di pista, tanto per tenersi in esercizio. Chi lo conosce e lo vede salire sulla vettura, capisce che c'è qualcosa che non va. Alberto è in camicia e cravatta e non ha con sè l'inseparabile caschetto azzurro e la maglietta anch'essa azzurra da gara. Verso mezzogiorno schiaccia l'accelleratore puntando verso la Curva Grande. Gli alberi si fanno sempre più veloci verso di lui, arriva alle due Curve di Lesmo e si lancia verso il Serraglio e quindi sul rettifilo che porta alla Parabolica per immetrsi nel rettifilo dei box. E' talmente il gusto della velocità e della rinata sicurezza in Lui, che decide di fare un altro giro, passando davanti ai box e salutando l'amico fraterno Castellotti.



Ascari  - 1955
una morte misteriosa
La vettura era sostanzialmente integra... a parte la zona posteriore sinistra. Per il resto ammaccata nelle parti laterali, come se avesse rotolato trasversalmente per qualche giro. Il pilota è stato sbalzato fuori


Il punto dell'incidente
I due pali sulla destra sono ancora lì.....anche l'albero sulla sinistra è lo stesso!

Il motore si fa sempre più "grosso", le gomme stridono alla secoda di Lesmo. Arriva alla curva a sinistra che prenderà poi il suo nome, la passa e all'improvviso il motore si fa muto e sull'Autodromo scende di colpo il silenzio. Ai box capiscono che è successo qualcosa. I soccorsi partono immediatamente e trovano il povero Alberto riverso a testa in giù, dopo una strisciata di una cinquantina di metri. La Sport rovesciata è un brutto segnale per i soccorritori. Le cause non furono mai stabilite: embolia in seguto all'incidente di Montecarlo, o come si sussurra, l'incidente fu dovuto all'improvviso attraversamente della pista da parte di un manovale che credendo la pista libera per la pausa di mezzogiorno, decise di attraversarla, obbligando Ascari ad una improvvisa frenata per evitarlo, con il conseguente tragico ribaltamento.

Quattro giorni dopo, a Monza, Ascari è di nuovo in piedi ad assistere alle prove di qualificazione a Supercortemaggiore. Appena prima di tornare a casa con sua moglie per il pranzo decide di fare qualche giro con la Ferrari del suo amico Castellotti. In camicia e pantaloni e indossando il casco di Castellotti si avvia. Al 3° giro all'uscita da una curva l'auto imprevedibilmente sbanda, capovolgendosi due volte dopo un testacoda. Sbalzato fuori dal mezzo Ascari si ferisce gravemente e muore dopo pochi minuti.

La morte di Ascari venne accolta come una perdita per l'intera nazione. Telegrammi di cordoglio vennero spediti da tutto il mondo. Alle colonne della chiesa di San Carlo al Corso furono appesi drappi neri e un'enorme scritta: "Accogli, o Signore, sul traguardo l'anima di Alberto Ascari." Per i suoi funerali la piazza del Duomo, il cuore pulsante di Milano, era invasa di gente. La piazza più rumorosa d'Italia fu quel giorno così silenziosa che si potevano sentire i telefoni squillare a vuoto nelle case.
Tre giorni dopo le esequie la Lancia sospese ogni attività agonistica e a Luglio consegnò sei modelli D50, con motori, progetti e ricambi, alla Ferrari.



Vittorio Brambilla

 Vittorio Brambilla era, a suo modo, un personaggio singolare, uno di quelli che si motori si intendevano davvero, così come il fratello Tino. Aveva corso in moto, con i kart, con le monoposto di formula 3, fino al grande salto nella Formula 1. Anno 1974, sulla March-Ford al fianco di Stuck, dopo aver preso il posto del neozelandese Ganley.
Il suo anno d'oro fu il 1975, unica guida della March Ford sponsorizzata Beta. Fu l'anno in cui ottenne una pole position sul circuito di Anderstop, nel Gran Premio di Svezia, ma soprattutto vinse il Gran Premio d'Austria all'Osterreichring, il 17 agosto. Una gara segnata dalla morte di Mark Donohue nelle prove libere della domenica e poi sospesa per la pioggia battente al 29° dei 54 giri previsti. Brambilla che era in testa, con largo margine, portò a casa la vittoria e metà punteggio.

Fu l'unica volta che salì sul podio, anche se diverse altre volte andò a punti, l'ultima nel 1978, ancora in Austria, con un sesto posto. E, in un'altra drammatica giornata, il 10 settembre '78, Vittorio Brambilla rischiò la vita nell'incidente in cui morì Ronnie Peterson. Colpito in testa da una ruota, dovette essere ricoverato in ospedale.
Tornò sporadicamente in formula 1, sull'Alfa Romeo, in due gran premi del 1979 (Italia e Canada) e del 1980 (Olanda e Italia). A carriera ormai conclusa - a 42 anni, dopo 74 Gran Premi - era rimasto nel mondo dei motori: aveva un'officina a Monza. E, in ossequio alla vecchia passione per le due ruote, si era dilettato a fare per anni il motociclista al seguito del Giro d'Italia.
Se ne è andato il 26 maggio 2001, un mese dopo Michele Alboreto. E l'Italia della Formula 1 perde un altro di quei personaggi che si erano ritagliati uno spazio nelle cronache del grande circus. A differenza di Alboreto, Brambilla è morto fuori da quel mondo che gli aveva dato notorietà, in un pomeriggio di sole nella sua Brianza, facendo quello che il sabato fanno tanti uomini normali: stava tagliando l'erba del prato di casa sua, è scivolato a terra e anche la vita gli è scivolata via.



Gran Premio del Belgio 2018

Il Gran Premio del Belgio 2018 è stata la tredicesima prova del campionato mondiale di Formula 1 2018. La gara, corsa domenica 26 agosto sul circuito di Spa-Francorchamps, è stata vinta dal tedesco Sebastian Vettel su Ferrari, al cinquantaduesimo successo nel mondiale; Vettel ha preceduto all'arrivo il britannico Lewis Hamilton su Mercedes e l'olandese Max Verstappen su Red Bull Racing-TAG Heuer.

Per questa gara la Pirelli, fornitrice unica degli pneumatici, porta mescole di tipo medie, morbide e supermorbide.

La FIA stabilisce due zone per l'utilizzo del Drag Reduction System: la prima lungo il rettilineo del Kemmel, con punto per la determinazione del distacco tra piloti posto prima della seconda curva. La seconda zona è stabilita sul rettilineo dei box, e detection point fissato prima della curva 18.

La Mercedes porta la terza evoluzione stagionale della power unit: Valtteri Bottas dispone di una power unit nuova in tutta e sei le componenti, mentre per Lewis Hamilton viene montato un nuovo motore termico, un nuovo turbo e una nuova MGU-H. Anche la Ferrari monta per la prima volta la terza evoluzione della power unit, che era stata già predisposta per Haas e Sauber, nel precedente Gran Premio d'Ungheria.

In partenza Lewis Hamilton si difende dall'attacco di Sebastian Vettel e mantiene la prima posizione; i due sono seguiti dai piloti della Force India. Più dietro, Nico Hülkenberg sbaglia il tempo di frenata alla Source e colpisce in pieno la vettura di Fernando Alonso, che spicca il volo appoggiandosi sull'Halo della Sauber di Charles Leclerc, mentre con il muso dell'ala anteriore colpisce la parte posteriore della macchina di Daniel Ricciardo, che a sua volta tocca la gomma posteriore destra di Kimi Räikkönen causandogli una foratura. Alonso, Leclerc e Hülkenberg sono costretti al ritiro.

Nel lungo rettilineo del Kemmel, intanto, Sebastian Vettel si sbarazza di Hamilton e si pone al comando, poco prima che i commissari decidono per l'utilizzo della safety car. Anche i piloti della Force India attaccano, senza successo, il britannico, con quattro vetture che praticamente si trovano sulla stessa linea.

Tutti i piloti vanno ai box per la sosta, mentre i meccanici Red Bull cercano di riparare alla svelta la RB14 di Ricciardo. Al quinto giro l'australiano ritorna in pista, con due giri di ritardo dal gruppo. La gara riprende, con, dietro i primi due, Sergio Pérez, Esteban Ocon, Max Verstappen e Romain Grosjean. All'ottavo giro Verstappen supera Ocon per il quarto posto. Un giro dopo Kimi Räikkönen è costretto al ritiro per via del DRS danneggiato dopo l'incidente e dei danni al fondo provocati dalla foratura del primo giro. Nel frattempo Verstappen supera anche Pérez per il terzo posto, staccato però di 12,7 secondi dal secondo posto. Al tredicesimo giro Valtteri Bottas entra in zona punti, scavalcando Sergej Sirotkin.

Al ventiduesimo giro si ferma Lewis Hamilton, che rientra terzo, alle spalle di Max Verstappen. Un giro dopo entra ai box anche Sebastian Vettel, che mantiene il comando, dopo la sosta. Qualche giro dopo inizia la battaglia tra Marcus Ericsson e Brendon Hartley per la nona piazza: il neozelandese supera la Sauber lungo il rettilineo del Kemmel, ma lo svedese si riprende la posizione successivamente. Al trentesimo giro va ai box anche Valtteri Bottas, per montare un treno di gomme soft. Intanto si ritira Daniel Ricciardo, quando era a un giro dal penultimo posto. Negli ultimi giri Bottas supera le due Force India, e coglie il quarto posto. L'altro pilota della Mercedes, Hamilton, invece, rallenta e vede aumentare a oltre dieci secondi il distacco dal leader di gara Vettel.

Sebastian Vettel vince per la cinquantaduesima volta in carriera e per la tredicesima con la Ferrari. Hanno colto più successi di lui con la casa italiana solo Niki Lauda e Michael Schumacher. Riduce inoltre il suo distacco dalla vetta della classifica a 17 punti.



Norman Graham Hill Hampstead, 15 febbraio 1929 Arkley , 29 novembre 1975)è stato un pilota automobilistico britannico, l'unico ad aver vinto la Triple Crown.

Il terribile incidente di Graham Hill - Stati Uniti 1969

Gareggiò nella Formula 1 tra il 1958 ed il 1975, divenendo campione nel mondo in due occasioni (nel 1962 e nel 1968) prima della tragica morte avvenuta a causa di un incidente aereo. Era particolarmente conosciuto anche per l'intelligenza e la regolarità della sua condotta di gara.

Suo figlio, Damon, fu anch'egli pilota automobilistico ed inoltre campione del mondo di Formula 1 nel 1996.

Graham Hill era stato interessato inizialmente al motociclismo, ma nel 1954 notò una pubblicità dell'
Universal Motor Racing Club a Brands Hatch, che offriva la possibilità di girare in circuito per cinque scellini. Fece così il suo debutto in una Cooper 500 di Formula 3, e da quel momento in poi si dedicò alle corse automobilistiche. Hill entrò nella Lotus come meccanico, ma arrivò rapidamente al posto di guida. La Lotus correva in Formula 1 e questo permise a Graham di debuttare al Gran Premio di Monaco 1958, dove si ritirò per la rottura di un semiasse. Nel 1960 passò alla BRM, con cui vinse il titolo mondiale nel 1962. Hill fece anche parte della cosiddetta "invasione inglese" di piloti e vetture alla 500 Miglia di Indianapolis a metà degli anni Sessanta, vincendo nel 1966 con una Lola-Ford.
Nel 1967, tornato alla Lotus, Hill contribuì allo sviluppo della Lotus 49, spinta dal nuovo motore Cosworth V8. Dopo la morte dei suoi compagni di squadra, Clark e Spence, all'inizio del 1968, Graham prese le redini della squadra, vincendo il suo secondo titolo. In quel periodo, la Lotus aveva fama di vettura fragile e pericolosa, specialmente con i nuovi dispositivi aerodinamici, che causarono incidenti molto simili a Hill e Jochen Rindt nel corso del Gran Premio di Spagna 1969. Un incidente al GP statunitense di quello stesso anno gli provocò fratture alle gambe, interrompendo la sua carriera. Dopo essersi ristabilito, Hill continuò a correre in Formula 1 per alcuni anni, senza però ottenere gli stessi successi. Colin Chapman riteneva che Hill fosse ormai a fine carriera e lo sistemò per il 1970 nella squadra di Rob Walker, fornendo anche, come parte dell'accordo, una delle nuove vetture modello 72.
Al primo Gran Premio in Sudafrica, Hill arrivò sorprendentemente sesto, un ottimo piazzamento dato che ancora aveva bisogno di una stampella per camminare. Ottenne poi un ottimo quarto posto in Spagna e un quinto a Monaco. Dopo questo discreto inizio, la Lotus 49 cominciò a essere inadeguata ed anche la Lotus 72 promessa da Chapman non venne consegnata al team di Walker fino a Monza, dove però nessuna Lotus gareggiò dopo la scomparsa di Rindt. Hill passò quindi alla Brabham per il 1971-1972: la sua ultima vittoria in Formula 1 arrivò all'International Trophy di Silverstone, nel 1971, gara non valida per il campionato, con la Brabham BT34. La squadra era comunque in crisi, dopo il ritiro di Jack Brabham e la vendita a Bernie Ecclestone da parte di Ron Tauranac; Hill non riuscì a sistemarsi.
Pur concentrandosi sulla Formula 1, mantenne una presenza anche nelle corse per vetture Sport, comprese due partecipazioni a Le Mans, con una Rover-BRM a turbina. Con il declino della sua carriera in Formula 1, entrò a far parte della squadra Matra di vetture Sport, vincendo la 24 Ore di Le Mans nel 1972,insieme a Henri Pescarolo. Questa vittoria completò la cosiddetta "Tripla Corona" dell'automobilismo, in entrambe le definizioni che ne vengono date (vittoria alla 500 miglia di Indianapolis, alla 24 Ore di Le Mans e al Gran Premio di Monaco, oppure alla 500 Miglia di Indianapolis, alla 24 Ore di Le Mans e nel Campionato mondiale di Formula 1). In entrambi i casi, Hill è ancora l'unica persona ad aver ottenuto queste vittorie.



Link:Curiosità


Elio De Angelis: talento e sfortuna

Elio De Angelis Elio De Angelis aveva talento ed era veloce, purtroppo si schiantò con uno spaventoso incidente, al Paul Ricard, mentre testava la troppo avveniristica Brabham-BMW. Che fu subito ribattezzata "sogliola", a causa dell'inclinazione data al motore dai tecnici tedeschi per accontentare le bizzarre soluzioni pensate da Gordon Murray per una Brabham che voleva fare dell'abbassamento del baricentro il suo punto di forza.
Divenne, invece, lo strumento di morte per un pilota che aveva mostrato tutto il suo valore in più occasioni. Ma ce n'è una in particolare che viene subito in mente, la vittoria nel Gran Premio d'Austria del 1982 con pochi millesimi di vantaggio sulla Williams di Keke Rosberg.

Elio De Angelis con Ayrton Senna nel 1985

Dopo quell'affermazione, De Angelis si imporrà ancora una volta a Imola, nel Gran Premio di San Marino del 1985, sempre con la Lotus.Elio De Angelis su Lotus: un binomio che fruttò due vittorie iridate Alla fine di quella stagione, però, Elio abbandona il team che gli ha dato tante soddisfazioni per approdare alla Brabham. Nella squadra che era stata creata da Colin Chapman, era arrivato uno nuovo: un certo Ayrton Senna. E Elio aveva capito immediatamente che per lui non ci sarebbe più stato spazio lì.
La sua carriera era stata rapida e ricca di soddisfazioni: nel '75 era stato campione del mondo kart, poi aveva corso in F.3, con la quale si era messo in luce nella gara di contorno a Montecarlo, e in F.2. L'approdo in Formula 1 era arrivato nel '79 con la Shadow, per poi passare alla Lotus e restarci per sei stagioni, fino al divorzio "necessario" e il conseguente passaggio alla Brabham. Dove, De Angelis aveva trovato una vettura "strana": Gordon Murray, il geniale progettista del team all'epoca ancora di Ecclestone, aveva infatti disegnato una monoposto superpiatta, per sfruttare meglio l'effetto suolo.
E' con questa monoposto - che tanti problemi aveva evidenziato nelle prime gare della stagione '86 - che Elio De Angelis svolge alcuni test sul circuito di Le Castellet, quando si verifica il terribile incidente. Estratto ancora vivo dall'abitacolo, lo sfortunato pilota romano cessa di vivere poco dopo.
E' il 15 maggio: poco meno di due mesi prima, aveva compiuto 28 anni.



Alan Stacey (Broomfield, 29 agosto 1933 – Circuito di Spa-Francorchamps, 19 giugno 1960) è stato un pilota automobilistico britannico.

Nato a Broomfield, presso Chelmsford (Regno Unito) da una famiglia di allevatori, si era presto messo in luce ed era riuscito ad arrivare a correre per la Lotus, nonostante avesse una protesi alla parte inferiore della gamba sinistra, cosa che lo obbligava a usare, per azionare la frizione, un comando di tipo motociclistico.
Morì durante il Gran Premio del Belgio 1960, in una delle più tragiche edizioni di un GP che si ricordi: in quella stessa corsa perse la vita anche Chris Bristow e chiuse la carriera un'altra promessa dell'automobilismo britannico, Mike Taylor, mentre nelle prove il grande Stirling Moss si era fratturato entrambe le gambe.
L'incidente di Alan Stacey avvenne a Masta, su un rettilineo velocissimo: un uccello aveva colpito Stacey in pieno volto, la macchina impazzita uscì di strada. Il pilota, sbalzato fuori dall'abitacolo, morì sul colpo.



Sono ormai passati ben 60 anni da questa entusiasmante gara eppure il suo ricordo è ancora vivo nel cuore degli appassionati. Il Gran Premio d’Argentina del 1953 fu la prima gara della stagione del campionato di Formula 1 e venne disputato il 18 Gennaio. L’anno precedente aveva dominato l’italiano Alberto Ascari.

Cerchiamo di ricostruire questa giornata a partire dalle novità che si presentarono: innanzitutto la Ferrari che nella stagione scorsa non aveva avuto rivali in grado di competere con le sue monoposto decise di rafforzare il suo team piloti siglando un accordo con un giovane inglese, Mike Hawthorn. Questa scelta fu obbligata in quanto la Maserati aveva riportato alla guida delle sue monoposto Juan Manuel Fangio, il quale era stato assente dal mondo delle corse per un periodo di ben 7 mesi a causa di un brutto incidente avvenuto sul circuito di Monza; con il ritorno del pilota le motivazioni della scuderia del tridente crebbero e si cercò di sviluppare un’auto in grado di competere con quella del cavallino rampante, così si creò una forte tensione ancor prima che il campionato potesse cominciare.

Con ben sei argentini tra le fila dei sedici partenti al GP, inclusi Fangio e José Froilan Gonzalez entrambi su Maserati, il numero degli spettatori crebbe esponenzialmente, favorito anche dall’iniziativa del presidente Peron di non far pagare l’entrata al circuito, tanto che le reti di sicurezza furono infrante da questa folla che si accampò lungo tutto il tracciato senza la minima paura di essere travolta dalle automobili in corsa: alla fine si contarono ben 400.000 persone all’interno dell’autodromo di Buenos Aires. Resosi inutili tutti i tentativi di placare i presenti si decise di dare il via alla competizione, cosa che non fu gradita ai piloti i quali tentarono di allontanare la folla dal perimetro del percorso gesticolando durante il loro passaggio, ottenendo però risultati inefficaci. Al 32° giro si verificò quello che tutti i piloti e gli organizzatori avevano previsto: qualcuno tentò di attraversare il circuito mentre sopraggiungeva la Ferrari di Nino Farina; l’italiano tentò di scansare all’ultimo la figura presentatasi davanti ai suoi occhi e finì rovinosamente sugli spettatori con un drammatico bilancio di 10 morti e oltre trenta feriti, mentre il pilota se la cavò con qualche ferita agli arti inferiori. Un altro episodio spiacevole fu quello di Alan Brown che a bordo di una Cooper-Bristol colpì un ragazzino. La corsa tuttavia riprese.

Al termine della gara, dopo ben 3 ore, a dominare fu come previsto Alberto Ascari, il quale partito dalla pole position non perse mai il primato e ciò fu dovuto anche al fatto che montava un 2.5 litri sotto il cofano della sua Ferrari. Secondo fu il suo compagno di squadra Luigi Villoresi con oltre un giro di distacco. Sul gradino più basso del podio giunse Gonzales che ricevette un lungo applauso dalla folla locale anche per il fatto di aver portato così in alto il ben più piccolo 2 litri di casa Maserati, mentre il molto atteso Fangio fu costretto al ritiro a causa di alcuni problemi alla trasmissione. Al quarto posto si piazzò il giovane Hawthorn, il che gli garantirà una certa fama ed un brillante futuro nella scuderia del cavallino.




La  BMW di  Gerhard Mitter dopo l'incidente mortale del tedesco al Nurburgring..
Un guasto alla sospensione o allo sterzo,  la causa  dell'incidente  durante le prove del Gran Premio di Germania del 1969.




1966 James Garner - Film "Grand Prix"

Link: Grand Prix 1966



James Hunt, una vita spericolata

Il 15 giuno 1993 James Hunt fu trovato morto nella sua casa londinese: ricordarlo significa ripercorrere, seppur brevemente, una vita spericolata che ebbe il suo momento di gloria proprio con quella McLaren che oggi, ancora una volta, rappresenta la maggiore avversaria del Cavallino rampante.

A Parigi, per ricevere il riconoscimento del titolo iridato conquistato, si presentò in smoking e scarpe da ginnastica, anche se lui avrebbe preferito andare scalzo, come spesso faceva. Era il 1976, e James Hunt era il nuovo campione del mondo di F.1: alla fine l'aveva spuntata su Niki Lauda, beffando con un solo punto di vantaggio, il rinunciatario ferrarista nell'ultima corsa in Giappone.

Risultato ottenuto con la McLaren, che grazie al fortissimo pilota inglese conquistava così il suo secondo titolo, dopo quello centrato due anni prima con Emerson Fittipaldi. Ma la figura di Hunt, più che alla McLaren, resta legata a quella di Lord Alexander Hesketh, un bizzarro rampollo della nobiltà inglese innamorato delle auto da corsa.

Dopo aver sponsorizzato la March del debutto in F.1 del suo pupillo, Hesketh realizzò un proprio team con una propria monoposto: un sodalizio che ebbe a Zandvoort nel 1975 il suo momento più glorioso con la vittoria nel Gran Premio d'Olanda: l'unica per il team Hesketh, e la prima delle dieci ottenute da Hunt nella sua carriera.

Nel 1976, infatti, il pilota inglese accettò la corte della McLaren, alla quale si legò fino al 1978. L'anno successivo, James passò alla Wolf rimasta vedova di Scheckter. Ma la scarsa competitività della monoposto convinse Hunt a maturare la decisione che già da tempo accarezzava: quella di abbandonare le corse.

Come nel suo stile, James annunciò improvvisamente che quello di Montecarlo sarebbe stato il suo ultimo Gran Premio: il 27 maggio 1979 si concluse quindi la carriera di Hunt in F.1. Dopo un tentativo mal riuscito di fare l'agricoltore, Hunt si diede alle telecronache dei Gran Premi per la BBC e per Eurosport, con commenti che innescarono spesso polemiche roventi fra i suoi colleghi, spesso giudicati con troppa disinvoltura dall'ex iridato.Nel suo mirino finì più volte Patrese: del resto, con il pilota padovano c'era ancora ruggine per l'episodio monzese del 1978 sfociato nel dramma di Peterson. Ma ai contrasti, alle prese di posizione, agli atteggiamenti strafottenti, Hunt era abituato..

La sua esistenza è sempre stata esagerata, a cominciare dal modo di vivere la F.1, per finire all'uso e all'abuso di fumo, alcol, passando da una vita privata perlomeno disordinata. E anche la sua morte, avvenuta improvvisamente a 45 anni per arresto cardiaco, ha suscitato dubbi sull'effettiva causa del decesso.




LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~

1955 Tragedia a Le Mans





La Le Mans è la gara automobilistica più vecchia del mondo. Dura 24 ore e mette a dura prova efficienza e resistenza delle automobili e dei piloti, ma non senza conseguenze; al primo giro della 24 ore di Le Mans del 1937, René Kippeurth viene catapultato fuori dall’abitacolo della sua Bugatti 44 e centrato dalla BMW di Pat Fairfild: muoiono entrambi. Nel 1949, all’ultima ora, l’Aston Martin di Pierre Marechal sbaglia un sorpasso e si schianta, uccidendolo. Nel 1951, la Ferrari 212 guidata da Jean Lariviere vola fuori dal circuito, e Lariviere muore decapitato da ufn cavo d’acciaio. Nel 1953 la Ferrari 340 di Tom Cole esce di strada a 170 chilometri all’ora; lui viene sbalzato fuori dall’abitacolo e si sfracella contro il muro di una casa.


Pierre Lavegh

 Nel 1955, la Mercedes 300 SLR di Pierre Lavegh si scontra con l’Austin-Healey di Lance Macklin, si solleva in aria e piomba tra gli spalti a oltre 100 chilometri all’ora in una pioggia di schegge d’acciaio, benzina e alluminio incandescente: muoiono i due piloti insieme a 83 spettatori. Nel 1956 Louis Hery muore arso vivo nella sua Monopole X86, nel 1958 la Jaguar di Jean Brussin sbanda per la pioggia, si capovolge e viene centrata dalla Ferrari di Bruce Kessler; Brussin muore nell’impatto. Al pubblico non importa, e aumenta ogni anno. Agli inizi degli anni ’60, qualunque pilota partecipi alla Le Mans entra nell’abitacolo consapevole che potrebbe morire.

Fangio e MossLa prima gara della stagione nel 1955 è il Gran Premio di Argentina. Neubauer, sentendo la necessità di trovare un altro pilota del calibro di Fangio da affiancargli, consulta la propria lista di piloti emergenti e ingaggia Stirling Moss. Con Moss viene stabilito che nei Gran Premi avrebbe funto da spalla per Fangio, mentre nelle altre gare automobilistiche i due piloti sarebbero stati trattati in modo paritario. Jean Behra rimpiazza Moss alla Maserati mentre Hawthorn lascia la Ferrari per entrare nella scuderia Britannica Vanwall.
Con una temperatura che raggiunge i 40 gradi all'ombra il Gran Premio si trasforma in una prova più per il pilota che per la vettura. Sono solo due i piloti che increduli riescono a concludere la gara, uno di questi è il vincitore, Fangio. Sia Fangio che Moss si ritirano dalle gare al Gran Premio di Monaco che vede vincitore Trintignant su Ferrari. Monaco ci fa presagire ciò che sta per accadere quando Ascari esce di pista finendo nelle acque del porto. Morirà quattro giorni dopo mentre prova una macchina sportiva della Ferrari. La Lancia, senza il suo pilota di punta e con forti problemi economici, è costretta a ritirarsi dalle corse. Nel frattempo Moss vince in maniera stupefacente la Mille Miglia, diventando il primo vincitore non italiano dai tempi di Caracciola. La Mercedes vince ancora a Spa conquistando sia la prima che la seconda posizione. A quei tempi la maggior parte dei grandi piloti si dilettava anche con macchine da Granturismo e non c'era gara più importante della 24 ore di Le Mans per condurre simili auto. La competizione diventa il luogo di una sfida attesa da tempo fra la Jaguar britannica, l'italiana Ferrari e la tedesca Mercedes. Tutti e tre i piani di gara avevano come primo obiettivo quello di sconfiggere gli altri due avversari. 

Alle 4 del pomeriggio dell'11 Giugno 1955 comincia la gara che porterà alla peggiore tragedia che il mondo delle corse ricordi. Castellotti su una Ferrari balza in prima posizione seguito dalla Jaguar di Hawtorn. Fangio, che è partito male, sta correndo a tutta velocità per risalire dalla quattordicesima posizione. Presto riaggancia Hawthorn e lo supera per poi essere a sua volta risorpassato nel giro successivo. Hawthorn e Fangio, superato Castellotti, ripropongono la loro epica sfida di Reims del 1953. Alle 6 e mezza del pomeriggio scocca l'ora della prima fermata ai box. Dopo aver passato la Casa Bianca Hawthorn imbocca precipitosamente il rettilineo principale e si lancia nei box.

Questa manovra prende di sorpresa Macklin, sulla sua più lenta Austin-Healy che viene così costretto ad un brutto scarto a sinistra. Nel frattempo la Mercedes di Pierre Levegh che sta sopraggiungendo si trova la strada sbarrata dalla Austin-Healey. La tampona alla velocità di 250 km/h. L'impatto é tale che l'auto prende il volo e si schianta contro la barriera di protezione che separa gli spalti dalla pista. L'auto si incendia e il motore ed una sospensione staccatisi durante l'urto finiscono nella folla uccidendo 83 persone e ferendone più di 100. 

Ivor Bueb sostituisce Hawthorn, sconvolto dall'accaduto, mentre Moss prende il posto di Fangio e la corsa non si interrompe. Dopo dieci ore arriva dai direttori della Daimler Benz l'ordine di ritirare le ultime Mercedes rimaste in gara, in quel momento al primo e al terzo posto. Finalmente, alle quattro pomeridiane del giorno seguente, l'incubo finisce con la vittoria di Hawthorn sulla sua Jaguar. Il tragico incidente, del quale Hawthorn è stato involontario responsabile, ossessionerà il pilota inglese per il resto della sua vita. Nonostante le proteste dell'opinione pubblica, la settimana successiva si tiene il Gran Premio d'Olanda. Fangio e Moss si ripetono in un'altra doppietta, con primo e secondo posto. La gara seguente, invece, è il Gran Premio di Gran Bretagna, che quell'anno si corre ad Aintree. La squadra Mercedes domina letteralmente la corsa, piazzando le sue quattro auto ai primi quattro posti, con la prima vittoria assoluta di Stirling Moss. Molte gare vengono cancellate a causa dell'incidente di Le Mans. Il Gran Premio d'Italia è l'ultima prova di questo Campionato del Mondo. Le Mercedes vincono ancora con Fangio e si piazzano anche seconde grazie a Taruffi, ma il pilota argentino dopo aver vinto la Targa Florio decide di ritirarsi dalle competizioni. Avendo vinto tutto il possibile Fangio, con quasi il doppio dei punti del secondo qualificato, si laurea Campione del Mondo per la terza volta.



1951


Gli anni Cinquanta: sono gli anni dei mitici piloti Giuseppe Farina, Alberto Ascari, Juan-Manuel Fangio, Gigi Villoresi, José Froiland Gonzalez, Piero Taruffi, Eugenio Castellotti e Stirling Moss. Le prestigiose Case Automobilistiche che partecipano alle competizioni sono Alfa Romeo, Auto Union, Ferrari, Mercedes-Benz, Maserati, Vanwall e Coope. Nel 1951 viene realizzata a Monza l’avveniristica Tribuna Centrale, una costruzione che farà Storia e caratterizzerà l’impianto. Oltre alla pista stradale, il tracciato comprendeva un anello di velocità (o catino dell’alta velocità) lungo circa 4,5 chilometri con due curve sopraelevate in terrapieno..


Gran Premio d’Italia 1951 a Monza, teatro di una
storica sfida tra Alfa Romeo e Ferrari.

Il
Gran Premio d'Italia 1951 si è svolto ad una settimana di distanza dal GP delle Nazioni di motociclismo che aveva occupato il circuito nella seconda domenica di settembre, data abituale per questa gara di Formula 1. La gara fu vinta da Alberto Ascari su Ferrari, davanti al compagno di squadra José Froilán González; per la scuderia del cavallino si trattò inoltre della prima doppietta nella sua storia, oltre al primo successo sul circuito brianzolo.



Mario Andretti

Mario Gabriele Andretti (Montona, 28 febbraio 1940) è un ex pilota automobilistico italiano naturalizzato statunitense,
 attivo sia negli
Stati Uniti che in Europa.
Nato nel 1940 a Montona nell'allora provincia di Pola, all'epoca italiana, lasciò l'Istria nel dopoguerra quando la famiglia, dopo l'assegnazione della regione alla Jugoslavia, fu dislocata in un campo profughi di Lucca. Prima di lasciare l'Italia svolse il lavoro di aiutante meccanico in una officina di Lucca. Appassionato di automobilismo assistette alle prime gare all'età di tredici anni e fu spettatore della Mille Miglia. Nel 1955 ottenne, insieme alla sua famiglia, il visto di ingresso per gli Stati Uniti stabilendosi a Nazareth, in Pennsylvania, e nel 1964 divenne cittadino statunitense.

Nel 1977 la Lotus lanciò il modello 78, la prima vettura da Gran Premio che sfruttava l'effetto suolo. Andretti conquistò 4 vittorie, 7 pole, 4 giri veloci e chiuse terzo nel campionato mondiale.

Con il modello 79 la Lotus diventò imbattibile l'anno seguente, che incoronò Andretti campione del mondo. Le 6 vittorie, i 3 giri più veloci e le 8 pole position dimostrano la superiorità del pilota italoamericano (agevolata anche dagli ordini di scuderia che imposero al suo compagno Ronnie Peterson di non attaccarlo) e della Lotus. La vittoria fu amara in quanto coincise con Gran Premio d'Italia durante il quale proprio il compagno Peterson morì per i postumi di un incidente al via della gara.



La pista dei campioni

1987:Mansell KO nelle prove.

Il clima in casa Williams è teso.Piquet è in testa al mondiale e Mansell ha 12 punti di svantaggio a due gare dalla fine.Il duello però non inizia nemmeno perchè l'inglese, durante le prove, perde il controllo della vettura e si schianta contro le protezioni riportando lesioni alla colonna vertebrale che lo costringono a rinunciare alle speranze iridate.

1988:Il primo titolo di Ayrton.

E' il primo anno di convivenza fra Prost e Senna alla McLaren.Se il brasiliano vince la gara conquisterà il suo primo agognato titolo.Al via Ayrton parte dalla pole ma perde una decina di posizioni mentre Prost scatta in testa.Il brasiliano inizia una mitica rimonta e già a metà gara è in scia al francese che ben presto supera per involarsi alla conquista del primo iride.

1989:Lo scontro alla chicane.

Il secondo anno di convivenza tra Senna e Prost è caratterizzato da un clima litigioso.Il brasiliano è protagonista di una stagione sfortunata.Domina quasi tutti i gran premi ma l'unica McLaren con problemi di affidabilità è risultata sempre la sua.Prost si trova così con un vantaggio di 16 punti a due gare dalla fine.La gara vede Prost al comando con Senna sempre in scia.A sei giri dalla fine tenta l'attacco alla staccata della chicane, supera il francese ma questi lo stringe fino a buttarlo fuori.Prost si ritira mentre il brasiliano riparte, si ferma ai box per cambiare l'alettone, raggiunge e supera Nannini tagliando per primo il traguardo.Viene in seguito squalificato per un fantomatico taglio di chicane.Il titolo va a Prost e Senna non glielo perdonerà mai.

1990:La vendetta.

Prost è passato alla Ferrari ma l'avversario è sempre Senna.Il francese deve vincere assolutamente.Senna parte dalla pole ma Prost scatta meglio e si presenta davanti alla prima curva.Senna non ci pensa due volte e, alla staccata, lo sperona volontariamente.Gara finita e titolo a Senna che dichiara:"A volte le gare finiscono a sei giri dalla fine, altre volte alla prima curva....".

1991:Nulla da fare per Nigel.

A Suzuka Mansell deve assolutamente vincere se vuole conquistare il titolo.Al via Senna lascia passare il compagno di squadra Berger.Senna, in seconda posizione, controlla Mansell che prova in tutti i modi di superarlo fino a commettere un errore che lo toglie dalla corsa.A quel punto il brasiliano si scatena e in pochi giri recupera dieci secondi a Berger fino a superarlo.Davanti al traguardo, però, rallenta fin troppo platealmente lasciando vincere il fedele compagno di squadra.

1996:Duello fra figli d'arte.

Damon Hill e Jacques Villeneuve, sono compagni di squadra nel team Williams.E' la prima volta che i figli di due campioni (rispettivamente Graham e Gilles) si giocano il titolo.Jacques parte male dalla pole e Damon va in fuga.Il canadese rimonta ma al 36° giro, dopo il pit stop, perde una ruota e il titolo che conquisterà comunque l'anno successivo.Damon Hill diventa così campione del mondo come lo fu suo padre.

1998:Il primo di Hakkinen.

Michael Schumacher su Ferrari e Mika Hakkinen su McLaren, sono in lotta per la conquista del titolo.Il sogno ferrarista finisce subito perchè Schumacher, dalla pole, fa spegnere il motore e quindi parte dal fondo dello schieramento.Il tedesco è autore di una fantastica rimonta che lo porta fino al secondo posto ma lo scoppio di un pneumatico lo costringe al ritiro.Il finlandese, Mika Hakkinen, vince così la gara ed il suo primo meritato titolo.

2000:Titolo piloti alla Ferrari dopo ventuno anni.

Michael Schumacher concquista il suo terzo mondiale e riporta il titolo piloti alla Ferrari dopo 21 anni.L'avversario è sempre Mika Hakkinen con la McLaren.Fantastico il duello fra i due contendenti, sempre al massimo dal primo all'ultimo giro.La svolta al secondo pit-stop quando la McLaren, con una strategia sconsiderata,permettono alla Ferrari di passare al comando e vincere.




Una Storia Italiana

Bandini e la formula uno. Una storia come tante altre, uguale ad altre storie di altri piloti che negli anni 60 avevano
 una voglia matta di emergere, di arrivare, di dimostrare di che pasta erano fatti.
 Di carattere calmo e molto serio, Lorenzo rappresentava quello che in gergo si chiama "il bravo ragazzo", un ragazzo che ha costruito il suo debutto in formula uno con tanti sacrifici.
Una storia la sua, coltivata nel garage milanese del Sig.Freddi, che sarebbe poi diventato suo suocero,
dopo
 avere sposato Margherita.



Bandini raccontava che in Italia giunse da Bengasi, dove il padre gestiva un'industria di macchine agricole. A quindici anni arrivò a Milano in cerca di miglior fortuna, senza soldi e con tante speranze. Iniziò come meccanico nel garage di Freddi e quindi la passione per le auto da corsa lo contagiò, collaudando di nascosto le auto dei clienti. Cominciò con una Fiat 1100 TV nella Castell'Arquato - Vernasca e si classificò 15° di classe. Lorenzo continuò con le gare in salita, fino a "centrare" nel 1956 un primo posto nella Lessolo-Alice con una Fiat 8V preparata da lui stesso. Nel 1958 acquista una formula Junior, una Volpini e si iscrive al Gran Premio di Siracusa di quell'anno, classificandosi al 3° posto. Dopo avere acquistato una Stanguellini, vinse il Gran Premio Libertad a Cuba e partecipò al corso indetto dalla Scuderia Centro-Sud di Mimmo Dei, con un' insegnante d'eccezione: Piero Taruffi. Nel 1961 riceve la chiamata di Ferrari e a bordo di una Testa Rossa, vince il Circuito di Pescara. Da quel momento in poi, le vittorie come stradista si susseguono in modo costante, fino alla vittoria alla 24 Ore di Le Mans. Vince l'unico Gran Premio di F1 nel 1964 in Austria. Nel 1967 vince in coppia con Amon la 24 Ore di Daytona, ma lui non si monta la testa, rimane sempre con i piedi per terra. Lui non è una prima donna, è solo un pilota che ama il suo mestiere. Poi arriva il 7 maggio 1967, il Gran Premio di Monaco, la morte che prima lo sfiora e poi lo prende definitivamente, il 10 maggio lasciandoci la nostalgia di quel "bravo ragazzo".

Senza dubbio Bandini fu il pilota italiano più amato dagli italiani degli anni '60. Iniziò a correre per la Scuderia Centro Sud di Mimmo Dei, abbandonando il sogno di esordire a bordo di una Ferrari messa a disposizione dalla FISA, che preferì Giancarlo Baghetti. Esordì come pilota di F.1 nel Gran Premio del Belgio del 1961. Enzo Ferrari lo chiamò a Maranello nel 1962.


Lorenzo Bandini

7 maggio 1967
venticinquesima edizione del gran Premio di Monaco

                                                           
I principi regnanti Ranieri e Grace, come prassi vuole, sono tra i numerosi spettatori disseminati lungo il tracciato del circuito Monegasco.
E' domenica, la domenica del Grand Prix.
Gente dappertuttto: alle finestre delle case, sugli yachts, lungo la pista che si snoda tra il mare e il celebre Casinò. Bandini è la grande speranza di tutti gli innamorati della rossa e non vuole tradire le attese, sente la responsabilità. Lorenzo Bandini sta ultimando gli ultimi preparativi prima di scendere in pista.
Alle ore 15 va in scena il Gran Premio di Montecarlo.
             
 Un pubblico numerosissimo  fa da cornice allo svolgimento della gara

Monaco è il salotto della F1, una gara particolare, prestigiosa ma anche maledettamente difficile.
E' la sfida tra il pilota e il tracciato e le sue mille insidie.
Bandini quest'oggi è il personaggio. Il pronostico lo dà favorito.


La gente grida "Lorenzo! Lorenzo!"
E' venuto il momento di dire addio al folklore.
Bisogna pensare solo ad andare forte.
A vincere.



I piloti si preparano, la tensione sale, poi rombano i motori. Chiron piega una ad una le dita della mano sinistra. Nell'altra ha già pronta la bandiera che darà il via alla corsa.
A quell'epoca non c'erano i semafori.
Il tricolore di Francia s'abbassa e in una nube di fumo scattano prontea sparire dietro la curva.               


 I piloti sono:
Bandini - Brabham - Hulme - Stewart - Clark - Hill - Amon - Surtees - Rindt - McLaren -
Rodriguez - Gurney - Courage - Servoz Gavin - Siffert - Spence
   

La sua Ferrari ha il numero 18 ed è subito al comando

La partenza della vettura n°18, la Ferrari di Bandini, è fulminea: prende subito il comando
sembra in grado di dominare la gara.

Sulla salita di St.Devote è prima la rossa Ferrari di Bandini , così come
al "virage Massenet". che passa vicino al Casinò, e ancora al "Mirabeau",
una curva in discesa che conduce alla vecchia stazione. Poi c'è il " tunnel"
e all'uscita la "chicane", la "curva dei tabacchi" ed in ultimo la "curva del
gasometro" che porta davanti ai box.

E' il primo giro e Bandini è sempre in testa con un secondo e mezzo su
Denis Hulme

Al secondo giro Jack Brabham "sbiella" il motore Repco della sua Brabham, inondando la pista d'olio causando una serie di testa coda e di uscite tra i piloti dietro di lui.


Quando Bandini passa in quel punto non essendo stato segnalato l'olio in pista è ignaro di cosa lo sta aspettando e colto di sorpresa si ritrova girato in un baleno.



Quando riesce a riprendere la corsa si trova in terza posizione dietro a
Hulme e Stewart, ma l'auto è a posto e può partire nella generosa rimonta.


Stewart si ritira per problemi meccanici e cosi Bandini è secondo tallonato da Surtees, ma Hulme è lontano.


Una Ferrari e una Honda entrambe a 12 cilindri. Surtees
era il numero uno della Ferrari, ma ebbe dei dissensi e se ne andò da Maranello.

Clark oggi è dietro, corre con un vero pezzo da museo una Lotus Climax ma riesce sempre a dare spettacolo.




L'uscita della Lotus 33 di Clark al 44°giro, testimonia le terribili
condizioni del tracciato monegasco e le primordiali barriere protettive


Al 42° giro Bandini ha un distacco di 15"4 da Hulme.
A metà corsa, dopo 50 giri, solo 8"3 lo separano dal neozelandese.
Dieci giri ancora e il distacco si è fatto più piccolo 7"6 tra Bandini e Hulme.

La Ferrari n°20 di Chris Amon è lontana.


Amon ha un distacco di 25 secondi da Denis Hulme.
Al box della Ferrari Margherita Bandini continua a segnare i tempi.
Bruce McLaren è in terza posizione.


Sessantuno giri compiuti. Trentanove ancora ne restano.
Ma succede qualcosa.


Un giro ancora il distacco sale a 11 secondi. 14"8 al 70° giro.
Bandini deve superare due doppiati Rodriguez e Hill.
Il primo Rodriguez, si lascia agevolmente superare,
ma il secondo Graham Hill, dà filo da torcere al pilota della Ferrari.


Hill ha ancora infatti il dente avvelenato per un fatto accaduto nel lontano Gran premio del Messico del 1964, quando Bandini, per giochi di squadra, tenne dietro il pilota scozzere seppur in procinto di essere doppiato.



La Honda di Surtees cede.

Bandini impiega oltre due giri
per passare Hill


Bandini supera Rindt (doppiato che poi abbandana causa motore).
Decide di non accontentarsi della seconda posizione
cerca di agganciare Hulme.



Qui avviene la svolta della gara. Quando Bandini riesce a superare Hill, sembra svuotato, sfinito. Dal 65° all'80° giro il distacco aumenta fino a 20 secondi. Infine arriva l'82° giro.


All' 82° giro la Ferrari numero 18 entra nell' imbuto della chicane del porto ad una velocità visibilmente superiore a quella degli altri piloti e a quella tenuta da Bandini stesso fino a quel momento. La sua auto non tiene più la strada, carambola da una parte all' altra della curvetta d' immissione sulla banchina, si dirige con il muso contro una bitta di ormeggio. E poi si solleva in aria per ricadere rovesciata con il pilota tra le lamiere, ormai avvolto dalle fiamme, e percorre impazzita trenta lunghissimi metri, con le ruote in aria.


Vede passare Hulme e conta. Dieci, diciotto, venti.
Perche non passa? Sono passati venticinque secondi.
Ed è passato McLaren e Amon. Dov'è Lorenzo?
La voce dello speaker comunica:
Incidente a Bandini



Margherita Bandini afferra quella frase in francese
ma sembra non capire. Ha sentito "Bandini".
Ma il resto? Dà un altro sguardo alla lancetta.
Passa veloce la verde Brabham di Hulme. Punta gli
occhi verso il mare, laggiù dove c'è la "chicane".
E' un attimo. Si alza un pò verso l'alto e una indefinibile inquietudine l'assale. Impallidisce di colpo, apre la mano e lascia cadere il cronometro.


 

Incomincia a tremare. Lo sguardo fisso dove sale una densa
nuvola di fumo. I nervi le cedono. Ora trema tutta. Sono momenti
terribili, allucinanti. Il film di una vita si svolge di colpo.


In pochi minuti, davanti agli occhi di Margherita Bandini balenano gli attimi più belli, quegli attimi
che da adesso sono solo un ricordo.


Occorrono tre interminabili minuti ai commissari di pista
per estrarre il corpo di Bandini dalla carcassa infuocata della Ferrari n°18.
La Signora Margherita rimane annientata.
 
È un momento drammatico: sulla carcassa della vettura in fiamme intervengono con gli estintori i commissari di gara, convinti che il pilota sia stato sbalzato via nell'impatto. Lo si cerca nella banchina, c'è chi teme sia finito in mare, come Alberto Ascari nel 1955. Quando poi, dopo circa 3 minuti e mezzo dall'incidente, l'incendio della Ferrari è domato si scopre l'orrenda verità: Bandini è ancora lì, privo di conoscenza e col volto sfigurato. I commissari di gara e due civili (il Principe di Borbone Parma e l'amico Giancarlo Baghetti) ribaltano la vettura ed estraggono Bandini ormai in fin di vita, sotto gli occhi attoniti della moglie Margherita, che pur rimane in un dolore composto
(«In caso d'incidenti, non fate drammi» aveva chiesto più volte Lorenzo).


Viene chiamata una Lancia, che lo trasporta al Nosocomio di Montecarlo, dove viene immediatamente operato per asportargli la milza e tentare di tamponare le gravissime lesioni: le lamiere gli hanno perforato il fianco sinistro, danneggiandogli la milza e il polmone sinistro; ma soprattutto l'intero corpo, per il 60%, è coperto da ustioni gravissime. La situazione appare subito drammatica.

Lorenzo è gravissimo. Lo apprende la sera quando un medico
la chiama, non importa se per tre giorni spererà, per lei Lorenzo se ne è andato quando
le ha dato un bacio prima del via, quando le ha detto: Ciao, Gio'.
Sono state le ultime parole.
Poi è andato incontro al suo crudele destino.
Ogni tentativo dei medici risulta vano e Lorenzo Bandini muore, dopo settanta ore di agonia,
il 10 maggio 1967.

La monoposto del ferrarista verrà trovata in 5° marcia quando avrebbe dovuto essere in 3°: la tesi più accreditata sarà quindi quella della stanchezza del milanese, che aveva dato il massimo e forse anche di più. Ma tutto ha congiurato per rendere più terribile l'incidente. Per esempio, la presenza, alla curva della chicane, di sbarre metalliche per l' attracco delle navi, che impediscono alla vettura di finire in mare. La presenza di balle di paglia ai lati della pista: sono le prime ad incendiarsi e ad alimentare le fiamme all'interno della vettura. L' olio sparso sull'asfalto dalla vettura di Brabham, che può aver favorito la perdita di controllo. L'attrezzatura degli addetti ai servizi antincendio, che non indossano le speciali tute in amianto, come è invece diventerà obbligatorio di lì a poco in Inghilterra, e che perciò hanno impiegato più tempo per avvicinarsi alla vettura ad accorgersi del corpo del pilota ancora incastrato. Per tre minuti e mezzo Bandini rimane in balia delle fiamme, tanto che, esaurita la carica dei primi estintori, i vigili devono correre a prenderne degli altri più capaci, distanti qualche decina di metri: tutti preziosi istanti persi.



 1° D.Hulme - Brabham Bt20  - Giri 100 2h34m,
  2° G.Hill - Lotus 43 - Giri 99 - 3° C.Amon Giri 98
Margherita Freddi Bandini vedova da qualche mese viene nvitata alla premiazione del Gran Premio d'Italia vinto da John Surtees.


La notizia dell’incidente di Bandini viene riportata dai giornali di tutto il mondo.

LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~