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Curiosità - Personaggi Mito



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Luigi Musso
Mike Hawthorn
Peter Collins

I debiti di gioco e la coalizione inglese:

l’enigma della morte di Luigi Musso al  Calvaire

Gran Premio di Francia - 6 luglio1958

La dinamica dell’incidente non ce l’ha chiara nemmeno Enzo Ferrari. Che scrive: “È difficile sapere con esattezza ciò che accadde.

 I pochi testimoni e gli ufficiali di gara fecero un racconto in cui lo spavento prevalse sulla fedeltà della cronaca”.

Gran Premio di Francia, 6 luglio del 1958, mentre lotta con Mike Hawthorn si schianta e muore Luigi Musso sulla Ferrari 
alla curva del Calvaire di Reims. 
“E finisce – sempre Ferrari che scrive – il bello stile italiano”.

Educato, acculturato, figlio di un diplomatico e bello come un divo, eroe intrepido e dannato, corre per mestiere e corre pure – lo confessa ad Antonio Ghirelli – perché ha bisogno “di guadagnare molto”, prova a farlo “attraverso un rischio calcolato”.

È una faccenda enigmatica, ci sono di mezzo i debiti di gioco. Musso nel 1957 nel volo verso l’Argentina ha perso 12 milioni di lire a poker.

E allora le corse, il Gran Premio di Francia che assegna un premio dieci volte più grande rispetto a tutte le altre tappe del mondiale. 
Lui è deciso a vincere.
Come Hawthorn e Collins che pure guidano la Ferrari e secondo Fiamma Breschi, l’ultima compagna di Musso, hanno un patto per ostacolarlo:

Chiunque dei due avesse vinto, avrebbe diviso i soldi con l’altro. L’unione fa la forza. E loro erano in due contro Luigi che non faceva parte dell’accordo. Era una rivalità che avrebbe anche favorito Ferrari anziché danneggiarlo.
Più veloci andavano, più probabilità c’erano di vincere.

Insomma Musso quando arriva al Calvaire si gioca tutto per tutto: “Sono convinto – svela Ferrari – che la foga della gara
gli fece tenere il piede giù a fondo”.

Come gli aveva detto Fangio, per guadagnare mezzo secondo.
 Fangio che dall’inizio del campionato già sta meditando il ritiro e dopo la tragedia decide di smettere.




Fiamma Breschi Enzo Ferrari


CHI ERA FIAMMA BRESCHI 

LA MUSA MISTERIOSA CHE COLORAVA LA VITA DI ENZO FERRARI


L'ultimo, straordinario, saluto firmato Giorgio Terruzzi a Fiamma Breschi, la “bellissima signora” del Cavallino - Dopo la morte del compagno Luigi Musso, pilota romano della Rossa, tentò il suicidio ma fu salvata dalla donna di Fangio - Fu allora che Ferrari cominciò a scriverle, a chiederle consigli: "Si affidò a me - disse lei - gli inventai quello che poi è diventato il suo modo di vestire”...

Luigi Musso

 Musso  non sopravvisse alle ferite riportate nella celebre
Curva del Calvaire
del Circuito di Reims.

Fiamma Breschi - Luigi Musso


                 FIAMMA BRESCHI
«L' ingegnere Mauro Forghieri e Gaetano Passarelli con dolore partecipano alla scomparsa della signora Fiamma Breschi, ricordando con tristezza e rammarico quando le gare si vivevano e vincevano con grande spensieratezza e allegria e con la presenza ai box di signore bellissime». Il necrologio è apparso ieri sul Corriere . Poche righe delicate e romantiche che contengono una storia intensa e sommersa.
Protagonisti: Fiamma Breschi, la «bellissima signora», ed Enzo Ferrari. Lei, ultraottantenne e malata, è scomparsa venerdì a Firenze. Lui, signore e padrone della leggenda più straordinaria del motorismo, se n' è andato il 14 agosto 1988. Si conobbero nel cuore degli anni Cinquanta.

Fiamma, giovane e attraente, era la compagna di Luigi Musso, pilota romano del Cavallino, disposto a lasciare moglie e due figli pur di averla accanto ogni giorno, sino all' ultimo, 6 luglio 1958, quando morì, a Reims, dopo l' ennesimo incidente di un' epoca da stragi in pista. Appena lo seppe, Fiamma cercò di gettarsi dalla finestra dell' hotel. Bloccata dalla compagna di Juan Manuel Fangio, Beba, e dalla moglie di Maurice Trintignant, Lulù.

Fu allora che Ferrari cominciò a scriverle, a frequentarla, a chiederle consigli, preso da una docilità inattesa: «Si affidò a me, gli inventai quello che poi è diventato il suo modo di vestire - disse in una rara intervista -. Già nel 1962 mi voleva sposare, mi ha chiesto di sposarlo sino a quando è morto». Si telefonavano. Ore ed ore di conversazioni.

Si scrivevano. Una lettera al giorno, secondo chi viveva vicino a Ferrari. Si vedevano. A Firenze, forse altrove: «Veniva a mangiare a casa mia. Fece coniare una coppa con il Cavallino dedicata a mia madre, la cuoca più brava del mondo».
Abbastanza per far scattare pettegolezzi insistenti lungo quel crinale delicato che fu la vita privata del Grande Vecchio di Maranello, sposato con Laura, legatissimo a Lina, mamma di Piero. Del resto, Fiamma Breschi cercò sempre di allontanare ogni ambiguità: «Eravamo amici, era qualcosa di grande ma di platonico».

Questo disse e scrisse nel libro «Il mio Ferrari» (Mursia) del 1998. Una musa, dunque.
Intelligente al punto da farsi nominare dal capo, inviata speciale alle corse: «Ferrari aveva sempre bisogno di controllare tutto e lei era una donna piacevole, abile nel parlare e nel fare» racconta Forghieri, il tecnico che ha accompagnato il decollo del mito di Maranello: «Capace di convincerlo a presentare la prima Ferrari gialla, una 275 GTB 4 del 1966». Chissà, forse Fiamma, riuscì a sfiorare un lato debole e nascosto di quell' uomo così geniale, così feroce, così difficile da trattare.
Del quale disse molto e disse molto poco, conservando, insieme al casco giallo di Musso, ogni sua lettera, ogni segreto, dentro una cassetta blindata. Ma ogni curiosità pare, adesso, un' invadenza. Meglio lasciar correre l' immaginazione e una nostalgica tenerezza.  
Sentimenti nel vento, a bordo di automobili preziose. Immagini di un uomo e una donna che volano via, con i loro misteri, 
dentro un tempo magnifico e perduto.







La carriera di Fittipaldi è una giostra circense, un saliscendi di emozioni e di scelte non sempre felici ma perseguite con tenacia e determinazione fino in fondo. Pilota coraggioso e appassionato, talento precocissimo con una straordinaria pulizia nella guida in pista. Legatissimo alla sua terra di origine, quel Brasile che porterà alla ribalta altri grandi campioni dell’automobilismo mondiale di cui Emerson è fiero precursore. Un Brasile tormentato dalle dittature militari che attraverseranno gli anni Settanta e Ottanta, lasciando scie di contrasti e delusioni sociali molto forti favorendo la creazione di nuovi miti. Emerson sarà appunto uno di questi per il popolo brasiliano, un eroe in cui identificarsi per sognare ed immaginare un mondo diverso in cui l’eroe permette di sfuggire alla dura realtà quotidiana.
Personaggio tipico, inoltre, di un periodo della Formula 1, quello degli anni Settanta, in cui si affacciano per la prima volta le sponsorizzazioni libere per le squadre e per i driver. Nuove occasioni di business per i protagonisti delle corse si profilano all’orizzonte prepotenti ed impetuose come i fiumi di denaro che ricopriranno i piloti da lì in avanti.
La storia di Fittipaldi ruoterà sempre intorno a questi due poli, la sua terra d’origine e l’ambizione economica legata alla inevitabile ricchezza.
Giovanissimo, Emerson partecipa ad alcune gare di motociclette (peraltro senza soddisfazioni) per approdare ai go-kart, ambito in cui si cimenta con grande passione ed entusiasmo arrivando, insieme al fratello Wilson Júnior, a costruirne di suoi.

Gli inizi
La “Fitti-karts” inizia l’attività nel 1964 e ben presto Emerson decide di scendere in pista direttamente per dare maggior visibilità al marchio. Grazie ai risultati agonistici le ordinazioni delle vetture decollano consentendo ai due fratelli di autofinanziarsi e iniziare a coltivare il sogno della vita: trasferirsi in Europa per correre in maniera seria. Nel 1968 il momento tanto sognato con l’arrivo in Inghilterra dove gareggia in Formula Ford trovando un ambiente decisamente più ostile rispetto a quello brasiliano: piloti agguerriti che non si tirano indietro per nulla al mondo davanti alla possibilità di arrivare primi sul traguardo. Il passaggio alla Formula 3 è dietro l’angolo e Emerson ci arriva nel 1969, anno in cui trionfa con la Lotus 59 di Jim Russell. Si vede subito che il ventitreenne paulista ha carattere da vendere e una determinazione fuori dal comune per l’età. Ciò che colpisce è lo stile di guida pulito ed estremamente incisivo perché capisce l’inutilità di rischiare sempre e comunque a favore di una tattica più accorta ed attendista. A tutto questo si aggiunge una straordinaria visione della gara.


Emerson Fittipaldi Fitttipaldi win Indy 500

Fittipaldi with Teddy Mayer

Fittipaldi viene contattato, nel 1970, da colui che risulterà per certi versi essere stato il suo mentore: Colin Chapman, patron della Lotus. L’inglese capisce al volo il talento che ha di fronte e non se lo lascia certamente sfuggire tanto da sottoporgli un contratto per guidare la Lotus in Formula 2. Emerson sente che il suo momento sta per arrivare, ne sente il profumo e ne percepisce chiaramente tutti i dettagli.

Il debutto in Formula 1

Il debutto in Formula 1 avviene nello stesso anno, il 18 luglio a Brands Hatch, nel GP d’Inghilterra con un ottavo posto, pur non disponendo, ovviamente, della Lotus ufficiale. Il ragazzo è carico di entusiasmo e preoccupazione allo stesso tempo, le responsabilità diventano sempre più grandi anche per via di un episodio determinante che segna, probabilmente, la sua carriera: la morte di Jochen Rindt, prima guida della Lotus, a Monza nel settembre 1970. Quando ti trovi di fronte alla morte di un pilota resti sempre scioccato, pieno di dubbi e angosce su ciò che stai facendo, ti metti prepotentemente in discussione, pensi di smettere, poi però si va avanti inesorabilmente e la adrenalina delle corse (come scrisse Jackie Stewart nel suo libro Faster: «Perché non smetto? Non lo so, veramente non lo so. Forse perché lo sport automobilistico è infettivo come una malattia, ti entra nel corpo e ti conquista con tale violenza che è come se cadessi in coma») prende il sopravvento.



Emerson Fittipaldi in Formula Ford (1969)
In seguito all’incidente la Lotus rinuncia alle successive due gare per arrivare a Watkins Glen, ultima prova del Mondiale, con lo scomparso Rindt ancora in testa alla graduatoria. Chapman prende in disparte Emerson e gli dice che deve fare tutto quanto possibile per rimanere davanti nientemeno che a Jacky Ickx. Solo in questo modo si potrebbe assegnare il titolo al pilota scomparso. Carico di responsabilità, Fittipaldi compie una rimonta fantastica che si conclude con la vittoria ai danni di Pedro Rodríguez. È la sua prima affermazione in una gara di Formula 1, vittoria che vale doppio proprio perché consente l’assegnazione (unico caso nel Mondiale) del titolo al pilota scomparso.
Il boss inglese decide di rinnovare il contratto a Emerson anche se con qualche dubbio in relazione al fatto di affidargli il ruolo di prima guida. Di Chapman Fittipaldi dice:«È un vulcano di idee. Abbiamo avuto delle divergenze all’inizio ma ora siamo in equilibrio, io guido a modo mio e, in cambio, non chiedo particolari modifiche all’auto».
Dopo un 1971 del tutto transitorio e con parecchi problemi di messa a punto (dovuti principalmente alla scelta di sperimentare il motore sovralimentato) che non consentono prestazioni brillanti in gara, il 1972 è l’anno della consacrazione.

“El rato” (soprannome dovuto alla particolare dentatura) è alla guida di una evoluzione della già eccellente Lotus 72 con la nuova livrea nero-oro (dovuta alla sponsorizzazione della multinazionale del tabacco John Player Special). Macchina potente, ottima tenuta di strada e con una affidabilità prima sconosciuta. I successi arrivano in serie fino a quello memorabile a Monza con la conquista del primo titolo mondiale. A 25 anni, 9 mesi e 26 giorni diventa il campione del mondo più giovane in assoluto. Emerson ricorda sempre con commozione un particolare di quella gara: la telecronaca per il Brasile, quel giorno, fu fatta da papà Wilson che potè annunciare con orgoglio la vittoria del figlio.
In patria viene accolto trionfalmente, lo chiamano “O’ rey” e, probabilmente, sostituisce Pelè nel cuore dei brasiliani. Fittipaldi ricorda con soddisfazione quei momenti tanto da dire, in seguito, di aver aggiunto la sua immagine ai più comuni simboli del Brasile. Arrivano, inevitabilmente, impegni mondani e sponsorizzazioni a tutto tondo che permettono a Emerson di guadagnare cifre importanti che investe in possedimenti terrieri in Brasile, dimostrando anche in questo campo una notevole abilità unita ad un fiuto particolare.
La stagione 1973 parte con la caccia a Fittipaldi. È lui l’uomo da battere, il campione giovane ed agguerrito che tutti vogliono spodestare. In squadra arriva un pilota svedese, Ronnie Peterson, animato da una smodata ambizione e “cattiveria” agonistica non indifferente. La prima parte della stagione vede ulteriori conferme del talento di Emerson soprattutto grazie a prove convincenti sul rivale più accreditato, Jackie Stewart.


Da metà stagione in poi però il calo. Pochi piazzamenti e pochi punti tanto da consentire allo scozzese di scalare la vetta della classifica. In casa Lotus si paga pesantemente la lotta fratricida tra Fittipaldi e Peterson e la scellerata conduzione manageriale di Chapman culminata nel famoso episodio di Monza dove non viene imposto a Peterson di farsi da parte per dare spazio a Emerson, alla conquista disperata di punti per restare in corsa per il titolo. Fittipaldi le prova tutte per superare il compagno di squadra che chiude, però, tutti i varchi possibili. Al rientro ai box la tensione esplode anche perché Chapman, a richiesta di spiegazioni da parte di Fittipaldi, si limita a dire di essersi dimenticato di esporre il cartello con le indicazioni. Il litigio con il patron segnerà il divorzio del brasiliano dalla Lotus alla fine della stagione. Non sarà mai ben chiaro il motivo del comportamento del manager inglese: due le probabili risposte, una avente a che fare con la mancata firma del rinnovo del contratto sottoposto al brasiliano (presumibilmente già in contatto con la Marlboro, sponsor della McLaren) e l’altra con la scelta di incassare i soldi della vittoria del Mondiale costruttori per non pagare il probabilissimo aumento di ingaggio a Fittipaldi qualora avesse vinto il secondo titolo. Strategia comunque perdente perché il pilota se ne andò sbattendo la porta.

Ancora Campione!

Nel 1974 inizia un mondiale tormentato dalla situazione internazionale. Crisi petrolifera e conseguente razionamento di carburante pongono seri dubbi sulla utilità delle corse automobilistiche. Con qualche ritardo si comincia, alla fine, una stagione molto incerta dal punto di vista agonistico data dal ritiro di Stewart e dal conseguente aumento dei papabili alla vittoria finale. “El rato”, dopo un esordio infelice in Argentina, umilia Peterson ad Interlagos facendo presagire ad una stagione in discesa con la nuova vettura. Non sarà così, invece, perché i due piloti Ferrari, l’esperto Clay Regazzoni e il giovane Niki Lauda, gli daranno filo da torcere fino alla fine del campionato che si risolverà all’ultima gara a favore del brasiliano su Regazzoni. Secondo titolo mondiale per Emerson grazie ancora una volta ad una condotta di gara accorta e pulita unita alla straordinaria pulizia ed efficacia della guida in pista.
La stagione successiva si apre con il tema della sicurezza in pista. Frequenti sono i richiami dei piloti all’organizzazione internazionale affinchè si presti maggiore attenzione alle misure di prevenzione degli incidenti. Soprattutto nel GP di Spagna si capisce come il denaro e gli interessi politici la facciano da padroni nel Circus: circuito di Montjuïc assolutamente inadeguato per quanto riguarda sicurezza ed organizzazione. Piloti che si riuniscono per decidere di non scendere in pista e vengono obbligati dalle minacce delle scuderie che impongono la corsa ad ogni costo. Solo Fittipaldi porterà fino in fondo, nonostante un titolo da difendere e interessi economici personali in gioco, la sua decisione di non gareggiare. Puntuale, infatti, la tragedia durante la corsa con spettatori coinvolti pesantemente. La Formula 1 deve quindi darsi una nuova immagine davanti all’opinione pubblica e per questo vengono decise nuove e più efficaci misure di sicurezza nelle successive gare. In pista è l’anno dell’avvento di Lauda e la sua Ferrari. Fittipaldi è costretto ad inseguire per gran parte della stagione (dopo un avvio folgorante) e si ricorda solo una gara memorabile (come strategia) a Monza quando riesce a superare l’austriaco con una frenata azzardata per far capire, probabilmente, che il leone abdicava ma con onore e orgoglio. È vicecampione del mondo con un netto distacco da Lauda.



Monza 1971 - Fittipaldi Lotus 56B


Oramai Emerson è un personaggio noto in tutto il mondo, un vero business man con sponsorizzazioni e contratti in ogni settore.
Vende la sua immagine molto abilmente anche grazie ai consigli di Stewart, rivale in pista ma amico fuori dai circuiti. Fittipaldi ricorda:

 «Nei miei riguardi Jackie si è sempre comportato come un amico dandomi preziosi suggerimenti sulla nostra attività e su come gestire
 la propria immagine con gli sponsor. I piloti, d’altronde, sono i principali protagonisti del Circus ed è giusto che siano pagati per questo.
 La nostra carriera è per sua natura più breve di altre attività sportive, se la nostra immagine fa vendere o genera benefici a qualche azienda
è logico che anche noi ne otteniamo dei vantaggi». Chiaro e lucido come sempre, Emerson.

La Copersucar

Le sorprese non sono finite in quel 1975. Fittipaldi annuncia in maniera clamorosa il suo addio alla McLaren. Scelta davvero azzardata per alcuni ma non per il talento brasiliano che vuole inseguire un ambiziosissimo progetto: un brasiliano alla guida di una macchina brasiliana.
L’idea è in realtà già partita con il fratello Wilson qualche anno prima. Il vero nome del team era Fittipaldi Automotive che correva con il nome Copersucar. La squadra godeva di importanti appoggi da parte della Copersuc, l’azienda di stato saccarifera. Dopo i deludenti risultati del fratello, Fittipaldi, allettato sicuramente dai forti guadagni offerti, decide di scendere in pista personalmente per dare lustro alla scuderia. Emerson dirà: «Non mi aspetto chiaramente di arrivare subito primo nel Mondiale, ci mancherebbe. Sono convinto che nel giro di uno-due anni sarà possibile ammirare un team interamente brasiliano tra i migliori del mondo».
Mai proclama fu più sbagliato e distante dalla realtà dei fatti. Nei quattro anni successivi la Copersucar non otterrà mai risultati degni di nota tranne un secondo posto nel 1978 nel GP di casa a Rio de Janeiro. L’ultima stagione di Fittipaldi in Formula 1 è quella del 1980. Nel frattempo la Copersucar si è ritirata dalle corse non finanziando più la scuderia. Questo fa si che il team acquisti la denominazione di Fittipaldi Team Racing fondendosi con la Wolf da cui eredita il pilota, un certo Keke Rosberg che tanto bene farà parlare di sé in seguito. A fine anno Emerson annuncia il suo ritiro dalle corse per dedicarsi alla carriera manageriale. Carriera che si arresterà l’anno successivo per mancanza di fondi e risultati disastrosi.
La prima parte della carriera agonstica del “rato” finisce quindi ingloriosamente con un progetto sportivo-imprenditoriale miseramente fallito. Le qualità del pilota comunque non sono mai state messe in discussione.

   
Fittipaldi rientra nel giro delle corse alla metà degli anni Ottanta nelle competizioni USA. La voglia di sedersi su una monoposto, infatti, non lo abbandona mai. Un richiamo forte e impetuoso a continuare a gareggiare, a sfidare i propri limiti e gli avversari in un nuovo contesto.
Nel 1989 vince il campionato CART e la 500 Miglia di Indianapolis con il team Penske diretto da Pat Patrick. Resta al comando per 158 giri su 200 totali aggiudicandosi parecchi duelli in pista come ai bei tempi della Formula 1. Nel 1993, infine, rivince la corsa questa volta davanti a Nigel Mansell. Insieme a Jim Clark, Mario Andretti e Graham Hill, Emerson è l’unico pilota ad aver vinto il Mondiale di Formula 1 e la gara di Indianapolis.
Un incidente nel 1996, all’età di cinquant’anni, metterà definitivamente fine alla carriera di Fittipaldi.
Carriera straordinaria e molto rapida. Palmares ricco di successi e titoli che lo ha fatto definire “il pilota dei due mondi” per la capacità di conseguire risultati sia in formula 1 che in USA. Carriera che sarebbe stata più vincente se Emerson non avesse dato retta ad un sogno lautamente remunerato come quello di guidare una vettura brasiliana senza motori brillanti.

Da come Fittipaldi descrive la sua gente si capisce anche parte della sua motivazione nell’intraprendere quell’avventura: «Amo il Brasile e la sua gente. Mi piace il loro modo di affrontare la vita e la gioia di vivere tipica del popolo brasiliano. Mi piacciono perché sono degli estroversi che scherzano, senza cattiveria, su tutto e tutti». Questo è Emerson Fittipaldi, un pilota che ha segnato un’epoca e che ha fatto sentire orgogliosa una nazione intera. Un pilota che ha esportato il Brasile in tutto il mondo e che dai brasiliani è stato sempre molto amato.
Obrigado Emerson!


Mario Andretti

nasce a Montona, Italia, il 28 Febbraio 1940. Al termine della seconda guerra mondiale, la famiglia capisce che il paese in cui abitano è destinato a passare sotto la Jugoslavia. Mario Andretti Decidono quindi di andarsene e passano diversi anni in un campo di profughi in Toscana. Nel 1954 l’interesse di Mario alle gare di velocità lo porta a Monza dove vede il grande Ascari competere nel Gran Premio d’Italia. L’anno successivo emigra insieme con la famiglia negli Stati Uniti e trovano casa a Nazareth in Pennsylvania.
Nel 1959 inizia a gareggiare sugli ovali intorno a Nazareth con vecchia Hudson, insieme al suo gemello Aldo che, però, è meno fortunato di lui in quanto un incidente sancisce la fine prematura della sua carriera. Mario, comunque, prosegue. In un solo giorno dell’autunno 1963 vince tre diverse gare su due piste differenti! Nel 1964 inizia a correre nella gare USAC con macchine sprint e nelle gare Indy. Ma deve ancora maturare e la 500 miglia di Indianapolis di quell’anno gli conferma che ha bisogno di più esperienza di guida. Mario si mette d'impegno e quando compete nella stessa gara l’anno successivo termina terzo e gli viene consegnato il premio "Rookie dell’anno".

1/2 Mile Dirt Track Race - 1961

Andretti raggiunge il successo ad Indianapolis molto presto vincendo la gara nel 1969 alla sua quinta partecipazione ma, per quanto provi per oltre 20 anni, non riuscirà più a vincerla. La carriera ad Indianapolis quindi non merita certo di essere messa in evidenza ma è una dichiarazione precisa di quanto Mario sia un pilota versatile. Nel corso di tutta la sua carriera è riuscito a vincere in quasi tutte le competizioni su quattro ruote. Quando sale per la prima volta su di una monoposto di Formula Uno, Andretti è già vincitore della 24 ore di Daytona, vincitore della Coppa Sebring, due volte campione USAC e quattro volte corridore alla 500 miglia di Indianapolis. L’occasione è a Watkins Glen nel 1968 su di una Lotus 49B e promette grandi cose. Col disappunto dei suoi avversari guadagna la pole. Certo, dicono in molti, è il suo circuito di casa.... Ma in realtà Andretti non ha mai corso a Glen prima. Sfortunatamente la gara lo vede arrancare a causa di problemi meccanici della sua Lotus. Per le tre gare rimanenti accusa sempre problemi meccanici ma le soddisfazioni se le prende, sempre quell’anno, vincendo la 500 miglia di Indianapolis, il campionato USAC per la terza volta e la famosa gara in salita di Pikes Peak!


1967 Mario Andretti, winner of the Indy 500 in 1969 STP Lotus - Ford 64 (1969)

Il nuovo Presidente americano appassionato di belle auto
Donald Trump su una vettura
Indicar...

Donald Trump è il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. Al di là del risultato politico americano, a noi, essendo un sito automotive, piace ricordare la forte passione che Trump nutre nei confronti delle automobili, o meglio, delle belle automobili. Difatti non tutti sanno che al tycoon americano, considerato da Forbes nel 2015 il 405° uomo più ricco del mondo e con un patrimonio stimato nel 2016 di 3,7 miliardi di dollari, piacciono le automobile lussuose e sportive, d’epoca e non.

Tra i modelli conosciuti che fanno parte del garage “presidenziale” infatti, fanno parte ben due Rolls Royce, una Silver Cloud degli anni ’50 ed una Phantom attuale, una Maybach S600 Sedan del 2015, una Lamborghini Diablo, una Mercedes SLR McLaren ed una Chevrolet Camaro realizzata in un unico esemplare ed impiegata come Pace Car ad una delle ultime 500 Miglia di Indianapolis.

 Mario Andretti, vincitore del Campionato del Mondo di Formula 1 nel 1978 e di quattro campionati Indycar, andò a prendere Donald Trump sotto la Trump Tower per “un giro in città” nel corso della nota serie TV “The Apprentice” in cui lo stesso Trump era protagonista.


Durante la maggior parte dei suoi anni in Formula 1, Andretti è un pendolare d’eccezione ed il suo vertiginoso avanti e indietro sull’atlantico fa sì che egli competa sia nei Gran Premi che nelle gare USAC. Nel campionato di Formula 1 del 1970 corre in 5 gare con la March e riesce a finire solo una gara arrivando terzo in Spagna. In Sudafrica nel 1971, nella prima uscita con la Ferrari, vince la sua prima gara. A questo fa seguire la vittoria di entrambe la prove del Gran Premio, non valido per il campionato, di Ontario, una gara ibrida che vede le vetture di Formula 1 confrontarsi con quelle di Formula 5000 statunitense. Nel corso delle stagioni 1971 e 1972 corre in altre 9 gare con la Ferrari portando a casa solamente risultati mediocri.

Monaco - 1978Si sarebbe potuto scommettere che, entro il 1976, Andretti sarebbe stato destinato a fare grandi cose in Formula 1 e, considerando l’estrema velocità di questo pilota, sarebbe diventato il cavallino rampante di Maranello. Tuttavia questa previsione non si sarebbe mai avverata. Lascia la Ferrari al termine della stagione del 1972 e per due anni corre con l’ormai dimenticata scuderia Parnelli fino al suo scioglimento nel 1976 (salta la stagione 1973 per concentrarsi sul campionato USAC). In quell’anno ritorna alla Lotus che gli offre un’ulteriore possibilità in Formula 1. L’accordo tra Andretti e Colin Chapman è un dono del cielo per entrambi, per Andretti che si ritrova con la famosa Lotus 79 "effetto suolo" che gli consentirà di vincere il Campionato del 1978, e per Chapman che ha bisogno di un pilota di esperienza e con grinta per studiare e sfruttare a fondo la vettura.
Nel 1977 Chapman tira fuori dal cilindro la macchina vincente con la V maiuscola: si tratta della Lotus 78. Con questa vettura Andretti vince subito il Gran Premio di Long Beach e mette una seria ipoteca sul mondiale anche se la stagione è minata da parecchi problemi dovuti alla nuova versione del motore Cosworth.


Nella stagione 1978 Andretti e la Lotus agguantano una sola vittoria nelle prime 5 gare e a Zolder fa il suo debutto la Lotus 79, l’ultima evoluzione del famoso effetto suolo. Come una reminiscenza della Lotus 49 a Zandvoort 11 anni prima, la 79 agguanta la pole e vince la gara alla sua prima uscita. Con questa vettura Andretti vince anche in Spagna, Francia, Germania e Olanda. Con una macchina così superiore alle altre,  l’unico e vero avversario di Andretti per la stagione 1978 è il suo compagno di squadra, lo svedese Ronnie Peterson. Andretti arriva a Monza con un vantaggio di 12 punti su Peterson. Alla partenza la vettura di James Hunt viene spinta contro la Lotus di Peterson da un’altra monoposto. Peterson sbatte violentemente contro la barriera Armco e la sua vettura si incendia e la gara viene interrotta con bandiera rossa mentre Hunt, Patrick Depailler, Clay Regazzoni ed i commissari di percorso lottano contro le fiamme ed il tempo per liberare Peterson. L’incidente è spaventoso ma Peterson viene ricoverato all'ospedale con solo alcune fratture agli arti e qualche piccola bruciatura. Andretti fa la seconda partenza sperando in cuor suo che il compagno di squadra stia bene. Dopo aver inseguito e sorpassato Gilles Villeneuve ed aver vinto la gara, Andretti viene però relegato al sesto posto per partenza anticipata. Questa posizione è comunque sufficiente per vincere il Campionato.

  Ma le condizioni di Peterson diventano gravi, le fratture agli arti gli provocano un'embolia: muore la mattina successiva. Naturalmente questa notizia spegne subito la voglia di festeggiare di Andretti per la conquista del titolo di Campione del Mondo. Con il passare del tempo, comunque, nonostante Monza 1978 venga sicuramente ancora ricordata come una delle pagine più nere della storia dell’automobilismo, a tutt’oggi è più conosciuta come la giornata in cui Mario Andretti diventa il secondo - e ultimo - statunitense a conquistare il titolo di Campione del Mondo di Formula 1.
Andretti ha comunque vinto la sua ultima gara di Formula 1. Corre ancora per altre 4 stagioni, 2 con la Lotus, una con Alfa Romeo, 3 gare nel 1982 con la Williams e, ancora, con la Ferrari. Quell’anno a Monza, nella sua ultima gara in Formula 1, agguanta prepotentemente la pole per la gioia dei tifosi, inserendosi tra i più titolati piloti della stagione e nel più classico stile Andretti: uscire con classe.
A 42 anni Andretti è ormai vecchio per la Formula 1, ma la sua carriera agonistica è ben lungi dall’essere terminata. Per più di dieci anni cerca nuovamente di vincere la 500 miglia di Indianapolis ed ha il privilegio di correre ruota a ruota con suo figlio in Formula Indy. Nel 1992, all’età di 52 anni, si prende la pole al Michigan International Speedway con una media superiore ai 350kmh!

Mario Andretti on pole for 1966 Indy 500Guidare vetture da corsa a prestazioni elevate richiede uno sforzo fisico e psicologico non indifferente.
Il solo viaggiare a velocità così elevate stressa l’intero corpo del pilota e sono molte le persone chesi chiedono come possa ancora continuare Andretti alla sua età.
L’italo americano Mario Andretti, con la sua pronuncia strascicata e la sua leggendaria calma, dietro al volante di una monoposto esprime un fiero spirito competitivo. Probabilmente nessun altro pilota nella storia dell’automobilismo ha mai avuto così tanti successi simultaneamente su tracciati totalmente diversi tra di loro e forse nessun altro pilota ha mai avuto, come Andretti, una coesione così perfetta tra mente e fisico al servizio delle gare. Nel corso di tutti questi anni Andretti non è mai stato petulante, scriteriato o psicologicamente indifeso, cosa che non si può dire di molti piloti di punta messi sotto pressioneper la lotta per il titolo.
Dopo una carriera incredibile che ha interessato cinque decadi, Andretti non è, alla fine, scomparso nel buio. Non l’avrebbe mai tollerato.
Ha vinto ancora a 53 anni a Phoenix nel 1993, l’anno in cui il figlio faceva la sua disastrosa stagione di Formula 1. Questa è stata la sua ultima vittoria in Formula Indy.

Alberto Ascari    era nato a Milano il 13 Luglio 1918. Suo padre Antonio era stato il più grande pilota italiano dei suoi tempi e aveva l'abitudine di portare spesso suo figlio con sé alle corse cui partecipava. Due settimane prima 

che Alberto compisse sette anni, Antonio Ascari rimase ucciso mentre stava conducendo il Gran Premio di Francia a Montlehry.
Da quel momento il desiderio di Alberto fu quello di diventare un pilota di macchine da corsa proprio come il padre. Fu così preso 
da questo suo sogno che scappò ben due volte da scuola e appena poté si comprò una motocicletta. La sua prima gara fu la Mille Miglia del 1940 e la macchina che guidò una Ferrari. Nel 1940 sposò una ragazza di Milano ed ebbero due bambini. Il maschio 
venne chiamato Antonio, in ricordo del nonno, e la femmina Patrizia. Ascari era molto legato alla famiglia.
Alberto riprese a gareggiare nel 1947. Comprò una Maserati 4CLT dai nuovi proprietari, la famiglia Orsi. Racimolò tre milioni 
di lire e il suo caro amico Gigi Villoresi lo aiutò dandogli altri due milioni. Ascari e Villoresi corsero con successo sui circuiti 
del Nord Italia, e la folla milanese soprannominò Alberto "Ciccio". Il 1948 si rivelò un altro anno di successi per la coppia di amici
alla guida delle più evolute Maserati San Remo. Ascari gareggiò su un'Alfa 158, finendo terzo nel Gran Premio di Francia a Reims, dietro ai compagni
di squadra Wimille e Sanesi. Enzo Ferrari, che era stato un grande amico e compagno di squadra del padre di Alberto, si era appassionato ai successi 
di Alberto e aveva messo sotto contratto Ascari e Villoresi nel 1949. Quell'anno Ascari vinse sei volte, una delle quali a Buenos Aires nel Gran Premio di Peron.

Nel 1950 ottenne nove vittorie con la Ferrari e nel 1951 sei, nonostante la Ferrari rivestisse un ruolo di secondo piano rispetto alle più rodate Alfa Romeo 158/159, ma fu il 1952 la sua stagione più ricca con addirittura 12 vittorie.

Alberto Ascari
Alberto Ascari  - Il pilota del destino



da sinistra Giuseppe Farina, Alberto Ascari, Mike Hawthorn e Luigi Villoresida sinistra Giuseppe Farina, Alberto Ascari, Mike Hawthorn e Luigi Villoresi
Ascari trionfatore a Monza nel 1952
Ascari trionfatore a Monza nel 1952

La prima gara alla quale non partecipò fu nel 1952, il Gran Premio di Svizzera, essendo impegnato nelle qualificazioni di Indianapolis con la Ferrari 45OO, con la quale forò una gomma nella 500 miglia, ma per quanto riguarda le altre gare ebbe vita relativamente facile in quanto Fangio, della squadra rivale Maserati, fu messo fuori gioco per gran parte della stagione in seguito ad un incidente nel Gran Premio di Monza a Giugno. Ascari vinse tutte le 6 gare a cui prese parte e il Campionato del Mondo.Si ripete nel 1953 vincendo le prime 3 gare e stabilisce il record di vittorie consecutive:9.
Ascari era più tranquillo quando si trovava in testa alla corsa e, diversamente da molti altri piloti, sembrava non dare il suo meglio quando stava dietro.  Come Enzo Ferrari più tardi ricordò: "Quando guidava, non poteva essere sorpassato tanto facilmente, anzi di fatto era impossibile farlo".

Non era un pilota sereno. Con la sua smorfia e lo sguardo fisso sembrava frustasse la sua auto e che le sue mani sensibili tormentassero il volante.
Quando aveva fretta affrontava le curve con una serie di rischiose sterzate piuttosto che con un unico fluido movimento. Avere Ascari alle spalle era un'esperienza davvero snervante. La sua mente era ossessivamente impegnata a cercare il sorpasso ad ogni costo.
Il 1954 era stato un anno molto deludente per il campione del mondo del '52 e del '53. Ascari era uscito dalla Ferrari alla fine del 1953 e il 1° Gennaio del 1954 aveva firmato per l'ambiziosa azienda Lancia, che aveva progettato e costruito la sua prima e alquanto innovativa macchina da Gran Premio.
La messa a punto del mezzo però procedeva con lentezza e il suo debutto in pista veniva continuamente rimandato. Nel frattempo la Mercedes Benz annunciò che le Silver Arrows (le frecce d'argento), dalla rivoluzionaria aerodinamica, sarebbero state pronte per gareggiare nel Gran Premio di Francia a Luglio.Fu così che, per fronteggiare la minaccia al primato italiano, la Lancia permise ad Alberto e al suo amico e guida Luigi Villoresi di passare al volante delle Maserati 250 F. Ma fu inutile.
Fangio e Kling sulle loro W196 seminarono tutti gli avversari. Solo sei concorrenti su ventuno terminarono la gara e Alberto, come molti altri, fuse il motore al 2° giro, nel tentativo di mantenere il passo delle Mercedes.
Dopo alcune gare decisamente sfortunate con la Maserati, ad Ascari venne generosamente prestata una Ferrari per correre il Gran Premio d'Italia. Alberto riuscì a conquistare la prima fila della griglia di partenza e al 6° giro era in testa. La corsa finì per diventare una sfida tra Ascari e Moss, sulla sua Maserati personale, ma al 49° giro Alberto fu costretto a ritirarsi per noie al motore. Alla fine accadde proprio ciò che gli italiani avevano più temuto: Fangio vinse alla guida della tedesca Mercedes, ma solo dopo che la coppa dell'olio di Moss si fu spaccata.

Bisognava fare qualcosa e così due Lancia rosso porpora nuove fiammanti furono messe a punto in fretta e furia per debuttare nell'ultima gara del 1954, il Gran Premio di Spagna, che si corse il 24 Ottobre nel circuito Pedralbes.
Alberto partì alla grande e già all'8°giro aveva accumulato un grosso vantaggio. Al nono giro però un gemito di costernazione si sollevò non appena fu costretto a fermarsi per problemi alla frizione.

Ascari corse un altro giro lentamente e poi si ritirò. Villoresi si era già ritirato al quarto giro. Anche se la Ferrari di Hawthorn vinse la competizione, fu Fangio a conquistare il Campionato del Mondo del 1954, grazie alla Mercedes Benz W 196, ma anche grazie al fatto che la Lancia ritardò la messa a punto della sua D50.
Benché tutte e tre le Lancia si fossero ritirate nel Gran Premio di Argentina del 16 Gennaio del 1955, le D50 vinsero due gare minori di F1 e con la formidabile squadra degli italiani, Ascari, Gigi Villoresi e il giovane Eugenio Castellotti, la Lancia era pronta a misurarsi con i tedeschi, finora trionfatori, e a batterli.

E' il 22 Maggio del 1955 e il Gran Premio di Monaco e d'Europa sta tenendo tutti col fiato sospeso.
Alberto Ascari sulla sua Lancia D50 è autore di una rimonta incredibile, per raggiungere in testa alla corsa la Mercedes Benz W196 di Stirling Moss. E' il 77° giro di pista e sta recuperando due o tre secondi per giro. Possiamo capire da un rapido calcolo che se Moss rallentasse la velocità di un secondo per giro Ascari lo raggiungerebbe e lo sorpasserebbe all'ultimo giro... 
All'81°giro Moss finisce fuori pista con la Mercedes fumante. I pistoni non hanno retto alle sollecitazioni della corsa. Siccome Fangio si è già ritirato per la rottura di una trasmissione al 50° giro le speranze dei tedeschi svaniscono definitivamente, lasciando il campo libero alla Lancia e alla sua prima vittoria di Gran Premio.
Non appena Ascari si avvicina al Casino, in quel fatidico 81° giro, gli altoparlanti stanno informando gli spettatori di ciò che lui ancora non può sapere, e cioè che Moss è uscito di pista e che i meccanici stanno fissando impotenti il motore


Conducendo la sua Lancia nel dedalo di curve, proprio mentre affronta la svolta del Casinò, Alberto all'altezza della stazione si accorge che la folla sta cercando di richiamare la sua attenzione. Lui non può immaginare che ciò che stanno cercando di dirgli è che non appena raggiungerà gli spalti sarà lui il vincitore.
La sua ferma concentrazione, tesa a mantenere il controllo della sua Lancia alla maggiore velocità possibile, viene meno. Ha la sensazione che qualcosa non stia andando per il verso giusto non appena infila la curva della stazione e imbocca la Corniche. Guizza nel tunnel e poi fuori in pieno sole per trovarsi ancora faccia a faccia con la folla esultante e in preda all'entusiasmo. Ciò distoglie la sua attenzione proprio mentre deve affrontare la discesa che porta alla chicane e la curva gli diventa impossibile. Sceglie quindi l'unica via di fuga e si scaraventa in acqua oltre le barriere di protezione. Nascosto tra le balle di fieno c'è un pilastro di ferro. L'auto lo manca per soli trenta centimetri.

 Il vapore prodotto dal motore rovente mischiato alla polvere e ai frammenti della paglia si diffonde nell'aria. Per tre lunghissimi secondi tutti smettono di respirare. Poi un casco azzurro appare balenando sulla superficie dell'acqua. Ascari viene tratto in salvo da una barca prima ancora che i sommozzatori possano raggiungerlo.
Vince la gara su una Ferrari Trintignant che ha condotto una corsa veloce ma regolare, assistendo alla progressiva uscita di scena di tutti i piloti che aveva davanti a sé alla fine del 10° giro. Nel frattempo Alberto giace in un letto d'ospedale con il naso rotto e sotto shock. Un vero miracolo.

Quattro giorni dopo, a Monza, Ascari è di nuovo in piedi ad assistere alle prove di qualificazione a Supercortemaggiore. Appena prima di tornare a casa con sua moglie per il pranzo decide di fare qualche giro con la Ferrari del suo amico Castellotti. In camicia e pantaloni e indossando il casco di Castellotti si avvia. Al 3° giro all'uscita da una curva l'auto imprevedibilmente sbanda, capovolgendosi due volte dopo un testacoda. Sbalzato fuori dal mezzo Ascari si ferisce gravemente e muore dopo pochi minuti.

La morte di Ascari venne accolta come una perdita per l'intera nazione. Telegrammi di cordoglio vennero spediti da tutto il mondo. Alle colonne della chiesa di San Carlo al Corso furono appesi drappi neri e un'enorme scritta: "Accogli, o Signore, sul traguardo l'anima di Alberto Ascari." Per i suoi funerali la piazza del Duomo, il cuore pulsante di Milano, era invasa di gente. La piazza più rumorosa d'Italia fu quel giorno così silenziosa che si potevano sentire i telefoni squillare a vuoto nelle case.
Tre giorni dopo le esequie la Lancia sospese ogni attività agonistica e a Luglio consegnò sei modelli D50, con motori, progetti e ricambi, alla Ferrari.



 E’ l’unico pilota nella storia a conquistare l’ambito tris:

 Campione Mondiale F.1, 24 ore di Le Mans e 500 Miglia di Indianapolis

Monaco '58 - Graham Hill al debutto con la Lotus-Climax 12

Graham Hill era stato interessato inizialmente al motociclismo, ma nel 1954 notò una pubblicità dell'Universal Motor Racing Club a Brands Hatch, che offriva la possibilità di girare in circuito per cinque scellini. Fece così il suo debutto in una Cooper 500 di Formula 3, e da quel momento in poi si dedicò alle corse automobilistiche. Hill entrò nella Lotus come meccanico, ma arrivò rapidamente al posto di guida. La Lotus correva in Formula 1 e questo permise a Graham di debuttare al Gran Premio di Monaco 1958, dove si ritirò per la rottura di un semiasse. Nel 1960 passò alla BRM, con cui vinse il titolo mondiale nel 1962. Hill fece anche parte della cosiddetta "invasione inglese" di piloti e vetture alla 500 Miglia di Indianapolis a metà degli anni Sessanta, vincendo nel 1966 con una Lola-Ford.

Nel 1967, tornato alla Lotus, Hill contribuì allo sviluppo della Lotus 49, spinta dal nuovo motore Cosworth V8. Dopo la morte dei suoi compagni di squadra, Clark e Spence, all'inizio del 1968, Graham prese le redini della squadra, vincendo il suo secondo titolo. In quel periodo, la Lotus aveva fama di vettura fragile e pericolosa, specialmente con i nuovi dispositivi aerodinamici, che causarono incidenti molto simili a Hill e Jochen Rindt nel corso del Gran Premio di Spagna 1969. Un incidente al GP statunitense di quello stesso anno gli provocò fratture alle gambe, interrompendo la sua carriera. Dopo essersi ristabilito, Hill continuò a correre in Formula 1 per alcuni anni, senza però ottenere gli stessi successi. Colin Chapman riteneva che Hill fosse ormai a fine carriera e lo sistemò per il 1970 nella squadra di Rob Walker, fornendo anche, come parte dell'accordo, una delle nuove vetture modello 72.

Al primo Gran Premio in Sudafrica, Hill arrivò sorprendentemente sesto, un ottimo piazzamento dato che ancora aveva bisogno di una stampella per camminare. Ottenne poi un ottimo quarto posto in Spagna e un quinto a Monaco. Dopo questo discreto inizio, la Lotus 49 cominciò a essere inadeguata ed anche la Lotus 72 promessa da Chapman non venne consegnata al team di Walker fino a Monza, dove però nessuna Lotus gareggiò dopo la scomparsa di Rindt. Hill passò quindi alla Brabham per il 1971-1972: la sua ultima vittoria in Formula 1 arrivò all'International Trophy di Silverstone, nel 1971, gara non valida per il campionato, con la Brabham BT34. La squadra era comunque in crisi, dopo il ritiro di Jack Brabham e la vendita a Bernie Ecclestone da parte di Ron Tauranac; Hill non riuscì a sistemarsi.

Pur concentrandosi sulla Formula 1, mantenne una presenza anche nelle corse per vetture Sport, comprese due partecipazioni a Le Mans, con una Rover-BRM a turbina. Con il declino della sua carriera in Formula 1, entrò a far parte della squadra Matra di vetture Sport, vincendo la24 Ore di Le Mans nel 1972,insieme a Henri Pescarolo. Questa vittoria completò la cosiddetta "Tripla Corona" dell'automobilismo, in entrambe le definizioni che ne vengono date (vittoria alla 500 miglia di Indianapolis, alla 24 Ore di Le Mans e al Gran Premio di Monaco, oppure alla 500 Miglia di Indianapolis, alla 24 Ore di Le Mans e nel Campionato mondiale di Formula 1). In entrambi i casi, Hill è ancora l'unica persona ad aver ottenuto queste vittorie.


Il piccolo Damon Hill  trascorre una giornata con  il papà Graham....






Graham-Hill_6

I due titoli mondiali

Nato nel 1929 ad Hampstead, un sobborgo di Londra, appassionato di corse e motori entra in Lotus come meccanico. Inizia la sua carriera di pilota con le vetture di Colin Chapman, ma poi corre per sette anni alla BRM e torna alla Lotus nel 1967 al fianco di Jim Clark.
Dopo il primo titolo mondiale del 1962, ritorna campione del mondo nel 1968, alla guida della Lotus 49. Jim Clark muore ad inizio stagione sul tracciato di Hockenheim, tocca a Graham Hill, suo scudiero, prendere in mano le redini della squadra e concretizzare le potenzialità della monoposto britannica e del DFV Cosworth. La grande esperienza del pilota britannico ha la meglio su tutti gli avversari ed a fine anno conquista nuovamente l’ambito titolo.


  

Il Gran Premio degli Stati Uniti 1963 è stato un Gran Premio di Formula 1 disputato il 6 ottobre 1963 sul Circuito di Watkins Glen.
La gara fu vinta da Graham Hill, alla guida di una BRM.

Gran Premio degli Stati Uniti 1964fu la nona gara della stagione 1964 del Campionato mondiale di Formula 1, disputata il 4 ottobre sul circuito Watkins Glen International.Il pilota principale della Cooper-Climax statunitense Phil Hill, che non aveva partecipatoalla gara precedente (fu sostituito dal pilota di riserva), ritornò al volante.La corsa vide la vittoria di Graham Hill su BRM, seguito da John Surtees su Ferrari e da Jo Siffert su Brabham-BRM.
Il Gran Premio degli Stati Uniti 1965 fu la nona gara della stagione 1965 del Campionato mondiale di Formula 1, disputata il 3 ottobre sul Circuito di Watkins Glen. La corsa vide la vittoria di Graham Hill su BRM, seguito dai piloti Brabham-Climax Dan Gurney e Jack Brabham.

     La vittoria ad Indy

Nel 1966 ben 225.000 spettatori accalcano le tribune di Indianapolis, la vittoria di Clark della precedente edizione ha richiamato tantissimo pubblico che accorre sugli spalti per vedere se l’asso scozzese riesce a ripetere l’impresa. Graham Hill è attirato dalla corsa americana e dai premi in denaro, si iscrive al volante di una Lola-Ford. La corsa è molto movimentata nelle posizioni di testa, i protagonisti sono tutti piloti inglesi, oltre a Hill ci sono Clark e Stewarth anche lui al volante di una vettura realizzata da Eric Broadley. Stewarth, a lungo terzo, ha dei problemi al suo motore e scende in sesta posizione, ma per la vittoria si verifica un episodio curioso: sia Hill che Clark si credono vincitori allo scadere dei 200 giri ed entrambi entrano nella Victory Lane per ritirare il Borg Warner Trophy. In realtà la vittoria è di Graham Hill, il team Lotus aveva commesso un errore nel conteggio dei giri e Colin Chapman ritirò immediatamente il reclamo lasciando alla Lola T90 la prima vittoria ad Indianapolis.

Graham Hill lola indy_2

Dopo la vittoria nel catino dell’Indiana la carriera di Graham Hill continua con altri successi, in 17 anni disputa 176 G.P., il record di presenze fino ad allora, vincendone 14. E’ suo il primato di vittorie a Montecarlo, cinque in totale, uguagliato da Senna negli anni 90. Il pilota inglese è stato uno dei principali attori del circus della F.1 negli anni ’60, e spesso viene ricordato, oltre che per i suoi famosi baffi anche per il humor tipicamente inglese. Eclettico, era facile incontrarlo nei box con la moglie Bette che gli teneva i tempi, o a qualche party tra piloti, soprattutto dove c’era da divertirsi. Nel 1964, dopo l’incidente tra la sua vettura e la Ferrari di Lorenzo Bandini nel G.P. del Messico, che consentì a Surtees di vincere il mondiale, facendolo perdere a Hill, regalò per natale all’italiano un corso di guida, con un biglietto di prendere almeno la patente per corrispondenza, un gesto spiritoso e simpatico che dimostra la signorilità e la goliardia nell’ambiente di allora delle corse, ben diverso dell’attuale fatto di reclami e spie.

I due anni successivi lo vedono ancora in lotta per il titolo ma questi ultimi anni in BRM sono segnati da una grande quantità di problemi meccanici.
 Nel 1967 torna alla Lotus e si forma un super team con lui ed il due volte Campione del Mondo Jimmy Clark.
Il 1968 è l'anno della tragica morte di Clark ad Hockenheim, Graham Hill vince i due successivi gran premi
 e diventa Campione del Mondo di Formula 1.
 Gli anni successivi non sono felici per Hill e vengono ricordati soprattutto per la sua ultima vittoria, quella di Monaco nel 1969.

Questa è la sua quinta vittoria a Montecarlo, un record che non sarebbe stato sorpassato fino al 1993 quando Ayrton Senna conquista la sua sesta vittoria sul circuito monegasco.A Watkins Glen rimane coinvolto in un terribile incidente che lo vede costretto su di una sedia a rotelle.
Dopo essersi rimesso dalle sue ferite ricomincia a correre ma senza ulteriori successi. Fonda una sua scuderia, la Embassy, ma non ha successo.

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La vittoria a Le Mans

Graham Hill è stato anche l’unico pilota ad aver vinto, oltre Indianapolis e l’alloro mondiale, anche la 24 Ore di Le Mans, nel 1972 in coppia con Henry Pescarolo alla guida della Matra MS670. Quell’anno Lagardere, il patron della Matra, chiamò l’inglese a far coppia con Henry Pescarolo. Per tutti era solo un pilota a fine carriera, demotivato, che correva solo per soldi, ed invece, ancora una volta, la grande professionalità di Graham Hill ha avuto la meglio.

Per vincere nella maratona francese servono grandi doti, motivazione, rispetto per la meccanica e la coppia Hill-Pescarolo conquistano l’ambito trofeo sbaragliando tutti i pronostici che li davano solo per comprimari. Per ora Graham Hill è stato l’unico a riuscire in questa impresa, e nessuno sembra in grado di eguagliare questo primato in un’era dove i piloti sono sempre più specializzati nelle varie categorie.

Il Team Hill

Brise Hill - 1

Dopo l’avventura con il Team Gold Leaf Lotus, passò al team privato di Rob Walker, sempre con la Lotus. Nel 1971 e ’72 corse con il Team Brabham per poi gareggiare con un proprio team e le vetture Lola. Nella stagione 1975 fece debuttare una vettura di sua costruzione (denominata GH1), anche se derivata da il modello Lola T370 al Gran Premio del Sud Africa con Rolf Stommelen. Nel successivo Gran Premio di Spagna corsero François Migault e Rolf Stommelen. Proprio quando il pilota tedesco era in testa la perdita dell’alettone provocò la sua uscita di pista con l’uccisione di quattro spettatori. Nel Gran Premio di Monaco Graham Hill tenterà di qualificarsi ma senza fortuna.
Sostituito Stommelen con Tony Brise la scuderia riuscì ad ottenere i suoi primi punti al Gran Premio di Svezia con Brise, sesto. L’incidente aereo in cui perirà Graham Hill, assieme a Tom Brise, il 29 novembre del 1975 mentre stavano rientrando da una sessione di test al Castellet, determinerà la chiusura della scuderia. Hill stesso era alla guida del suo aereo, un Piper Aztec, a causa della nebbia andò ad urtare durante l’atterraggio contro un albero sulla pista di Elstree. Oltre ai due piloti morirono il progettista Andy Smallman ed alcuni tecnici e meccanic


Nel 1975, alla bella età di 46 anni, disputa i primi due gran premi e poi annuncia il ritiro.Affiderà la  vettura al suo pupillo,
Tony Brise, che però morirà con lui quando cade l’aereo che stava pilotando. Era il 29 novembre 1975 e il mondo non vedrà
 più il famoso casco con le strisce bianche fino a quando, nel 1992, suo figlio Damon riporta in Formula 1 questa famosa icona
 rendendogli onore vincendo anche lui il mondiale nell'anno 1996.

Andreas Nikolaus Lauda nasce a Vienna il 22 Febbraio 1949.
La sua è una famiglia molto influente e questo lo agevola quando è costretto a chiedere in prestito i fondi per correre.
Partecipa alla sua prima gara, una gara in salita, nel 1968 a bordo di una Cooper arrivando secondo. Da allora in poi, a dispetto dell’insistenza del padre che lo voleva lontano dalle gare automobilistiche, continua a competere nella gare in salita e più tardi in Formula Vee. Comincia a farsi notare in Formula 3 e, nel 1971, passa in Formula 2 "comprandosi" un posto alla March, in accoppiata con Ronnie Peterson (il quale aveva anch’egli pagato per correre) e assicurandosi un contratto che prevedeva di correre in Formula 1/Formula 2 l’anno seguente. Quando la March fallisce, riesce a persuadere Louis Stanley della BRM a vendergli un posto. In quest’avventura colleziona talmente tanti debiti da far impallidire chiunque.La chiamata di Luca Montezemolo della Ferrari gli arriva appena prima del suo crollo finanziario, cosa che non lo aveva neppur minimamente preoccupato anche se, più tardi, confesserà di essere stato un pazzo. Strappa il suo contratto con la BRM e firma come pilota Ferrari per due stagioni.


Niki Lauda  ferrari 312 B3 1974 modello A


Nel 1974, il suo primo anno al cavallino rampante, Lauda colleziona le prime delle 26 vittorie in Formula 1. Lui ed il suo compagno di squadra Clay Regazzoni corrono con ottime vetture e concorrono al titolo di Campione del Mondo. Lauda agguanta il titolo l’anno successivo con una vettura tecnicamente molto superiore alle avversarie. Conquista 5 vittorie ed un ampio margine dal secondo classificato. Ha ribattezzato il 1975 "l’anno incredibile" proprio per la facilità e la naturalezza con cui vince. Il campionato successivo sembra destinato a concludersi nello stesso modo. Nel 1976 la sicurezza è ai minimi livelli e, durante il Gran Premio del Nurburgring - che ancora si correva sul vecchio tracciato da oltSCARICA IL VIDEO!!re 12 km - Niki Lauda ebbe un gravissimo incidente dal quale uscì segnato per sempre. Le conseguenze più gravi le ebbe a causa dei ritardi dei mezzi di soccorso che, su una pista così lunga, impiegavano moltissimo tempo ad arrivare. Solo il coraggio di tre piloti, Edwards, Eartl e, soprattutto, Merzario, lo strapparono alla morte. Rimane in coma e per qualche ora la sua vita sembra appesa ad un filo. Comunque riesce a riprendersi e, mostrando un coraggio difficile da eguagliare, dopo sei settimane è già al volante della sua Ferrari (solo dopo molti anni dichiarerà che quel giorno era pietrificato dalla paura). Il ritorno alle gare di Lauda gli frutta, a Monza, uno sbalorditivo quarto posto. Si arriva all'ultima gara - il Gran Premio del Giappone - con Lauda ancora in testa alla classifica. La gara inizia sotto una pioggia torrenziale e, dopo due giri, Lauda si ritira dicendo che è da pazzi correre in quelle condizioni. Il titolo lo vince l'inglese Hunt per solo un punto.
Nel 1977 Lauda si avvia a vincerà il suo secondo campionato, ma i rapporti con la Ferrari si deteriorano tanto da fargli abbandonare la squadra prima della fine della stagione.
La separazione non è amichevole e solo dopo molto tempo Lauda ritratterà molte delle critiche mosse alla squadra. Lauda non si è mai fatto intimorire da Enzo Ferrari e non ha gradito la situazione che si è creata e le parole accese che gli sono state rivolte dal Drake dopo il suo ritiro nella gara del Giappone.
Nel 1978 corre con la Brabham di Bernie Ecclestone e Gordon Murray ma non arrivano i successi sperati. Il 1979 è l'anno peggiore per Niki, la scarsa competitività della Brabham e l'arrivo di un giovane arrembante, tale Nelson Piquet, lo inducono alla decisione di ritirarsi dalle corse.
Per le due stagioni successive si dedica alla sua compagnia aerea e fa il commentatore per la televisione tedesca. Niki Lauda rientra in Formula 1 nel 1982 per, da sua stessa ammissione, problemi finanziari. La compagnia aerea che ha aperto è sull’orlo della bancarotta. Firma con Ron Dennis e la McLaren.
Nessuno credeva che Niki potesse di nuovo competere per il titolo ma lui, una volta di più, mise tutti a tacere vincendo il campionato nel 1984 precedendo il compagno di squadra Alain Prost, per solo mezzo punto!

Il suo successo, oltre che alle sue indiscusse abilità di pilota, è dovuto anche a due fattori che vengono spesso trascurati. Il primo è la sua onestà nei confronti degli altri, avversari e non, nella misura in cui loro lo sono con lui. Il secondo è la sua totale dedizione a quello che fa.

Galleria Fotografica


Monte Carlo,1976


Nurburgring,1975


Monte Carlo, 1972


Watkins Glen, 1975


Monte Carlo, 1976


Zandvoort, 1975


Jarama, 1974


Nurburgring, 1976

Monte Carlo, 1983


Estoril, 1984


Monte Carlo, 1978


Fuji, 1976

Il suo secondo ed ultimo addio alle corse avviene ad Adelaide nel 1985, anche questo, nel suo stile: veloce e senza fronzoli. La sua McLaren sta volando sul rettilineo ma, alla staccata, i freni anteriori non rispondono: la via di fuga ferma la vettura, lui scende e scompare dietro le barriere senza guardarsi indietro una sola volta.

Da oscuro gregario a campione acclamato. È tutta qui, se vogliamo, la particolarità della carriera di Nigel Mansell, pilota passato alla storia per la sua grinta, il suo coraggio, il suo non arrendersi mai neppure di fronte alla sorte troppe volte avversa.
Non era un grande tattico, non aveva la visione di gara di un Lauda o di un Prost né il perfezionismo di Senna: il suo obbiettivo era l’avversario da sconfiggere, da demolire anche psicologicamente, a colpi di giri veloci. Se l’avversario era dietro il suo obbiettivo era fare il vuoto, se era davanti non si dava pace fino a quando non entrava nel suo mirino. Aveva la straordinaria capacità di tenere altissimo il ritmo per una corsa intera, senza le pause che tipicamente un pilota si concede anche nelle corse più combattute e lo faceva fino alla fine, quando usura dei pneumatici e consumi avrebbero consigliato maggiore prudenza. Questo suo modo di correre, senza pace, senza tregua, fece letteralmente impazzire il suo principale avversario, Nelson Piquet, fino a fare sparire dalle labbra dello “zingaro” il suo mitico sorriso ironico.

Nell’ambiente della F.1 Mansell è stato, per ragioni uguali ed opposte, amatissimo dai tifosi e detestato dai critici. La folla ammirava il suo coraggio e la sua dedizione alla lotta allo stesso modo con cui i critici detestavano gli errori in cui, di tanto in tanto, cadeva. Allo stesso modo gli addetti ai lavori difficilmente tollerano chi non ha fortuna: non di certo per antipatia personale ma, più probabilmente, perché, chi vive dell’analisi di uno sport, difficilmente è propenso ad ammettere che qualche cosa di sfuggente, di non controllabile come il caso possa essere stato determinante in un risultato, preferisce ignorarlo e trovare una spiegazione “logica” anche là dove non può esserci. Per i tifosi, quindi, Mansell aveva perso ben tre mondiali solo perchè “sfortunato”, mentre per i critici era irrimediabilmente “sprecone” ed “inconcludente”.. 

Quello che in realtà gli addetti ai lavori non hanno mai perdonato a Mansell era il fatto di essere un “parvenu”, un “intruso”, uno che si era distaccato dalla mediocrità a cui sembrava condannato ed essere entrato all’improvviso, senza neppure chiedere permesso, nel giro dei piloti che contano. Quando un giovane pilota comincia a dimostrare le proprie doti, i “divi” dell’ambiente tentano in tutti i modi di tenerlo alla larga, assumono un atteggiamento guardingo ed usano anche la stampa amica per cercare di screditarlo o, comunque, di guadagnare posizioni “politiche” che permettano di guadagnare tempo. Ma, psicologicamente, si preparano all’inevitabile scontro. Così è stato, ad esempio, con Senna e Schumacher.
Ma con Mansell era diverso. Quando comincia a mettere a soqquadro l’ambiente ha già 33 anni e la stessa età dei campioni più affermati dell’epoca. In cinque stagioni alla Lotus aveva fatto vedere ben poco, era solo una figura di secondo piano, il fido scudiero di Elio De Angelis. Difficile immaginare che, all’improvviso, questo scudiero si mettesse a correre come un pazzo e a demolire in termini velocistici il suo caposquadra. Nel 1986 rivoluziona l’ambiente della F.1: maltratta il suo compagno e manda all’aria tutte le previsioni che vedevano in una serrata lotta Prost – Piquet il filo conduttore della stagione. Solo adottando questa chiave di lettura è possibile capire il mito del “Leone” mai domo e del suo numero “5 rosso”.
Che in questo strano inglese, classe 1953 di Upton On Severn, protagonista delle formule minori in Gran Bretagna, ci fosse qualcosa di buono, lo aveva intuito il solito Colin Chapman, patron della Lotus, che lo mette sotto contratto a partire dalla stagione 1980. Nella casa inglese rimane cinque anni, fino al 1984: buone prestazioni in qualificazione, qualche piazzamento e niente di più; il “buon” comprimario di Elio De Angelis, all’epoca alfiere della Lotus.

Frank Williams simpatizza per lui e lo porta nella sua scuderia nel 1985, proprio quando comincia l’epopea del turbo Honda. Dopo una stagione di rodaggio (dove arrivano le prime vittorie), Mansell si scatena, sorprendendo tutti per grinta e velocità. Infatti nelle stagioni 1986 e 1987 è il grande protagonista: vince ben 13 gran premi dando spettacolo e facendo disperare il suo compagno di squadra, Nelson Piquet, che sembrava destinato ad una passeggiata trionfale in entrambe le stagioni. Ma la sorte, mai dalla sua parte, gli nega la conquista del titolo mondiale, assumendo sempre la forma di un pneumatico.

In Australia, ultimo G.P. della stagione 1986, la gomma scoppia mentre gestiva un comodo terzo posto più che sufficiente alla conquista del titolo che finirà poi, nelle mani di un incredulo Alain Prost. In Ungheria, nel 1987, una ruota maldestramente avvitata da un meccanico si stacca mentre era abbondantemente in testa: il colpo del K.O. al suo compagno di squadra si trasforma in un boomerang e rilancia un ormai sfiduciato Piquet. 

La disperata rincorsa che ne seguirà si concluderà tristemente a Suzuka dove un terribile incidente gli procura lo schiacciamento di due vertebre 

che gli impedisce di partecipare agli ultimi due gran premi.


MANSELL SPINGE FINO ALLO SVENIMENTO
Usa 1984: in una domenica rovente (42°) la Lotus di Mansell si ferma a pochi metri dal traguardo per la rottura del differenziale.
 Il pilota scende e spinge la monoposto fino a che il caldo e la disidratazione non lo fanno crollare, svenuto, sull'asfalto.


Il 1988 è un vero purgatorio: la Honda non ha perdonato la mancata conquista del titolo 1986 addebitandola alla lotta troppo concitata tra i due piloti della scuderia. Così l’astuto Ron Dennis ha gioco facile a strappare ad uno sfortunato Frank Williams i motori Honda. Contro le vetture di Senna e Prost nel 1988 nessuno può nulla, tantomeno Mansell, al volante di una Williams motorizzata Judd (un motore di F.3000 modificato per l’esigenza) e alle prese con i postumi dell’incidente. La sola nota positiva è un nuovo contratto con la Ferrari per la stagione successiva: era stato proprio il grande Enzo (morto nell’agosto di quell’anno) a volerlo assolutamente in squadra.
Alla Ferrari Mansell passa due anni. Nella stagione 1989 guida la casa di Maranello alla riscossa, infila due vittorie gioiello e compie la grande impresa della sua carriera: sul circuito dell’Hungaroring, notoriamente famoso per l’impossibilità a sorpassare, parte dalla tredicesima posizione e vince dopo aver “infilato” 11 avversari con sorpasso finale, memorabile, a scapito del grande Senna. Il 1990 è, invece, afflitto da troppi ritiri mentre Prost, suo compagno in quella stagione, lotta per il titolo. Dopo l’ennesimo abbandono durante il G.P. di Inghilterra, Mansell annuncia, mestamente, il suo primo ritiro.
Ma per il “Leone” non è ancora tempo di pantofole: Frank Williams lo richiama in fretta e furia e gli affida una delle sue Williams Renault. Se nel 1991, superate le difficoltà tecniche iniziali, lotta fino all’ultimo per il titolo con Senna e si classifica “solo” secondo (anche per colpa del solito pneumatico avvitato male, questa volta in Portogallo), nel 1992 domina completamente la stagione: troppo superiore tecnicamente rispetto alla concorrenza la Williams e troppo motivato il suo pilota. Mansell vince 9 G.P. su 16, si laurea campione con 5 gare di anticipo lasciando agli altri solo le briciole.
Questa formidabile stagione sarà, purtroppo, la sua ultima intera in F.1. Nel 1993 viene, infatti, appiedato per motivi “politici”: la Renault, impresa pubblica francese, vuole un pilota francese e lo sceglie in Alain Prost. Mansell si rifugia negli “States” dove vince il campionato di F.Cart.
Mansell farà qualche altra apparizione in F.1: nel 1994 ancora con la Williams dopo la morte di Senna, riuscendo perfino a vincere l'ultimo G.P. della stagione, e nel 1995 per soli due G.P. con la McLaren. I risultati sono scarsi e, dopo il gran premio di Monaco del 1995, Mansell annuncerà il suo ritiro, stavolta definitivo. A 42 anni, l’inesorabile passare del tempo ha ormai consumato gli artigli del “vecchio” Leone....



Il 27 maggio 1951 nel Gran Premio della Svizzera sul circuito di Bremgarten, prima prova del mondiale di quell'anno, debuttava a soli 22 anni Stirling Moss, il più grande pilota di tutti i tempi tra quelli che non hanno mai vinto un titolo mondiale di Formula 1. Nato il 17 settembre 1929 a Londra, Moss in dieci anni ha corso 66 Gran Premi vincendone 16 (percentuale molto alta) e stabilendo 16 pole positions e 20 giri più veloci in gara; malgrado queste cifre il pilota inglese è stato soprannominato "l'eterno secondo" a causa delle sue quattro piazze d'onore consecutive nel campionato del mondo.

La grande sfortuna di Moss è stata quella di incrociare la propria carriera con quella del più grande pilota di ogni epoca a livello di risultati, Juan Manuel Fangio, che dal '55 al '57 lo precedette nella classifica mondiale, mentre nel '58 fu battuto di un solo punto dal connazionale Mike Hawthorn, pilota della Ferrari che, pur avendo vinto un solo Gran Premio contro i quattro di Stirling, si aggiudicò il titolo a causa di un regolamento discutibile che premiava di più i piazzamenti che le vittorie. Dopo essersi piazzato terzo nella classifica dei campionati '59 '60 e '61 Moss si stava apprestando a dare l'ennesimo assalto all'iride per la stagione 1962 quando il lunedì di Pasqua in una gara fuori campionato a Goodwood ebbe un terribile incidente che pose fine alla sua carriera.

Tra le tante prestazioni memorabili del londinese va ricordata quella del 19 gennaio 1958 a Buenos Aires quando con la piccola Cooper-Climax a motore posteriore battè nettamente le ben più potenti Ferrari e Maserati che parteciparono a quella gara; inoltre fu il primo pilota a portare alla vittoria la gloriosa scuderia della Lotus a Montecarlo nel 1960.


La gara di F1 con meno iscritti di sempre

Anno 1958. La F1 sbarcava in Argentina, circuito di Buenos Aires, per il primo Gran Premio della stagione.



La Cooper di Moss

La gara era in programma il 19 gennaio. Erano passati 4 mesi dall'ultima gara di F1 a Monza, e durante l'inverno le varie scuderie avevano sviluppato nuovi modelli o migliorato gli esistenti.
Tuttavia, il regolamento tra le due stagioni era cambiato. Prima del GP d'Argentina la composizione delle benzine era libera, ma per la stagione 1958 venne reso obbligatorio l'uso di carburanti standard avio, quindi di derivazione aeronautica.
Vanwall e Brm si trovarono impreparati al cambiamento; di conseguenza decisero di disertare l'appuntamento oltreoceano per concentrarsi sul GP successivo. Quello di Monaco, a maggio!
Arrivarono a Buenos Aires solo 10 vetture. Eccole: 3 Ferrari D246, 6 Maserati 250F e una Cooper-Climax T43 a motore posteriore del Rob Walker Racing Team. Stirling Moss era alla guida dell'unica rappresentante del Regno Unito, mentre per il Cavallino gareggiarono Musso, Hawthorn e Collins. Le Maserati, schierate in forma privata a causa del ritiro del team ufficiale per motivi economici, furono a disposizione di Fangio, Behra, Godia, Gould, Menditeguy e Schell.


Moss festeggiato al traguardo
La gara fu avvicente. Moss la conquistò grazie a una accorta tattica, mettendo a registro due record per la F1: la prima vittoria per la Cooper e la prima per una vettura a motore posteriore. L'inglese non si fermò ai box per cambiare pneumatici, riuscendo a gestire il suo vantaggio su Luigi Musso. Hawthorn arrivò 3°, mentre Fangio giunse 4° davanti a tutte le altre Maserati. Collins fu l'unico ritirato per via della rottura dell'albero di trasmissione.
Moss negli ultimi giri fu costretto a rallentare a causa del consumo delle gomme. Una sosta ai box, tuttavia, non gli avrebbe fatto risparmiare tempo in quanto la sua Cooper non disponeva del fissaggio centrale. Musso, da parte sua, potè solo recriminare sul risultato finale; lui e il box Ferrari non si erano intesi bene sull'interpretazione della strategia di Moss, lasciandogli prendere un vantaggio incolmabile quando invece sarebbe stato meglio spingere sull'acceleratore.
Era un'epoca romantica per l'automobilismo, e di quella gara rimangono attuali solo le strategie suicide della Ferrari... Nella gara successiva, quella di Montecarlo, si ristabilì lo scorrere naturale degli eventi, con più di 30 iscritti (tra cui Bernie Ecclestone) e una straordinaria varietà di team e modelli.
Moss negli ultimi giri fu costretto a rallentare a causa del consumo delle gomme. Una sosta ai box, tuttavia, non gli avrebbe fatto risparmiare tempo in quanto la sua Cooper non disponeva del fissaggio centrale. Musso, da parte sua, potè solo recriminare sul risultato finale; lui e il box Ferrari non si erano intesi bene sull'interpretazione della strategia di Moss, lasciandogli prendere un vantaggio incolmabile quando invece sarebbe stato meglio spingere sull'acceleratore.
Era un'epoca romantica per l'automobilismo, e di quella gara rimangono attuali solo le strategie suicide della Ferrari... Nella gara successiva, quella di Montecarlo, si ristabilì lo scorrere naturale degli eventi, con più di 30 iscritti (tra cui Bernie Ecclestone) e una straordinaria varietà di team e modelli.

La vettura bianco-blu guidava in quel pomeriggio di primavera sereno e festoso il Gran Premio di San Marino. Dietro di lei, come una minaccia, c'era una Ferrari. Non una Ferrari qualunque, ma "la" Ferrari di quegli anni, la numero 27, che aveva perso il suo eroe l'anno prima, ma che grazie al suo indimenticato alfiere era entrata nel mito. Dunque la vettura bianco-blu precedeva la numero 27 e Imola, che l'anno prima aveva assistito al duello fratricida tra i due ferraristi e li aveva persi entrambi pochi Gran Premi dopo, stava col fiato sospeso. Aspettando quella vittoria, che, sul Santerno, avrebbe "vendicato" il ricordo di Gilles Villeneuve. E chissà cosa sono il destino, l'ansia di rivincita o il dolore.

La vettura bianco blu alle Acque Minerali uscì di pista in una fumata di polvere. Dalle tribune le bandiere rosse che animano i circuiti di tutto il mondo, ma che solo a Imola e a Monza sanno essere crudeli e commoventi allo stesso tempo, si alzarono gioiosamente al cielo accompagnate dal boato del pubblico. Patrick Tambay stava onorando la memoria di Gilles Villeneuve. Su un muretto delle Acque Minerali Riccardo Patrese stava assaporando, tra i fischi e lo sventolìo di bandiere rosse, quanto è amaro essere piloti italiani su circuiti ferraristi. Quando penso alla carriera di Riccardo Patrese il ricordo vola sempre a quella giornata di Imola, perché anch'io ho fatto un salto di gioia vedendolo uscire di pista. Perché invece di pensare al trionfo di un pilota italiano esigevo la memoria di un pilota canadese volato via. E' stato "il senso di colpa" di quel pomeriggio romagnolo a render caro alla mia memoria Riccardo Patrese, uno dei migliori e più sottovalutati piloti italiani degli ultimi anni, il decano di tutti i piloti della Formula 1. Le sue 256 presenze sono ancora oggi un record lontano da ogni possibilità di essere battuto.

Nella sua lunghissima carriera Rick ha corso per le squadre di serie B e per i top team, distinguendosi sempre per tenacia, velocità e sfortuna. Ha conosciuto la delusione delle promesse non mantenute e l'euforia della vittoria, la crudeltà dei colleghi e il rispetto e la stima dei top manager. Non ci sono imprese epiche né grande fortuna nel passato del ragazzo di Padova. All'inizio della carriera correva per squadre disastrate che ne rendevano difficile la visibilità, ma è riuscito, nonostante tutto, ad affacciarsi alla pole position con la Arrows dei primissimi anni '80. Non ha mai goduto di buona stampa: il suo carattere chiuso, la timidezza e la sfortuna, davvero tanta, tenace e incredibile, gli facevano preferire altri colleghi. E a metà degli anni '80 il pubblico e i media italiani gli preferivano Michele Alboreto, tanto popolare e sopravvalutato perché correva per la Ferrari infelice del dopo-Villeneuve. E poi, quando al termine della carriera, è approdato in un top-team e ha potuto esprimere se stesso e il proprio talento, era in squadra con Nigel Mansell, l'unico pilota che abbia saputo stringere, per qualche arcana ragione, un rapporto di amore e odio tanto intenso con Frank Williams.

Ma a leggere bene gli anni di Riccardo Patrese si trova tanta storia della Formula 1 moderna. E ci sono tre momenti indimenticabili, tutti, è nello stile del vecchio Rick, negativi per lui. Sono Monza '78, Imola '83 ed Estoril '92. A Monza Riccardo fu vittima della peggiore vigliaccata che i piloti di Formula 1 e la loro associazione abbiano mai commesso nei confronti di un collega.Ricordo la confusione e l'incidente che coinvolse un numero incredibile di vetture.Il giorno dopo Ronnie Peterson, uno dei piloti più apprezzati di quegli anni, morì all'ospedale Niguarda per le conseguenze di quell'incidente e nel dolore di quella morte il suo Paese, la Svezia, rinunciò alla Formula 1. Riccardo fu accusato dai colleghi di aver innescato l'incidente con una manovra azzardata e fu considerato per gli anni successivi "il colpevole" della morte di Ronnie Peterson. L'associazione Piloti gli impedì di prendere parte al Gran Premio successivo. Patrese aveva allora 24 anni ed era uno dei piloti più giovani della Formula 1. Chissà quanta determinazione, quanta calma e quanta conoscenza di sé, in lui, per non ribellarsi pubblicamente e violentemente, per non denunciare costantemente l'impudenza e la crudeltà di quella esclusione e il trattamento da paria a cui fu sottoposto per anni, prima che Bernie Ecclestone lo chiamasse alla Brabham, facendone un top-driver. Alcuni anni dopo fu poi stabilito che non aveva alcuna responsabilità nella collisione fatale di Monza. Non risulta che alcuno dei colleghi, che tanto male cercarono di fare alla sua immagine e alla sua carriera, si sia scusato con lui. Tra loro, e questo mi dispiace sempre molto, c'era anche Niki Lauda. Di Imola '83 si è già detto: se c'è un momento nero nella storia del tifo ferrarista di questi anni, io lo identifico in quel Riccardo Patrese fermo alle Acque Minerali tra bandiere rosse e pubblico festante, tra fischi e scherno. Ti abbiamo mai chiesto scusa, per quel gesto, Rick? Avrei voluto che la Formula 1, dopo quel giorno, fosse più gentile di te. Dopo i successi con la Brabham (Rick ha vinto il GP di Monaco 1982 e il GP del Sudafrica per il team di Bernie Ecclestone), sono arrivati gli anni bui in Alfa Romeo e di nuovo in Brabham, culminati nella morte di Elio De Angelis, nel 1986, ma caratterizzati sempre dai buoni rapporti con i compagni di squadra, dallo stesso Elio a Eddie Cheever. E poi è arrivata la Williams.

Ricordo l'estate del 1987 in cui Frank Williams si divertiva a dribblare i giornalisti italiani, che intuivano l'ingaggio di Rick, e si lasciava scappare, di tanto in tanto, mezze parole per far crescere le aspettative. La Williams stava concludendo l'era Piquet-Mansell e dal 1988 avrebbe ceduto il primato a un'altra mitica coppia, quella di Alain Prost e Ayrton Senna Da Silva sulla McLaren. Era una delle squadre più importanti e più stimate della Formula 1, ma dal 1988 non sarebbe stata la più competitiva. Riccardo fece il suo dovere con onestà, arrivando a vincere alcune gare. Nel 1990 arrivò a prendersi la più bella rivincita della sua carriera, vincendo, in un tripudio di folla finalmente rispettosa e contenta, il Gran Premio di San Marino. Era l'anno del duello Prost su Ferrari-Senna su McLaren, ma il ragazzo di Padova aveva conquistato il rispetto e l'affetto dell'Italia, diventandone il suo più popolare rappresentante in Formula 1. Nella sua felicità Rick fu come sempre misurato e sorridente.

Nel 1992 ci fu lo spettacolare incidente dell'Estoril causato da Gerhard Berger, che al fianco di Ayrton Senna, in McLaren, si distinse in varie scorrettezze gratuite. Poco prima dell'ingresso della corsia d'ingresso ai box l'austriaco strinse contro la Williams di Rick. Il contatto fu inevitabile e la vettura dell'italiano decollò esibendosi in varie carambole, prima di andare a cadere a pochi centimetri dal muretto dei box. Come si suol dire, si sfiorò la tragedia. Ma Rick, ragazzo educato e tranquillo, non si esibì in nessuna sceneggiata né pretese la squalifica di Gerhard. Un altro stile, il suo.

Non si può dire che la sua carriera abbia subito il declino. Rick ha lasciato al momento giusto. Approdato alla Benetton alla vigilia dell'era Schumacher, a quasi 40 anni, affettuosamente chiamato "il nonno", stimato, rispettato e ancora nel block-notes dei top-manager più importanti, ha preferito lasciare il Circus con i suoi record e la sua lunghissima storia di pilota italiano e per questo non troppo fortunato. Del resto il mito non si allea mai con la fortuna.

Gli piaceva osservare i pesciolini del suo acquario.Quel piccolo mondo fatto solo di colori e nessun suono, lo affascinava e lo rilassava.Non diventò mai campione del mondo, per sfortuna o, forse, per una misteriosa congiuntura del destino.
Nato il 14 febbraio 1944 a Orebro, Svezia, cominciò come tanti, con i kart.In una corsa aveva il numero 41, l'italiano Sala il numero 1.Il numero 41 era un trampoliere nel nido, un gomitolo quasi, perchè non sapeva dove mettere le sue lunghe gambe.Il numero 1, uomo di Lilliput, era invece deciso e aggressivo.Vinse Peterson.Gli addetti ai lavori si chiedevano come facesse ad andare così veloce.Sui kart imparò l'arte del controsterzo e, controsterzando, arrivò in F.3 e vinse nel 1969 il G.P. di Monaco che è l'anticamera della F.1.Ancora una volta tutti si chiedevano come facesse ad essere così veloce.Il Montjuich, in Spagna, era un circuito per i curvatori di ventura che sapevano andare oltre il limite.Su un tratto in discesa, con curve e controcurva, lui sapeva infliggere decimi di secondo ogni giro ai suoi grandi rivali, Stewart e Fittipaldi.Quando alla Lotus lo costrinsero a fare in numero due di Andretti, lui accettò ma quando, durante le prove ufficiali di un gran premio, gli montarono delle gomme vistosamente inadatte, lui si lanciò in pista e segnò il record.Appena fermo ai box, ancora in macchina, alzò il dito medio verso Colin Chapman che l'aveva umiliato.Un giornalista faceva notare davanti alla televisione, il modo in cui vinse il gran premio d'Italia 1976.Lauda guidava la sua Ferrari respirando piano e sanguinando sotto il casco(era la sua prima corsa dopo il rogo del Nuerburgring);Hunt si piantava nella sabbia nel tentativo di rimontare;Regazzoni inseguiva invano il sogno di vincere per la terza volta sulla pista a lui più cara;l'asfalto era viscido ma Peterson sembrava libero da ogni problema di aderenza e costruiva la sua vittoria vanificando la resistenza degli avversari.







Debutta a Monaco il 10 maggio 1970, nel 1971 è vice campione del mondo e sfiora la vittoria, per un centesimo di secondo, nel gran premio d'Italia, il più veloce della storia, 246 Km/h.Nel 1972 vince, con la Ferrari, la 1000 km di Buenos Aires e, finalmente, nel 1973 la prima vittoria in F.1, in Francia l'1 luglio, alla fine del mondiale fu, di nuovo, vice campione.Seguiranno altre nove vittorie, in mezzo, piazzamenti, ritiri e incidenti."Crashed", così è scritto nelle classifiche."Crashed" al Cristal Palace,"Crashed" al Maillory park dove la sua March F.2 decollò su un terrapieno proprio in faccia a un pubblico ipnotizzato dalla sorpresa e dallo spavento."Crashed" a Silverstone.Tuttavia il suo albo d'oro non registra i suoi "Crashed" interiori, quando dovette scontrarsi non con terrapieni nè con guard rail ma con l'incomprensione e l'inadeguatezza meccanica che fece nascere lo slogan:il pilota giusto sulla macchina sbagliata.Pareva che tutta la vita di Peterson fosse dominata dall'attesa perchè, con gli anni, la sua storia era diventata sempre più incomprensibile, dato che i successi che le sue doti invocavano, non arrivavano.Anche Ferrari, dopo avergli affidato una sua vettura sport, non volle saperne di dargli una F.1.E Ronnie si portava dietro tutto quanto con leggerezza anche se il suo sguardo era sempre più malinconico e rassegnato.Arrivò a quel gran premio d'Italia, il 10 settembre 1978,  sempre più solo con se stesso.Chapman gli aveva fatto un'altro sgarbo affidandogli una Lotus vecchia di un anno per paura che desse fastidio a Andretti, il campione predestinato.Babro, la moglie, era lontana con la figlia Nina e anche il suo orso portafortuna, che teneva sempre nell'abitacolo, quel giorno non c'era.Fu un gran premio di trecento metri.
Si partiva da una strada larga che stringeva all'avvicinarsi della prima variante.Ronnie s'infilò nell'imbuto con macchine
davanti,dietro, a destra e a sinistra.Accadde qualcosa e fu ancora "Crashed".Dal groviglio spuntarono le fiamme ma lo tirarono fuori in tempo, la sua macchina era ridotta a brandelli.Finalmente lo portarono via in barella e Ronnie alzò un'ultima volta la testa per guardarsi la gamba fratturata in sette punti.All'ospedale gli riscontrarono ustioni e altre fratture, lo operarono subito e l'intervento durò sette ore.Alle 4.30 del mattino sopravvenne una grave crisi respiratoria e renale.Alle 7 non c'è più speranza e alle 10.10 Ronnie Peterson era ormai un ricordo.Con glaciale freddezza Colin Chapman commentò: "Succede".Mario Andretti, il compagno di squadra, entrò nel cortile dell'ospedale, gli dettero la notizia e non scese neppure dall'auto.Sui giornali tanti articoli contro le corse con foto di Peterson in prima pagina.In quel mare di parole inutili e ipocrite Ronnie pare affondare nel suo acquario dove il riflesso del suo viso si mescola ai pesciolini rosso e oro.Un mondo piccolo, fatto solo di colori e nessun suono.

A metà degli anni '80 in Formula 1 c'erano due modi di essere brasiliani. Uno era quello mistico, tormentato e nostalgico di Ayrton Senna e l'altro era quello solare, irriverente e scherzoso, spruzzato dalla saudade, di Nelson Piquet.
A metà degli anni '80 Nelson Piquet, che aveva già vinto due dei suoi tre titoli mondiali (il terzo sarebbe arrivato nel 1987 con la Williams), era il pilota più amato del Circus, beniamino dei tifosi di tutto il mondo, più volte trionfatore di Monza, ogni volta accolto con un entusiasmo e accompagnato sempre da donne bellissime. Lo chiamavano lo "zingaro" della Formula 1 perché abitava in una bella barca nel porto di Montecarlo, così da essere sempre pronto a nuove avventure nei porti mediterranei.Si spostava con un aereo che si era regalato dopo la conquista del secondo titolo mondiale e che aveva imparato a guidare nell'inverno del 1983 dalle parti di Reggio Emilia, facendo impazzire le teen-agers della zona.Sosteneva di essere pigro, di amare la compagna del momento e i figli lontani e di essere gelosissimo della sua vita privata. Era un uomo, Nelson, come non ce ne sono stati più in Formula 1 e di cui si fa bene ad avere sempre nostalgia.

Aveva la fama di sciupafemmine (tra i suoi flirt, mai confermati né smentiti, figura anche la principessa Stephanie di Monaco), di indolente e di bontempone (memorabili, negli anni della Williams, gli scherzi in Messico a un Nigel Mansell affetto dalla "maledizione di Montezuma"). Eppure quando questo brasiliano fascinoso e sorridente, amante della battuta salace, pronto alla polemica più cattiva, saliva sulla sua vettura, incantava le folle per maestria, intelligenza e astuzia. Sulla griglia di partenza era l'unico pilota di vertice che scherzava con i giornalisti sull'avvenenza delle donne presenti o che mandava a quel paese con una battuta pepata un intervistatore per la stupidità delle sue domande e poi, in gara, velocissimo, intelligente e mai in difficoltà psicologiche, si imponeva sui rivali. Nelson sembrava un gatto che gioca con il topo. Fu così nel 1981, con un Carlos Reutemann indebolito dalle rivalità interne della Williams, nel 1983, con un Alain Prost allora impetuoso e alla ricerca del primo titolo, nel 1987, con un Nigel Mansell come sempre sprecone e inconcludente. Piquet non ha mai dominato un Campionato mondiale, tutti i suoi titoli li ha vinti all'ultima gara, dimostrando una notevole tenuta psicologica. Durante la stagione i suoi rivali si sfogavano, stravincevano e dominavano, poi, nel corso dell'estate Nelson, che aveva già accumulato una serie di buoni piazzamenti, segnava i punti a suo favore con vittorie belle e difficilmente sofferte fino a presentarsi all'ultima gara pronto per la sfida decisiva. E non l'ha quasi mai persa: l'unica volta che è successo, nel 1986, è stato perché il suo team, la solita Williams sprecona, non ha saputo, oh novità, gestire le rivalità interne.

Veloce, astuto e intelligente, queste le sue principali qualità, affinate, nei primi anni di Formula 1, accanto a Niki Lauda. Anche negli anni dei grandi trionfi Nelson Piquet ammetteva senza reticenze gli insegnamenti dell'austriaco: "Lui faceva il suo lavoro, ma io ho avuto la capacità di osservare e di imparare" diceva sottolineando il suo ruolo attivo. Una differenza con il grande Niki? Secondo alcuni Piquet era più veloce, secondo Nelson Niki pensava molto più di lui ai soldi, secondo Niki Nelson era incosciente perché non pensava alla sicurezza, tema sul quale invece lui, dopo l'incidente del Nuerburgring, era diventato molto sensibile. Il primo rivale del pilota brasiliano è stato Alain Prost. Le sane battaglie tra i due sono sempre state corrette e oneste, mai una polemica di troppo, neanche quando, nell'estate del 1983, Alain spedì Nelson sulla sabbia a Zandvoort, in una manovra azzardata che non avrebbe più ripetuto alcuni anni dopo. Un incidente di gara, lo definì Nelson, che allora sembrò dove dire addio al titolo per quel ritiro. Che tempi diversi, però! Il direttore sportivo della Renault corse alla Brabham per scusarsi dell'errore di Prost e lo stesso Alain, che fu costretto al ritiro per le conseguenze di quell'incidente, corsero a scusarsi con il collega. Poi, è cronaca, il titolo andò a Piquet, in un indimenticabile Gran Premio del Sudafrica. Subito dopo apparve la stella di Ayrton Senna Da Silva, il giovane brasiliano predestinato alla vittoria di cui Nelson iniziò a sentire presto la rivalità in patria. Le punzecchiature e le battute cattive su Ayrton non si contano. La più terribile, a parte quella sulla presunta omosessualità di Ayrton, che gli costò il perpetuo rancore del compatriota, è quella detta subito dopo il passaggio dalla Williams alla Lotus: "Vado a mettere a posto la macchina che Senna non ha saputo mai sistemare". Poi la Lotus ha continuato il suo declino mentre Ayrton Senna, negli stessi anni si aggiudicava due titoli mondiali con la McLaren. Dopo l'incidente di Imola Nelson è stato ammirevole nella sua coerenza: non avendo mai amato Ayrton in vita, non è andato, al contrario di molti, al suo funerale "perché non è opportuno". E in quella mancanza di opportunità ha avuto rispetto per la prima volta, del talento del rivale.





 Canada 1984: singolare scenetta sul podio dove il vincitore Nelson Piquet sollevò il piede destro nudo,
fortemente arrossato per le ustioni causate da un nuovo radiatore dell'olio posto all'interno del musetto della sua Brabham,
 non adeguatamente isolato dalla pedaliera.

L'ultima vera rivalità in Formula 1 è stata quella che lo ha separato da Nigel Mansell. Negli anni trascorsi alla Williams il carattere allegro e scherzoso di Nelson divenne più spigoloso e duro. La difficoltà dei rapporti interni, caratteristica del team inglese e accentuata in quel periodo dal drammatico incidente che costrinse Frank Williams su una sedia a rotelle, il timore di veder favorito il compagno di squadra, da lui considerato meno intelligente, e, soprattutto, il "tradimento" del suo contratto di prima guida da parte della Williams, innervosirono profondamente Piquet. La perdita del titolo mondiale 1986, buttato al vento dalla Williams in un rocambolesco Gran Premio d'Australia, che vide il ritiro di entrambe le vetture e vincitore del Campionato, a sorpresa, Alain Prost, fu la goccia che fece traboccare il vaso: il brasiliano decise che non appena fosse stato possibile avrebbe abbandonato la squadra, lasciando Mansell e Williams al loro irrisolto rapporto. Nel 1987 Nelson ebbe uno spaventoso incidente a Imola, alla curva del Tamburello, fatale per il tifo brasiliano. La sagoma della sua vettura rimase per qualche giorno impressa sul muretto della Tamburello, mentre l'Italia intera seguiva affettuosamente le vicende del suo campione non ferrarista più amato. Per precauzione Nelson, che non aveva riportato gravi ferite, fu tenuto in ospedale e saltò il Gran Premio. Poi, ammise alcuni mesi dopo a Suzuka, il fantasma di Imola rovinò le sue notti e gli fece cambiare stile di vita. Nel 1987 un Nelson Piquet ritrovato, ormai conscio della squadra per la quale correva, si divertì davvero come un gatto astuto con un topolino fragile e pasticcione. Vinse il Campionato con sole tre vittorie contro le sei del rivale, ma con un numero di piazzamenti maggiore e una gestione della stagione più intelligente. Quando a Suzuka Mansell, già in pole-position, ebbe il pauroso incidente in prova che gli costò il Mondiale, Nelson non riuscì a nascondere un ghigno un po' diabolico per la stupidità dell'inglese. E in un liberatorio incontro con i giornalisti si sfogò finalmente, raccontando delle paure di Imola e difendendo con foga il suo titolo mondiale. Perché il Campionato lo si vince non nell'ultima gara, ma durante l'intera stagione, sapendo rinunciare al "piede" quando serve la "ragione". E lo si perde andandosi a stampare nelle protezoni di Suzuka quando si hanno in mano Campionato Mondiale e pole-position perché non si sa usare la "ragione". Dopo Suzuka Nelson ritrovò il buonumore, il sorriso e l'irriverente voglia di tirare scherzi. Ha chiuso la carriera alla Benetton, dove avrebbe dovuto "svezzare" un giovanotto che non ha avuto la sua umiltà nell'imparare da un maestro, non è illuminato dalla sua allegria ed era già allora vittima del complesso di superiorità che gli sarebbe costato poi un paio di titoli mondiali. Michael Schumacher, insomma. E' stato l'ultimo pilota amatissimo e popolarissimo durante la sua carriera. Perché questo brasiliano dall'italiano cantilenante sia stato in Italia a volte più amato dei piloti della Ferrari, perché la stampa inglese non si sia mai scatenata contro di lui negli anni della feroce rivalità con Mansell, perché fosse difficile trovare qualcuno che lo detestasse, anche negli anni dei trionfi, quando era più facile odiarlo, è difficile da spiegare. Era un uomo, come è già stato detto, come non ce ne sono più in Formula 1 e di cui è bello sentire sempre nostalgia. Ciao Nelson, e che la vita continui a sorriderti, nel tuo Brasile ritrovato, come in quei fantastici anni '80 in cui eri il volto sorridente e luminoso della Formula 1.


Alain Prost voleva diventare un giocatore di calcio invece, ha vinto quattro volte campionato del mondo di formula 1 ed è stato il pilota con più vittorie in carriera, 51, fino a quando Michael Schumacher, non gli ha tolto il primato nel 2001.Questi due dati bastano per inserirlo, senza dubbio, fra i piloti più grandi di tutti i tempi. Alcuni lo criticavano per il suo modo da "calcolatore" di guidare ma non è sempre stato così.Nel corso della carriera, il suo stile di guida è cambiato.Dopo aver dominato in formula due, la McLaren gli offrì una vettura e debuttò in Argentina nel 1980.La scuderia inglese era, però, in piena crisi tecnica e gestionale quindi Alain non poté ottenere quei risultati che molti si aspettavano.A fine stagione decise di lasciare la squadra.

Nel 1981 firmò per la Renault.La scuderia transalpina aveva l'ambizione di conquistare il primo mondiale con un motore turbo e con una squadra tutta francese, l'altro pilota era, infatti, René Arnoux.Quell'anno rischiò di vincere il titolo ma, la poca affidabilità della vettura ed i dissidi col compagno di squadra, gli impedirono di raggiungere l'obbiettivo.Accadde la stessa cosa nel 1982 e nel 1983.Alain lasciò quindi la Renault e tornò alla McLaren che non era quella del debutto ma aveva un nuovo proprietario, Ron Dennis, che l'aveva rifondata e resa competitiva.Il suo compagno fu, nel 1984 e 1985, Niki Lauda.Il "ragioniere" diede una svolta alla carriera di Prost perché, da lui, imparò come si gestisce una gara e, soprattutto, un campionato.Quell'anno, malgrado sette vittorie contro quattro dell'austriaco, "riuscì" a perdere il titolo per solo mezzo punto!! Imparò la lezione e, nel 1985, vinse il primo titolo bissato l'anno successivo grazie ai piazzamenti ed alla capacità di gestire la corsa.


Nel 1988 e 1989 ebbe come compagno Ayrton Senna, l'astro nascente della F.1.Fu l'inizio della più grande rivalità mai vista nel mondo dello sport.L'antipatia era vicendevole.Prost sapeva che Senna era più forte di lui e Senna sapeva che, per battere Prost, non bastava essere più veloce di lui.Alain, infatti, grazie alla "protezione" dell'allora presidente della F.I.A., Balestre, riuscì a togliere al brasiliano un titolo vinto sul campo.Durante il G.P. del Giappone 1989, decisivo per il titolo, Senna tenta di superare Prost e il francese lo butta fuori.Senna riprende la corsa e vince ma, la F.I.A., squalifica il brasiliano per "taglio di chicane".Da quel momento è guerra totale e, l'anno dopo, Senna butterà fuori pista Prost, nel frattempo passato alla Ferrari, sempre nel G.P. del Giappone, togliendo al francese la possibilità di lottare per il titolo nell'ultima gara.Nel 1991 Prost corre ancora con la Ferrari ma la stagione è fallimentare.Le continue dichiarazioni contro la scuderia e l'incapacità del francese di sistemare la vettura, fanno si che il rapporto con la scuderia di Maranello termini due gare prima della fine della stagione.Nel 1992, Alain Prost, non corre, torna nel 1993 col team Williams e vince il suo quarto titolo.Alla fine della stagione si ritirerà definitivamente perchè riteneva che le vetture fossero troppo pericolose.I fatti del 1994 gli diedero, purtroppo, ragione.Nel 1997 rileva il team Ligier e lo ribattezza Prost grand prix.

Jochen RindtNasce in Germania nel 1942 da genitori aJochen Rindtustriaci e tedeschi che morirono durante un bombardamento nel 1943.Visse a Graz, in Austria, con i nonni.La passione per le corse, iniziò nel 1962. Gareggiò con una non competitiva Formula Junior Cooper nel 1963 e fu molto sorpreso quando la Ford gli propose di guidare una Brabham - Cosworth F.2 nel 1964.Si fece notare in due gare, a Mallory Park, dove giunse secondo, e a Crystal Palace, dove vinse.Per questi risultati, la Cooper gli chiese di affiancare Bruce McLaren nel campionato di F.1 del 1965.

Rindt in Cooper T77Le Cooper non erano competitive quell'anno e gli consentirono solo un quarto e un sesto posto nei G.P. di Germania e U.S.A..Lo stile di Rindt era particolare, apparentemente remissivo ma, in realtà, veloce e redditizio.Corse la 1000 Km del Nuerburgring con una Porsche in coppia con Bonnier e finì terzo, vince la 24 ore di Le Mans, corre nel campionato NART con una Ferrari insieme a Masten Gregory, infine con la Ford.Continua anche a correre in F.2 ed ottiene ottimi risultati tanto da diventare un eroe nazionale.

Le stagioni in F.1 con la Cooper furono deludenti a causa della scarsa competitività della vettura.Le soddisfazioni arrivano dalla F.2.nel 1967 vinse nove gare.Ebbe anche un pauroso incidente nel tentativo di qualificare una Eagle ad Indianapolis.

Rindt flashing to victory at MonacoNel 1968, Jochen, divenne il numero due alla Brabham Repco V-8, ormai giunta alla fine della sua la vita competitiva.Sembrava che Rindt, sbagliasse sempre vettura e molti si chiedevano se mai avrebbe vinto un G.P..Fra questi c'era Denis Jenkinson, giornalista celebre, che dichiarò che, se Rindt avesse vinto un Gran Premio, si sarebbe tagliato la sua celebre barba.Jenkinson avrebbe dovuto onorare presto il suo impegno.

Alla fine dell'anno Rindt firma col team Lotus e,come compagno, ha Graham Hill. Il suo primo anno fu segnato per un brutto incidente durante il G.P. di Spagna.Ne uscì con una mascella rotta e una commozione celebrale.Fortunatamente si ristabilisce presto, ma risente di qualche problema alla vista e all'equilibrio per qualche tempo.A Watkins Glen Rindt vince il suo primo G.P. e Jenkinson, si taglia la barba!!. La felicità venne guastata dal grave incidente occorso a G. Hill che si frattura le gambe.


Jochen Rindt  con la moglie Nina a Monza













rindt17.jpg (19647 bytes)Nel 1970 è il pilota di punta della Lotus che progetta la rivoluzionaria e, in seguito, leggendaria "72".Non viene però utilizzata nelle prime gare ma anche il modello 49c, risulta competitivo e consente a Rindt di conquistare una vittoria a Monaco dopo una rimonta leggendaria ai danni del "vecchio" Brabham.Una gara fantastica con sorpasso all'ultimo giro.Il nuovo modello debutta in Olanda e consente a Rindt di vincere altre quattro gare e di ipotecare il titolo mondiale.Durante il G.P. d'Olanda, muore il suo Amico Courage e molti sono convinti che si ritirerà a fine stagione.Arriva al G.P. d'Italia con un consistente vantaggio in classifica e voleva chiudere il campionato proprio in questa gara.Durante le qualificazioni del Sabato, la Lotus 72 impazzisce alla fine del lungo rettilineo prima della parabolica.La vettura si disintegra contro il guard-rail e Jochen muore sul colpo

La perdita di Jochen, alla vigilia della conquista del titolo, sconvolse il mondo delle corse.Jacky Ickx aveva ancora la possibilità di superare i punti totali di Rindt ma la vittoria di Emerson Fittipaldi, su Lotus 72, al G.P. di U.S.A., assicurò il titolo allo sfortunato pilota austriaco.Karl Jochen Rindt diventa campione mondiale postumo.

 


Michael Schumacher
Veni Vidi Vici

7 VOLTE MICHAEL SCHUMACHER


 

Il ritorno in Formula 1.

Il 29 luglio 2009, in seguito all'infortunio di Massa durante le qualificazioni del Gran Premio d'Ungheria, la Ferrari annunciò il ritorno alle corse in Formula 1 di Schumacher. Sarebbe stato il tedesco a correre per le restanti gare della stagione 2009, a partire dal Gran Premio d'Europa a Valencia, al fianco di Räikkönen. L'11 agosto, tuttavia, Schumacher (dopo alcuni test effettuati in pista) comunicò di dover rinunciare a disputare le restanti gare della stagione con il team di Maranello a causa di alcuni problemi al collo risalenti ad un incidente in moto avvenuto sei mesi prima.
A fine stagione si susseguirono una serie di rumors circa un incontro tra lo stesso Schumacher e Ross Brawn (proprietario della Brawn GP, team neo-campione del mondo) che avevano vissuto insieme le esperienze in Benetton e Ferrari nel quale si parlò di un possibile ritorno del sette volte campione del mondo, al volante della Mercedes. Il 29 dicembre 2009 il clamoroso annuncio.
La decisione di tornare si rivela infelice e senza soddisfazioni, perdendo il confronto col compagno di squadra Nico Rosberg e conquistando solo un podio.
Alla fine del 2012 viene "costretto" al ritiro definitivo per far posto a Lewis Hamilton.

A fine carriera i record da registrare sono tanti.
7 titoli mondiali, 5 consecutivi, 91 vittorie, 68 pole, 77 giri veloci, 155 podii, 1488 i punti totali, 148 punti in un'unica stagione, 22 le triplette (pole, miglior giro e vittoria), 13 vittorie in una stagione, 17 podii in un campionato.
Tra i record più invidiati anche quello dei guadagni. Il ferrarista è stato in testa alla classifica dei 'paperoni' dello sport con 100 milioni di euro all'anno. Cifre di fronte alle quale impallidiscono perfino le stelle del calcio.

In diciotto anni
di carriera Michael Schumacher ha dimostrato di essere all'altezza dei più grandi piloti del passato, i suoi record saranno l'obbiettivo delle generazioni future di piloti.

Come tutti i grandi campioni aveva i suoi difetti ma indubbiamente è stato il pilota che meglio ha saputo interpretare la formula 1 moderna fatta di elettronica e strategie di gara.Alla fine della carriera gli rimarra comunque la nostalgia di non aver potuto misurarsi fino in fondo con lil grande Senna ma, in ogni caso, è stato l'emblema del cambiamento che la formula 1 ha avuto in quegli anni.


partecipò, tra il 1965 e il 1973, a 99 Gran Premi di Formula 1, partì 17 volte in pole position, vinse 27 gare e divenne tre volte Campione del Mondo: nel 1969 su Matra­Ford, nel 1971 e nel 1973 su Tyrrell-Ford.
Nato nel 1939 in Scozia, a Durnbuck, fece il benzinaio nel garage di suo padre, e divenne tecnico specializzato in motori frequentando corsi serali. Vinse quattro campionati di tiro al piattello. Nel 1961 partecipò alla sua prima gara con una vettura sportiva Marcos. Nel 1962 si ritirò dal tiro al piattello, nel 1963, uscito di casa alla chetichella, corse con lo pseudonimo "A. N. Other” per la scuderia scozzese Ecurie-Ecosse. 
Nella maggior parte dei casi vinceva. Quando Ken Tyrrell gli offrì un posto in Formula 3, rifiutò un contratto quinquennale di 3.000 sterline, stipulando, con una stretta di mano, un contratto annuale. Nel 1964 vinse 12 gare su 53. Nel 1965, passato con la BRM in Formula 1, vinse il suo primo Gran Premio, a Monza.






Preparing to do battle

Nel 1966 a Spa un acquazzone lo spazzò via dalla pista. Rimase incastrato nel cockpit della BRM: i serbatoi scoppiarono. Graham hill, anche lui sul bordo della pista, lo liberò da quella situazione.La frattura alla clavicola guarì più rapidamente dei ricordi. Il risultato fu uno Stewart più maturo che, divenuto ancora più veloce grazie all’autocritica, intraprese una crociata per una maggiore sicurezza nello sport automobilistico.
Per Stewart l’amico Jochen Rindt non solo era l’avversario più  duro, ma anche un compagno di lotta per la sicurezza. Stewart dichiarò al Nurhurgring: "Cos’è cambiato qui dai tempi di Caracciola? Niente, solo gli alberi sono diventati più fitti. Spariamo gli uomini sulla luna e li riportiamo a casa sani e salvi. Perché i piloti devono morire subito?”. 

Subito dopo l’incidente mortale di Rindt, nel 1970 a Monza, Jackie corse il suo giro di prova più veloce: “Ken Tyrrell mi disse: escine subito, ed aveva ragione. Al rientro da quel giro, qualcuno mi diede una bottiglia di Coca Cola, la scagliai contro un muro e mi fu chiaro come tutto quanto non avesse alcun senso... Stewart fu il primo pilota che si fece commercializzare dall’agenzia di professionisti McCormack. Si ritirò nel 1973. Tornò in Formula 1 nel 1997 con una propria scuderia


Gilles Villeneuve

Gilles Villeneuve nasce in Quebec il 18 gennaio 1950. Cresce tra gare di Formula Atlantic e di motoslitta. Lui stesso accredita parte del suo successo a queste gare: "Ogni inverno potevi contare tranquillamente su tre o quattro ribaltamenti - e sto parlando di correre sul ghiaccio a circa 160 kmh. Le gare su queste slitte volanti mi hanno dato una grandissima esperienza nel controllo della vettura. E la visibilità era terribile! A meno che tu non fossi primo, non riuscivi a vedere nulla a causa di tutta la neve che sollevava chi ti precedeva. E’ stata un’ottima esperienza per velocizzare i miei tempi di reazione; inoltre nelle gare sotto la pioggia riesco a guidare in maniera abbastanza tranquilla". Nel 1976 domina il campionato di Formula Atlantic con un team canadese così povero che è costretto a seguire la gara di Mosport da semplice spettatore. Ma le sue impressionanti prestazioni gli forniscono una certa fama ed un posto alla McLaren. La sua prima gara in Formula 1 (che coincide con il debutto del motore Renault turbo) è a Silverstone nel 1977 come compagno di James Hunt e Jochen Mass.
La sua prestazione in prova è imoressionante e si qualifica decimo con una vettura vecchia di due anni.
La cosa non sfuggì ad Enzo Ferrari che, dopo l'abbandono di Lauda, lo chiama per per correre le ultime due gare della stagione.
Enzo Ferrari disse che quando incontrò per la prima volta il piccolo canadese, questi gli ricordò immediatamente il grande Nuvolari. L’ovvio interesse di Ferrari per Villeneuve fa si che Gilles inizi la SCARICA IL VIDEO!! sua corta ma mirabolante carriera in Ferrari. Nella gara di Mosport deve lasciare la corsa a causa di una perdita di olio. La gara successiva, al Fuji, lo vede nuovamente fuori, ma questa volta in modo più drammatico, a causa dell’investimento di alcuni spettatori.
Nonostante questi insuccessi, dichiara che "Se qualcuno mi dicesse che ho tre desideri, il primo sarebbe quello di poter correre, il secondo di essere in Formula 1 ed il terzo di guidare per la Ferrari...." La prima delle sei vittorie di Villeneuve arriva l’anno successivo, ed in modo molto combattuto, in Canada.
A proposito di vittorie, tutti dicono che ha vinto solo sei Gran Premi.
Occorre però ricordare che 1979 arriva secondo nel Campionato del Mondo dietro al suo compagno di squadra Jody Scheckter, per il quale oggi c’è meno considerazione di quanta se ne abbia per Gilles. Aiutò Jody a conquistare il titolo con la promessa che l'anno successivo sarebbe stato lui a vincere.La qualità delle macchine guidate da Villeneuve, però, è sempre stata scadente. Il suo modo di guidare non teneva in nessun conto la conservazione della vettura, altro particolare che ha contribuito alla scarsità di vittorie. Era difficile vedere una gara nella quale non faceva letteralmente decollare la sua Ferrari. Ma la gara che porta Gilles nella leggenda, è il Gran Premio di Francia del 1979 a Digione, la Renault e Jean-Pierre Jabouille segnano la prima vittoria con una moderna macchina turbo. A Rene Arnoux basta non fare errori per poter arrivare al secondo posto e fare una doppietta Renault. Ma Villeneuve si fa valere ingaggiando un duello a colpi di pneumatici, derappate e sgommate con Arnoux che non è facile da dimenticare. La folle insistenza di Villeneuve, che la sua meno potente Ferrari vuole a tutti i costi battere la più veloce Renault di Arnoux, viene ricompensata e finisce la gara davanti al francese. Si può sicuramente dire che questa fu la battaglia per la seconda posizione più eccitante nella storia della Formula 1. Come certi altri grandi piloti, e citiamo solo due dei più grandi, Clark e Senna, Villeneuve aveva due personalità completamente opposte. Lauda scrisse di lui "E’ stato il più pazzo diavolo che io abbia mai incontrato in Formula 1... la cosa strana è che, sceso dalla vettura, aveva un carattere amabile e sensibile; ma quando si infilava il casco diventava tutt’altra persona.". E' stato un temerario di enormi proporzioni. Tuttavia sulla pista era scrupolosamente corretto e non faceva mai nulla per mettere in pericolo la sicurezza di qualcun altro. Questa combinazione di caratteristiche lo fanno diventare estremamente popolare e benvoluto non solo dai fans ma anche dai suoi avversari. Rimane tuttora uno dei piloti più amati in Canada, in Italia e nel resto del mondo della Formula 1. La rottura dell’amicizia con il suo migliore amico può aver contribuito alla sua tragica e prematura scomparsa. Nel giro finale del Gran Premio di Imola del 1982, che domina fin dal principio,  rallenta sapendo di avere ormai la gara in pugno. Ma viene inaspettatamente sorpassato a tradimento dal suo compagno di squadra Pironi il quale gli ruba letteralmente la vittoria. Villeneuve è furioso nonostante il suo carattere pacato. Con la ferita che brucia ancora si presenta, due settimane più tardi, al Gran Premio di Zolder.

Jacques segue l'intervista che viene fatta al padre Gilles Villeneuve




Durante le qualifiche del sabato, mentre fa il giro veloce, arriva dietro la più lenta March pilotata da Mass. Gilles tenta il tutto per tutto sperando she Mass si sposti ma non sarà così. L'impatto fra le due ruote, fà letteralmente decollare la Ferrari che si disintegra, scagliando il pilota canadese contro le reti di protezione. La sfortuna vuole che il pilota Ferrari vada a colpire il palo tra una rete e l’altra. Villeneuve viene soccorso subito ma le sue ferite risultano mortali. Muore nell’ospedale locale la sera stessa. La sua morte ha lasciato una profondissima tristezza che aleggia tuttora nel mondo delle corse. Anche Arnoux, il suo avversario nello scontro epico di Digione ed in molte altre occasioni, ha confessato di aver pianto il giorno in cui Gilles è morto.
Quell'anno suo figlio Jacques aveva undici anni e, nel 1997 coglierà quella vittoria che solo il destino negò al padre.
Oltre al duello di Digione, di Gilles si ricorderà per sempre, il giro su tre ruote a Zandvoort, le vittorie mitiche del 1981 con la prima Ferrari con motore turbo, a Monaco ed in Spagna dove tiene testa per tutta la gara a cinque vetture, più veloci della sua, che lo seguono in fila indiana. Queste e tante altre imprese hanno dato vita a quella che era chiamata "febbre Villeneuve". Nessuno riuscirà più a dare simili emozioni.

Gilles Villeneuve stato il pilota più popolare che la Ferrari non abbia mai avuto rischiando di offuscarne il mito.Il suo unico scopo era di andare
il più veloce possibile col mezzo a disposizione e, spesso, anche più del possibile.Questo mandava in visibilio le folle e si era meritato
il soprannome di "Aviatore", soprannome confermato anche dal suo ultimo tragico e spettacolare volo.



JAMES HUNT



Il pilota inglese famoso non solo per le sue doti di guida nel circus iridato…ma anche per il suo modo di vivere fuori dalle piste…attorniato da belle ragazze,  ma purtroppo anche da alcool e troppo fumo, specialmente dopo il suo ritiro dalle corse.



Suzy Miller, la moglie di Hunt

Il Gran Premio del Giappone 1976 è stata la sedicesima, e ultima, prova della stagione 1976 del Campionato mondiale di Formula 1. Si è corsa domenica 24 ottobre 1976 sul Circuito del Fuji. La gara è stata vinta dallo statunitense Mario Andretti su Lotus-Ford Cosworth; per il vincitore
si trattò del secondo successo nel mondiale. Ha preceduto sul traguardo il francese Patrick Depailler su Tyrrell-Ford Cosworth 
e il britannico James Hunt su McLaren-Ford Cosworth.
Grazie al terzo posto James Hunt si aggiudicò il suo primo, e unico, campionato del mondo piloti di F1 con un solo punto di scarto su Niki Lauda, che si ritirò dalla gara per le cattive condizioni atmosferiche, che avevano messo inizialmente in dubbio la stessa tenuta della gara.


James Hunt - Nina Rindt 1976 James Hunt GP Monaco 1976

 James non è rimasto molto nel circus della F1 ma ha lasciato un solco indelebile nel cuore dei tifosi. Campione del mondo nel 1976,
 anno del terribile incidente di Lauda in Germania, James ha mosso i primi passi in F1 alla guida della Hesket…Hesket che porterà
alla vittoria (la sua prima)  nel 1975 in Olanda. James si ritirò dopo Monaco 1979 mentre guidava per il team Wolf, ma seguì sempre
 la f1 come commentatore per la Tv inglese BBC, fedele spalla del grande Murray Walker dal 1980. Dopo Montecarlo James disse:
“Lascio ora e definitivamente perché – nel mondo della F1 – l’uomo non conta più!”

Fu trovato morto a soli 45 anni per arresto cardiaco nella sua casa il 15 giugno 1993.

FORMULA 1

Albo d'Oro Campionato Mondiale Piloti 

ANNO

VINCITORE

PILOTA

PAESE

ALBO D'ORO

   CAMPIONATO  MONDIALE  COSTRUTTORI
Il titolo è stato messo in palio dal 1958
 MOTORE  PILOTI

1950

Giuseppe Farina

1951

Juan Manuel Fangio

1952

Alberto Ascari

1953

Alberto Ascari

1954

Juan Manuel Fangio

1955

Juan Manuel Fangio

1956

Juan Manuel Fangio

1957

Juan Manuel Fangio

1958

Mike Hawthorn

Regno Unito Vanwall
VW5
Vanwall Stirling Moss
Tony Brooks

1959

Jack Brabham

Regno Unito Cooper
T43
Climax Jack Brabham
Stirling Moss
Bruce McLaren

1960

Jack Brabham

CAMPIONATO MONDIALE COSTRUTTORI

Regno Unito Cooper
T43
MOTORI

Climax

1961

Phil Hill

Italia Ferrari
158 F1
Ferrari

1962

Graham Hill

Regno Unito BRM
P57
BRM

1963

Jim Clark

Regno Unito Lotus
25
Climax

1964

John Surtees

Italia Ferrari
158 F1
Ferrari

1965

Jim Clark

Regno Unito Lotus
33
Climax

1966

Jack Brabham

Regno Unito Brabham
BT20
Repco

1967

Denny Hulme

Regno Unito Brabham
BT24
Repco

1968

Graham Hill

Regno Unito Lotus
49B
Ford

1969

Jackie Stewart

Francia Matra
MS84

1970

Jochen Rindt

CAMPIONATO MONDIALE  COSTRUTTORI

Regno Unito Lotus
72C

 MOTORI

Ford

1971

Jackie Stewart

Regno Unito Tyrrell
003
7
Ford

1972

Emerson Fittipaldi

Regno Unito Lotus
72D
Ford

1973

Jackie Stewart

Regno Unito Lotus
72E
Ford

1974

Emerson Fittipaldi

Regno Unito McLaren
M23
Ford

1975

Niki Lauda

Italia Ferrari
312 T
Ferrari

1976

James Hunt

Italia Ferrari
312 T2
Ferrari

1977

Niki Lauda

Italia Ferrari
312 T2
Ferrari

1978

Mario Andretti

Regno Unito Lotus
79
Ford

1979

Jody Scheckter

Italia Ferrari
312 T4
Ferrari

1980

Alan Jones

 CAMPIONATO  MONDIALE COSTRUTTORI

Regno Unito Williams
FW07B
 MOTORI   

Ford

1981

Nelson Piquet

Regno Unito Williams
FW07C
Ford

1982

Keke Rosberg

Italia Ferrari
126 C2
Ferrari

1983

Nelson Piquet

Italia Ferrari
126 C3
Ferrari

1984

Niki Lauda

Regno Unito McLaren
MP4/2
TAG Porsche

1985

Alain Prost

Regno Unito McLaren
MP4/2B
TAG Porsche

1986

Alain Prost

Regno Unito Williams
FW11
Honda

1987

Nelson Piquet

Regno Unito Williams
FW11B
Honda

1988

Ayrton Senna

Regno Unito McLaren
MP4/4
Honda

1989

Alain Prost

Regno Unito McLaren
MP4/5
Honda

1990

Ayrton Senna

  CAMPIONATO  MONDIALE COSTRUTTORI

Regno Unito McLaren
MP4/5B

 MOTORI 

   Honda

1991

Ayrton Senna

Regno Unito McLaren
MP4/6
Honda

1992

Nigel Mansell

Regno Unito Williams
FW14B
Renault

1993

Alain Prost

Regno Unito Williams
FW15C
Renault

1994

Michael Schumacher

Regno Unito Williams
FW16
Renault

1995

Michael Schumacher

Italia Benetton
B195
Renault

1996

Damon Hill

Regno Unito Williams
FW18
Renault

1997

Jacques Villeneuve

Regno Unito Williams
FW19
Renault

1998

Mika Hakkinen

Regno Unito McLaren
MP4/13
Mercedes

1999

Mika Hakkinen

Italia Ferrari
F399
Ferrari




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